Blog informativo sulla P4C

( philosophy for children)

di Lipman

Quando la filosofia dipinge il suo grigio su grigio, allora una figura della vita è invecchiata, e con grigio su grigio essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto conoscere; la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo.


La parola "filosofia" ha come nella sua radice il significato "far crescere". Infatti, c'è solo una cosa che sa stupire e conquistare il nostro cuore: la parola di chi non si limita a inanellare frasi sensate e ben tornite, ma di chi ci porta più in alto o più in profondità.

Che cos'è la filosofia?

“La filosofia è la palingenesi obliterante dell'io subcosciente che si infutura nell'archetipo dell'antropomorfismo universale. “(Ignoto)

Perché la filosofia spiegata ai ragazzi?

I bambini imparano a conoscere e a gestire i propri ed altrui processi emozionali, affettivi e volitivi: imparano a conoscere se stessi e a relazionarsi con gli altri. Una scuola che intende fornire esperienze concrete e apprendimenti significativi, dove si vive in un clima carico di curiosità, affettività, giocosità e comunicazione, non può prescindere dal garantire una relazione umana significativa fra e con gli adulti di riferimento. Questa Scuola ad alto contenuto educativo, non può cadere nel terribile errore di preconizzare gli apprendimenti formali, errore spesso commesso dagli insegnanti che sono più attenti a formare un “bambino-campione”, piuttosto che un bambino sicuro e forte nell'affrontare la vita, o ancora un bambino che abbia acquisito la stima di sé, la fiducia nelle proprie capacità e la motivazione al passaggio dalla curiosità, caratterizzante la Scuola dell'Infanzia, alla ricerca. L'insegnante deve poter provare un “sentimento” per l'infanzia inteso come “sentire”, percepire e prendere consapevolezza dei bisogni reali, affettivi ed educativi propri del bambino che sono altro rispetto ai bisogni degli adulti. Il ruolo dei genitori, degli insegnanti è infatti quello di educare tutti e ciascuno alla consapevolezza di ciò che il bambino “sente” emotivamente e affettivamente, perché è proprio il passaggio dal sentire all'agire che consentirà al futuro uomo di compiere scelte autonome. Un compito importante dell'insegnante è quello di mediare i modi e i tempi di un dialogo strutturato su un piano paritario, in modo tale da consentire ad ogni interlocutore di far emergere il proprio pensiero e di metterlo in relazione con quello degli altri. E' una sfida, da parte dell'insegnate, a livello culturale, sociologica e civica ma che deve coinvolgere anche i più piccoli per dotarli di una propria capacità critica, che permetta loro di ragionare, di riflettere sulla realtà e di compiere in futuro scelte consapevoli Se la filosofia è "presa sul serio", se è misurata con i problemi reali, è davvero uno strumento di formazione della persona e di indirizzo della vita. La filosofia come felicità presente nell'attività del pensiero.

Incontrarsi è una grande avventura

“Non possiamo stare
e vivere da soli,
se così è,
la vita diventa
solitudine monotona.
Abbiamo bisogno dell’altro
per condividere sguardi
di albe e tramonti,
momenti di gioia e dolore.
Abbiamo bisogno dell’altro
che ci aiuta a vedere
e scoprire le cose che da soli
mai raggiungeremo.

Beati quelli che sono capaci
di correre il rischio dell’incontro,
permeandolo di affetto e passioni
che ci fanno sentire più persone
poiché così vivendo
anche gli scontri
saranno mezzi
di un vero incontro.”
(Testo di sr. Soeli Diogo).




Questo romanzo è rivolto, con la più grande speranza e fiducia, a tutte le persone di questa società e soprattutto a quei giovani che si muovono oggi, coi loro passi, senza esserne pienamente consapevoli, verso la scoperta della grande stanza di questo mondo poliedrico e complesso, dalle mille pareti ammaliatrici. Passi che, a dosi esagerate della conquista di una felicità che riempia la stanza del loro cuore, complementare a quella del mondo, lasciano dietro sé molte tracce superficiali che si spazzano via anche con il più debole vento della loro esistenza per poi trascinarli nel giogo del “vuoto”. Che questo romanzo “Un vuoto da decidere” sia loro di aiuto per guardare in faccia, riconoscere, combattere e vincere, con le sole armi dell’amore vero per se stessi e per il mondo, questa strana “malattia” dell’anima che colpisce chi non ha difese e che porta alla conquista di una libertà infedele e subdola.

Se la metto in pratica mi fa vivere tutta un'altra vita, straordinariamente più ricca di quella che avrei ideato fidandomi solo di me.

Solleviamoci, è ora

Noi siamo quelli
che se ne vanno
pieni di vento
e di sole
in deserti
affollati
di illusioni
e non tornano più
abbagliati
da spaccati di vita.

Siamo riflessi
di affetti
profondi.
Pensieri
di fresca rugiada
posata sulla notte
che non conosce
nuvole.

Siamo i sospesi
tra sogno e realtà,
quelli sul sottile confine
tracciato
dai meandri
dei desideri.

Siamo splendide bugie
di una terra
che fatica
ad alzarsi
sui marciapiedi
della vita.

Siamo polvere
di un tempo
inesorabile
che ci riporta
tra le caverne opache
dei ricordi.

Siamo l’urlo
di amici perduti
non ancora tornati,
che raccoglie
sogni lanciati
su nuvole rosa
gonfie di cuore
nel cielo sospeso
della gioventù.

Siamo parole
mai dette
intrappolate
tra i rami
scheggiati
di un inverno
che fatica
nel risveglio.

Siamo vita
che scoppia
nei focolai spenti
accesi dal giorno che nasce
a dispetto di tutto.

Preghiere
Strappate ai silenzi
concessi da un Dio
che non ama
piangersi addosso.

Siamo
l’andata e il ritorno
di noi stessi.

Solleviamoci.
E’ ora.

PAESE MIO

Paese mio
cinto a primavera
di riccioluti gorgheggi
affaccendati
come comari
nel via vai del giorno
ti vai combinando
tra nuvole ariose
all’orizzonte
e sogni fermi
dietro vetri antichi.

Tu non conosci gli anni.

Il tuo grembo
avrà sempre un vecchio
davanti ai tuoi tramonti
aggrappato
ai sapori di campagna
mentre torna stanco
con le zolle in mano
cantando
la fatica della terra.

E non conosci spazi.

Sei tutto lì
che vivi di germogli
seminati
nei cuori della gente
che s’adatta
all’ombra
dell’inverno
mentre fuori
è estate.

Per questo
non ti mancano
i sorrisi
strappati ai vicoli
intrecciati e bui
come strette di mano
nel bisogno
tra calde mura
di camini accesi.


Tra gli alberi d’ulivo
bagnati di sole
che lasciano un’impronta
tra le rughe
dei ricordi

che strada voltando
riporta
inesorabilmente
a te.



mostra di poesie

mostra di poesie
Solleviamoci, è ora


giovedì 4 dicembre 2008

L’INDIVIDUALISMO E’ ANCHE ALTRUISMO

“Penso che vogliamo fare della nostra vita un film, quindi creiamo sentimenti, storie e amicizie...tutta apparenza e niente sostanza....Purtroppo sento sprecare le parole amicizia, amore, sincerità in situazioni che io reputo assurde. La verità è che siamo in una società individualista, egoista, materialista che non lascia spazio ai veri rapporti.- E’ quanto afferma una delle tante diciannovenni di oggi. –“La verità è che noi tutti inganniamo per non essere ingannati, schiacciamo per non essere schiacciati...c'è poco spazio per il cuore e molto per tutto il resto...si diventa infine più consapevoli e più in guardia “. Siamo nell’era dell’individualismo. Ma non possiamo rassegnarci. E’ vero che ci sono sempre state nelle varie fasi storiche dei periodi, o meglio delle correnti che ne hanno esaltato il valore, anteponendolo al collettivismo, o alla solidarietà sociale; un individualismo come riconoscimento del valore dell'individuo talvolta enfatizzato, che porta l'essere umano ad avere come unico obiettivo il raggiungimento dei propri interessi, il soddisfacimento dei propri piaceri anche a discapito degli altri limitandone la realizzazione dei desideri. Soldi, successo e salute però non mettono al riparo dalla solitudine, dalla tristezza e dalla disperazione. Anzi, la nostra epoca mostra il contrario. Lo prova l’uso industriale che nelle società opulente si fa di psicofarmaci, alcol e droghe, per eludere il “male di vivere”. L’uso compulsivo e congestionato del sesso, che caratterizza il nostro tempo di pornomania di massa, è un’altra droga per anestetizzare la solitudine, la sensazione d’inesistenza che ci avvolge. La solitudine di oggi, in questo campo di battaglia, impara ad educarsi, si costringe a gestire le proprie emozioni, a sopravvivere senza pretendere nulla in cambio, ad essere autosufficiente nella gioia come nella sofferenza, ad aumentare l’autostima e la dignità, così da stabilire un dialogo interno e scoprire la propria forza personale. Oggi mi piace definirlo un individualismo naturale, essenziale e provvidenziale, da non confonderlo con l’egoismo, ma che supera se stesso, che sopravvive allo sconforto iniziale e che diviene uno status vivendi più equilibrato, capace di mettersi sempre in discussione, di saper ascoltare anche le esigenze degli altri, giungendo per così dire ad un compromesso tra il volersi bene e l'altruismo. Individualismo dal cammino tortuoso e lungo che conquista il senso della vita. “Abbiamo dentro tutti noi la necessità di avere un posto dove possiamo coltivare il nostro giardino segreto, non dove confinare i nostri segreti(…)interiorizzarsi, mettere in ordine i pensieri o semplicemente abbandonarsi, è importante per l’equilibrio vitale di ognuno di noi. “(Tompson.) L’avanzamento tecnologico del progresso sta riportando, dunque, l'attenzione non solo sull'essenza e sulla centralità dell'uomo che da dominatore della tecnica è diventato suo mezzo strumentale alienato e psicologicamente impoverito, ma anche sulle le relazioni affettive, che hanno e stanno ancora subendo, profonde trasformazioni che rivoluzionano il concetto di amore e di amicizia. Negli anni '90, periodo dell'individualismo, essere single era uno status invidiabile. Le donne interpretavano il modello maschile copiandone la disinvoltura specie dal punto di vista sessuale, un processo di spersonalizzazione che, storicamente, toccava maggiormente la donna. Con gli anni ci si è resi conto che single non vuol dire necessariamente essere soli e la società ha rivalutato le relazioni. Oggi il concetto forte è quello dello 'sharing', ovvero quello della condivisione di esperienze con gli amici o in coppia per avere qualcuno che ci capisca, che ci voglia bene e con cui fare scelte senza sacrificare troppo la vita privata. Né essere costretti a dover sempre mediare per trovare le soluzioni. L’idea che una persona possa essere la medicina per la nostra felicità, che nacque con il romanticismo, sembra essere destinata a scomparire in questo secolo. Molte volte, pensiamo che l’altro sia la nostra anima gemella e, in verità, ciò che facciamo è inventarlo per il nostro piacere, lo assecondiamo come modello di sacrificio e immolazione. L’uomo cambia il mondo, e poi deve riciclarsi, per adattasi al mondo che ha fabbricato. Le persone stanno cominciando a percepire che non si sentono una frazione intesa come parte per completare un’intero. L’uomo non si vede più la metà della donna e viceversa, per cui bisogna incontrarsi per sentirci completi. L’altro, con il quale si stabilisce un collegamento, si sente come un compagno di viaggio e non il principe azzurro che deve proteggere e salvare dal mondo la propria anima gemella. E’ il concetto di unione che è cambiato: non più di due metà ma di due interi maturi e completi con tutti i rischi e le positività che ne conseguono. Il rischio è quello di rimanere isolati e chiusi nel proprio ego, barricati in una solitudine voluta o quello di un coinvolgimento nel rapporto solo passionale destinato a finire presto perchè troppo individualismo porterebbe a non cercare l’altro emotivamente abituati a sbrigarsela da soli con le proprie emozioni e sensazioni se la solitudine non insegnasse che amare, sia in amicizia che in una relazione amorosa, significa anche rinunciare a qualcosa. Dunque la nuova forma d’amore, ha un nuovo significato e caratteristica. Si cerca l’approccio di due interi, e non l’unione di due metà.Le persone stanno perdendo la paura di restare sole, e apprendono a convivere meglio con se stesse. Più un individuo ha imparato a vivere solo, più cerca una buona relazione affettiva intesa come come uno spazio e un tempo nel quale ci sia l’individualità, il rispetto, l’allegria e il piacere di stare insieme, e non più una relazione di dipendenza, in cui uno responsabilizza l’altro per il suo benessere. “Sono single per scelta e spesso gli amici si dimenticano di me...essenzialmente perché non essendo opportunista, sanno che per loro ci sarò sempre e per questo motivo non temono di perdermi e possono permettersi di ignorarmi” -"Da sola sto imparando a fare le scelte autonomamente, credo sia un momento di crescita”. Le relazioni affettive diventano per un certo aspetto migliori, come restare soli, nessuno esige qualcosa da nessuno e tutti e due crescono. Ogni cervello è unico. Relazioni dominanti e di concessioni esagerate sono cose ormai del secolo passato.
Articolo pubblicato su Illametino

mercoledì 19 novembre 2008

poesia di Sina Mazzei " Paese mio"

Paese mio
cinto a primavera
di riccioluti gorgheggi
affaccendati,
come comari
nel via vai del giorno,
ti vai combinando
tra nuvole ariose
all’orizzonte
e sogni fermi
dietro vetri antichi.
Tu non conosci gli anni!
Il tuo grembo
avrà sempre un vecchio
davanti ai tuoi tramonti,
aggrappato
ai sapori di campagna
mentre torna stanco
con le zolle in mano
cantando
la fatica della terra.
E non conosci spazi!
Sei tutto lì
che vivi di germogli
seminati
nei cuori della gente
che s’adatta
all’ombra
dell’inverno
mentre fuori
è estate.
Per questo
non ti mancano
i sorrisi
strappati ai vicoli
intrecciati e bui
come strette di mano

nel bisogno
tra calde mura
di camini accesi
tra alberi d’ulivo
bagnati di sole
che lasciano un’impronta
tra le rughe
dei ricordi che,
strada voltando,
riporta
inesorabilmente
a te.

venerdì 3 ottobre 2008

Un insegnante racconta l’avventura di una giornata in classe



Tratto da Il Sussidiario.net il 28 settembre 2008Ore 9. 00: lezione sui sofisti, una ragazza sbotta «sono d'accordo con Protagora, tutto è relativo, non c'è una verità, bisogna adeguarsi alla maggioranza». Un'altra risponde:«c'è eccome la verità!». Ed io che devo prendere posizione, non posso mica rispiegare Protagora!Ore 9. 45: arranco in una dotta lezione sull'idealismo, mi pare anche bella, ma non incontro l'umano di nessuno. Mi prende una forte tristezza, è la percezione del mio limite, continuo a spiegare, scrutando sui volti dei ragazzi e delle ragazze, cercando una mossa che tradisca il desiderio. E non succede nulla, io spiego, loro prendono appunti. Netta la sensazione di essere in fuorigioco, ma di non essere capace di rientrarvi.Ore 10. 30: lezione su Sant'Agostino e il male. Tutto fila come spesso accade, la lezione si impone, gli studenti prendono appunti, qualcuno domanda una spiegazione, finché d'improvviso si scatena l'obiezione, «no, non può essere così, Agostino ci prende in giro, se il male non viene da Dio, Dio non può toglierlo, non può liberarci!». E la discussione si anima, mossa da un bisogno, il bisogno che il male sia tolto, ma tolto davvero e subito. Io che prima difendo la logica agostiniana, ma poi mi accorgo che un'altra era la questione, era che entrassi in gioco con la mia umanità, con il mio bisogno, lo stesso che hanno loro, quello di essere felice, e di esserlo per sempre.Ore 11. 15: lezione sugli universali, ed è un fuoco di fila di domande per trovare una risposta al bisogno di verità che, uno ad uno, i ragazzi e le ragazze che ho davanti portano dentro l'agone della classe. Una bella lezione, bella non per le mie spiegazioni, ma perché loro, i miei studenti, l'hanno segnata dell'umano, perché era evidente dalle domande che facevano che la ricerca del vero per loro non fosse il tema astratto di una lezione, ma una urgenza vitale, decisiva nel loro impatto con la realtà.Una giornata a scuola, apparentemente altalenando tra successi ed insuccessi, in realtà messo a nudo sull'umano. È lì infatti che nasce ogni lezione, non da quello che rispondono gli studenti, ma dal lasciarmi interrogare da quello che spiego, dall'essere io presenza a me stesso. Spesso per esserlo ho un'unica strada, quella di seguire il sobbalzo umano di quello o di quell'altro studente. E tutto diventa affascinante, si comincia l'avventura del conoscere. Del resto come diceva Sant'Agostino non c'è conoscenza senza amicizia, senza che uno guardi la realtà implicando le sue esigenze fondamentali!

lunedì 4 agosto 2008

Freeze : la doppia faccia della comunicazione

L'evento è semplice: persone che non si conoscono si incontrano in un posto fissato e si immobilizzano per 5 minuti. Dopo 5 minuti, ognuno si libera e riprende a fare quello che stava facendo. In genere si tiene in contemporanea in tutto il mondo ad esempio a Firenze, in India, a Los Angeles, a Madrid, New York , Turchia... Non ci sono manifesti né avvisi, di colpo molte persone compaiono in un luogo e fanno tutti la stessa cosa, come se ghiacciate, poi si separano e scompaiono. Tutta una corrente della rete permeata dalla filosofia del riappropriamento del reale, basata sulla cultura o sulla comunicazione immateriale per riprendere possesso dei luoghi fisici, le flash mob cioè le folle istantanee, aggregati umani e fortemente localizzati coordinati dalla rete e finalizzati ad una performance che ha preso forma per gioco e per vedersi in un luogo vero ma che sempre di più prendono piede. La più classica delle pillow fight, è la battaglia a cuscinate, molte altre invece sono performance che sfiorano l'artistico, modi mettere in scena le persone stesse all'interno del tessuto metropolitano così che rompano o semplicemente sovvertano la routine dei riti metropolitani. La flash mob ha cominciato a diventare un modo per fare qualcosa che avesse un valore, qualcosa che potesse in sé comunicare qualcosa. E' stato subito evidente infatti come vedersi tutti insieme in un punto determinato della città fosse una forte rottura con i meccanismi predeterminati che regolano la vita cittadina. E' un movimento antientropico che può assumere valenza di vero e proprio spettacolo che ha senso solo se è progettata non per andare in rete ma principalmente per sconvolgere gli habitué della vita moderna né deve essere considerata una bravata. Cosa che chiaramente svilisce il tutto. Il Freeze non si può definire solo un vero e proprio movimento culturale che si pone su una linea di integrazione con la Fenomenologia e l'Esistenzialismo bensì un movimento artistico, come soffermarsi a guardare un quadro d’autore. E’ davvero per questo che esiste l’arte, per rendere eterno un attimo, un pensiero, un sentimento. Le strade, le stazioni, gli aeroporti, gli autobus sono pieni di gente sudata che guarda l’orologio che scatta appena può. La cura dei dettagli richiede tempo e un passo più lento. Beati i lenti che lasciano che un silenzio invada lo spazio. Il tempo purtroppo ci domina, è burocratizzato e capitalizzato. I superattivi, dominati dall’orario e dal rendimento; questi agitati, paurosi di non fare mai abbastanza e di non essere mai abbastanza importanti: in realtà essi non vivono! La smania del fare è uno dei più potenti fattori di distruzione della vita spirituale e della meditazione. Troppo spesso l'uomo moderno si trascina perché non ha più la possibilità, o non la sa più trovare, di fermarsi. Poiché vi ha sempre rinunciato, egli non osa neppure più raccogliersi, perché si troverebbe brutalmente messo di fronte a responsabilità che gli fanno paura. Correre gli dà l'impressione di vivere. In effetti egli si stordisce, fugge a se stesso e si condanna alla vita istintiva. Non è più uomo! Ha ridotto lo spazio per un ascolto autentico e non ha più nostalgia e rimorsi. Come bloccare questa febbre della vita moderna? Come vivere? Accettare di fermarsi è il primo atto che potrà permettergli di restituirsi a se stesso. Vivere in uno stato di consapevolezza abitando il presente per acuire il proprio sentire, verbo dell’attenzione cosciente, ed essere al centro dell’agire. Imparare a prendere il tempo necessario in un rapporto di amicizia con le cose che ci circondano, proprio come Robinson Crusoe nella sua solitaria permanenza sull’isola, “fuori dal tempo”; educarsi alla calma e al giusto distacco, incontrare il proprio corpo e ascoltare gli altri che hanno bisogno di essere amati quando nessuno si accorge più della loro solitudine. Chi non sa vivere il minuto, perde l’ora, il giorno, la vita. Se si ha paura di fermarsi, è perchè si ha paura di incontrarsi, forse perchè non si è più in intimità con se stessi, temendo i propri rimproveri e le proprie esigenze. “L’uomo non può colmare il vuoto cercando il chiasso, un giornale, una conversazione, una presenza... Non può attendere che Dio lo fermi per prendere coscienza che esiste. Sarebbe troppo tardi e non ne sarebbe più degno”.(Michel Quoist). Lento è bello. Penelope che tesse e disfa la tela allungando il tempo e tenendo viva la memoria, aspettando la nave di Ulisse ci insegna ad abitare in modo meno distruttivo il pianeta che ci ospita e praticare la difficile arte della convivenza. Abbiamo bisogno di nuove pratiche, di scoperte e di viaggi, certo, ma abbiamo bisogno ancor più di ritorni verso ciò che è più autentico ed essenziale. E in questo viaggio, che è insieme esterno ed interno, intimo e sociale, è di fondamentale importanza sapere attendere, darsi il tempo di ascoltare ed imparare ad intrecciare tra loro ricerche diverse. Per approfondire i temi cruciali del nostro tempo, che riguardano la capacità di fare pace con il pianeta e la necessità di alimentare la difficile arte della convivenza tra diverse culture e tra persone che hanno diverse memorie ed esperienze alle spalle, c’è bisogno di educazione, di immaginazione e di arte. Il Freeze è un invito all’ascolto di se stessi, degli altri, all’ascolto silenzioso della natura. Senza darci il tempo per questo ascolto partecipe e profondo, sembra impossibile contrastare le molteplici spinte distruttive che caratterizzano la nostra epoca. Per freeze (in inglese "congelamento") si intende una categoria del Bboying o breakdance che implica l'arresto tempestivo di ogni movimento corporeo (in accordo con la base musicale) in una posizione dinamica che richiede un buon equilibrio. Mister Freeze, il cui vero nome è Victor Fries, è un personaggio dei fumetti creato da Bob Kane nel 1959. È uno dei nemici di Batman, un biologo molecolare specializzato in ibernazione. Bergson afferma che il tempo della vita, il tempo vissuto è denso di significato, ha sempre un sapore particolare per il soggetto; nell'esperienza di vita questo tempo psicologico, una dimensione peculiare della spiritualità, è soggettivo e non separabile dalla memoria del passato e dall'anticipazione del futuro. Il tempo misurabile dalla scienza è il tempo della meccanica, cioè un tempo spazializzato, ogni momento è esterno all'altro, è uguale all'altro: un istante segue l'altro e nessun istante è diverso dall'altro, più intenso o più importante dell'altro. Freeze è meritare se stessi.






lunedì 21 luglio 2008

Gadamer e l'arte

L’arte è solo finzione, sogno e incanto come sosteneva Kant o contiene verità? la verità è soltanto quella delle scienze sperimentali o si può compiere un’autentica esperienza di verità anche nell’arte ed in breve in quel territorio ancora non sufficientemente esplorato che è costituito dalle scienze dello spirito? L’incontro con l’opera d’arte è un’autentica esperienza di verità, sostiene Gadamer, in quanto ci porta a modificare il nostro modo di essere, di sentire e di pensare. L’opera d’arte ci appassiona perché non è una cosa con cui entriamo in contatto in modo freddo e distaccato ma rappresenta un mondo denso di significati e valori che in parte possiamo riconoscere come nostri, in parte avvertiti come nuovi e sorprendenti, nuovi orizzonti e nuovi punti di vista sulla realtà. L’opera d’arte ci mette in gioco e ci interroga, ci trasmette un mondo di senso, quello dell’autore e della sua epoca, ma ci chiede di dare anche la nostra personale interpretazione e valutazione.. Quanto più è grande tanto più si presta ad essere analizzata e compresa in una continua e sempre rinnovata interpretazione. Ecco perché tra noi e l’opera d’arte si stabilisce un dialogo, noi domandiamo qualcosa ed essa ci dà alcune risposte in un circolo virtuoso che costituisce la trama stessa della storia umana. L’opera d’arte ci seduce e ci trasforma portandoci ad assumere una prospettiva più profonda di quella che avevamo in precedenza. Comprendere un’opera figurativa è entrare in un dialogo di domande e risposte. Davanti ad un’opera d’arte noi siamo nella situazione ermeneutica di accettare e pretendere che essa abbia qualcosa da dirci, che trasmetta un significato e una verità su noi stessi e sul mondo in cui viviamo. Questo dialogo è possibile se abbandoniamo ciò che eravamo abituati a considerare ovvio cioè le opinioni. e se trasformiamo le nostre ipotesi preliminari, i pregiudizi, in domande. Le opere d’arte racchiuse nel museo ci restituiscono un’immagine dell’esperienza artistica cristallizzata ed inerte. Il museo si presenta come una raccolta di raccolte in cui le opere sono messe in fila, una dopo l’altra, strappate al loro contesto di origine di appartenenza, per appartenere soltanto alla coscienza estetica. In tal modo l'opera d'arte è colta esteticamente come qualcosa di semplicemente presente, oggetto di un puro vedere o di un puro udire, ma questo non costituisce per Gadamer la vera e propria esperienza estetica. Questa è data, invece, dall'incontro con l'opera d'arte e con il mondo contenuto in essa, che non ci resta estraneo: nel rapporto con l'opera d'arte, dunque, si impara anche a comprendere se stessi. Il tempo non è un abisso da scavalcare ma è la condizione fondamentale che rende possibile la nostra conoscenza e la nostra esperienza di verità. Grazie alla distanza storica, colmata dall’insieme di tutte le voci che si sono espresse noi riusciamo meglio a comprendere un’opera d’arte diversamente, che pur restando la stessa si è profondamente trasformata arricchendosi di tutti i punti di vista che ogni epoca ha espresso su di essa, l’opera trascende così l’autore stesso e si consegna alla tradizione storica; ne consegue che il passato non è soltanto un atto riproduttivo ma produttivo fatto di un rapporto dialogico tra passato e presente. La distanza temporale non solo elimina i pregiudizi falsi verso quell’opera che disturbano la corretta interpretazione ma fa emergere i pregiudizi legittimi cioè quel complesso di nozioni sull’oggetto in esame che si sono consolidate nella tradizione e orientano il nostro sguardo attuale.

martedì 17 giugno 2008

Filosofia e terapia: nuovo business?




Sabato 17 maggio 2008 alle ore 18,30 presso la sala conferenze della Società di Mutuo Soccorso di Fossano (Via Roma 74) il Centro Studi sul Pensiero Contemporaneo (CeSPeC) di Cuneo organizza una conferenza sul tema "Filosofia e terapia: un nuovo business?", rientrante nel progetto pluriennale "Pensiero in formazione... Linee di ricerca sperimentale a partire dalla filosofia per e con i bambini", realizzato con il sostegno della Fondazione CRT (progetto Alfieri) e della Fondazione CRF. Interverranno all'incontro il sociologo Alessandro Dal Lago (Università di Genova) e Antonio Cosentino (CRIF e Università della Calabria). Introduce Francesco Tomatis (Università di Salerno). L'ingresso è libero.La filosofia può curare? La lettura di un brano filosofico può servire per curare se stessi e gli altri? Si tratta di interrogativi che si vanno diffondendo negli ultimi anni a seguito della vasta diffusione delle pratiche filosofiche (consulenza filosofica, vacanze filosofiche, dialogo socratico, filosofia per e con i bambini, caffé filosofici). Il sociologo genovese Alessandro Dal Lago - autore del volume Il business del pensiero. La consulenza filosofica tra cura di Sé e terapia degli altri (manifestolibri, Roma 2007) che sarà presentato nel corso dell'incontro - si interroga con grande brillantezza intellettuale, e a tratti con funambolica ironia, sulla presenza, nelle nostre società "liquide" (e anche sulla rete in forme talora un po' surreali) di una crescente offerta di filosofia che finisce per coinvolgere e contagiare anche il mondo dell'impresa e del business. Naturalmente non si tratta della filosofia, intesa in senso dottrinale e dottrinario, così come essa continua ad essere seriosamente praticata nelle nostre Università e dall'altro delle cattedre, ma di quella filosofia come "cura del sé" o "stile di vita", di cui ha parlato lo storico Pierre Hadot, richiamando l'attualità del ruolo della filosofia e del filosofo nella tarda antichità greco-romana a partire dall'esempio di Socrate.Le pungenti osservazioni critiche di Dal Lago nei confronti di questo complessivo movimento, ma che si rivolgono anzitutto alla "consulenza filosofica" in senso stretto, si possono ricondurre ad alcuni elementi problematici del mondo delle pratiche, che possono valere come monito salutare e aiuto per chi si dedica con passione (e per lo più con sostanziale disinteresse) alla pratica della filosofia. La prima accusa è senz'altro quella di "spiritualismo" o di riduzione dell'esteriorità a mera appendice dell'interiorità: le pratiche costituirebbero infatti la riproposizione del socratismo del "conosci te stesso" nella sua rilettura tardo-antica e agostiniano-neoplatonica. In tal senso, la "filosofia" verrebbe interpretata in chiave irenica, ma a prezzo della rinuncia a una vocazione pubblica e politica della filosofia. In un'epoca, come quella odierna, di crisi e di riflusso dopo l'effervescenza degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, non sarebbe infatti più possibile per il filosofo - ma anche per l'intellettuale in genere - individuare forme efficaci e non compromissorie di lotta per la trasformazione dell'assetto del tardo-capitalismo della modernità globale. La filosofia si ridurrebbe pertanto ad aiutare un'umanità disorientata e segmentata a coltivare il piccolo orticello della cura di sé. Cosa non difficile in un mondo in cui tutti avvertirebbero il bisogno di aiuto e di sicurezza a diversi livelli e si sentirebbero più o meno "malati" o "bisognosi di consulenza" da parte di esperti più o meno accreditati. Un mondo impolitico e dominato dall'insicurezza in cui è già molto pensare anzitutto alla propria armonia interiore in perenne instabilità.La seconda accusa di Dal Lago è che tali strategie filosofiche di risposta alla metamorfosi dell'età globale verrebbero utilizzate, in forma più o meno consapevole, in chiave di auto-legittimazione, o comunque in chiave compensativa, da parte del capitalismo globale.In altri termini, si chiama il filosofo nell'ambito aziendale, in qualità di consulente, o di coach, per accrescere la produttività del "capitale umano" dell'impresa. In tal modo la funzione "critica" della filosofia andrebbe giocoforza perduta o verrebbe marginalizzata. Per non parlare del compiacimento dei leader globali impegnati in guerre di civiltà per una filosofia relegata negli interstizi del sé.Infine, se la filosofia entra nel mondo del business corre dunque naturalmente il rischio di farsi essa stessa business e di transitare rapidamente dal paradigma socratico a quello sofistico, per cui il consulente-filosofo venderebbe a caro prezzo il suo farmaco, ancor più indeterminato e di dubbia efficacia di altri.Nel corso della conferenza si avrà la possibilità di discutere di tali questioni, per verificare se le osservazioni critiche di Dal Lago colgano nel segno o non costituiscano invece una lettura parziale del vasto e articolato mondo delle pratiche filosofiche, nella loro ricchezza e differente articolazione. È vero che tutte le pratiche favoriscono una deriva interioristica o solipsistica e un ripiegamento su se stessi? Non potrebbero alcune tra esse - quale ad esempio la "Philosophy for Children" - costituire invece, sia pure in forma ambivalente, una risposta alla crisi della polis e un tentativo di ritessere la sfera pubblica pre-politica nella sua articolazione dialogica e intersoggettiva? Nella soluzione dei problemi globali, che non hanno mai risposte "locali" - come sostiene Ulrich Beck -, si può davvero prescindere dal faticoso ritrovamento di un'identità narrativa sul fondamento del dialogo con gli altri?I relatori Alessandro Dal Lago è professore di sociologia della cultura presso l'Università di Genova. Tra i suoi interessi di studio si contano, oltre ai temi classici del pensiero sociologico, anche questioni specifiche, quali le migrazioni, il multiculturalismo, la devianza e il suo controllo sociale e politico, lo sport, l'arte e la letteratura. Tra le sue pubblicazioni: Non-persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 1999 (quinta ed. 2005); Giovani, stranieri & criminali, Manifestolibri, Roma 2001; (con E. Quadrelli) La città e le ombre. Crimini, criminali, cittadini, Feltrinelli, Milano 2003 (seconda ed. 2006); Polizia globale. Guerra e conflitti dopo l'11 settembre, Ombre corte, Verona 2003; (con S. Giordano) Mercanti d'aura. Logiche dell'arte contemporanea, Il Mulino, Bologna 2006; infine, Il business del pensiero. La consulenza filosofica tra cura di sé e terapia degli altri, Manifestolibri, Roma 2007.Antonio Cosentino è docente di filosofia nei licei e supervisore di tirocinio presso la SSIS dell'Università della Calabria. È uno dei più autorevoli esponenti del mondo delle pratiche filosofiche e della "Philosophy for Children" (P4C) in Italia. Ha pubblicato numerosi contributi su tematiche pedagogiche e sulla didattica della filosofia, tra cui Filosofia e formazione. 10 anni di Philosophy for children in Italia, 1991-2001, Liguori, 2002, Costruttivismo e formazione. Proposte per lo sviluppo della professionalità docente, Liguori, 2002, Pratica filosofica e professionalità riflessiva: un'esperienza

sabato 17 maggio 2008

Scuola dei Genitori e Laboratorio di Philosophy for Community



Anno accademico 2007 / 2008, giovedì 15 maggio 2008 alle ore 16 presso Scuola secondaria di primo grado, dell'Istituto Comprensivo di Feroleto, la professoressa Maria Lupia ha trattato il tema della filosofia per bambini. . -“Oggi viviamo in un tempo difficile per gli insegnanti per i genitori perché i rischi sono tantissimi - questa la premessa nell’incontro coi rappresentanti dei genitori dell’Istituto Comprensivo di Feroleto per presentare il percorso innovativo della Philosophy for Children che diventa anche for Community illustrando i vantaggi e i benefici che i figli ne possono avere. Il percorso che dovrà iniziare nel prossimo anno scolastico, tenderà a far comprendere concretamente come la famiglia, un sistema aperto come tutti i sistemi interattivi che funziona in riferimento al suo contesto socio-culturale, e che, come ogni altro sistema, si evolve nell’arco della sua vita, agisca secondo particolari regole di funzionamento. Viene proposto quindi il tema della comunicazione educativa per la costruzione di una positiva relazione interpersonale. Vengono illustrati i vari stili educativi, verificandone gli obiettivi e gli effetti: l’intento è quello di rinforzare gli interventi che si realizzano quando un genitore, sicuro contenitore affettivo e in possesso delle necessarie competenze educative di guida, svolge responsabilmente funzioni orientative e regolative, che vengono accolte con fiducia e consapevolezza dal figlio. L’adolescenza è indubbiamente un’età di profondo cambiamento, se non addirittura di sconvolgimento psichico e fisico. I genitori sono chiamati al compito difficile e affascinante di accompagnare il figlio adolescente in questo percorso verso l’età adulta. Conoscerlo, conoscere le problematiche di questa età, i fenomeni e le difficoltà che caratterizzano al nostro tempo i comportamenti adolescenziali significa consapevolezza e capacità di essere presenze educative primarie adeguate. La P4Community s’inserisce nella realtà della P4Children, che rappresenta una delle più importanti esperienze pedagogiche e filosofiche contemporanee. La P4C è un movimento educativo di dimensioni mondiali, praticata in moltissimi paesi del mondo, nata negli anni 70, grazie al lavoro di Matthew Lipman, docente di Filosofia e Logica presso la Columbia University di New York Lipman rimase colpito dalle scarse capacità di ragionamento logico e critico dei suoi studenti universitari e concepì l'idea che un esercizio precocedel pensiero filosofico fosse necessario per creare tali capacitàLa P4C, come progetto educativo, muove dal presupposto che la filosofia, o meglio il “filosofare”, detenga un valore formativo, poiché coniuga teoria e pratica, pensiero e azione, visione del mondo ed esperienza, in un unicum che costituisce la realtà dell’individuo. La P4C non insegna la filosofia intesa come storia del sapere e trasmissione dello stesso, ma insegna il “filosofare” , “il pensare su…”, le abilità generali di ragionamento che ogni bambino deve possedere per accedere al senso del proprio mondo.Nella sua essenza pratica, dinamica, accrescitiva e riflessiva l’inserimento del laboratorio di P4 Community nella “Scuola dei Genitori”, in modo alternato alla relazione frontale porta benefici trasversali. Questo metodo permette al genitore di “filosofare” già dai primi incontri e permette alla Community di immergersi nelle problematiche del proprio vissuto e della propria crescita, affrontando in libertà e in un contesto accogliente e di reciproco aiuto i vari temi emersi nel corso delle conferenze, per sviluppare il pensiero critico in modo esperienziale e riorientare il proprio orizzonte di senso. Stare nella Comunità di Ricerca (CdR) significa partecipare in prima persona, assumersi la responsabilità del proprio pensiero, allenarsi all’ascolto e a volte al silenzio, co-costruire il pensiero a partire dalla propria esperienza, dalle proprie domande, dalle certezze nella consapevolezza che attraverso il dialogo, il confronto si possa giungere alla risoluzione di un problema, alla possibilità di modificare, trasformare, inventare concetti che siano un nuovo spazio contesto-pretesto di ricerca euristica. Hegel considera frutto di pigrizia mentale l’atteggiamento di chi in nome del buon senso si ferma alla superficie delle cose senza rendersi conto che la verità non è parzialità ma interezza e che la realtà è complessa, contraddittoria, dialettica e perciò per capire le sconvolgenti novità della nostra età si debbano adoperare strumenti concettuali sempre più nuovi più completi e ricchi. “Non abbiamo quel senso minimo di sicurezza,tutto ciò che intraprendiamo è sempre a rischio, anche per chi viene a scuola, che entri ed esca senza le nozioni fondamentali che si deve sapere, tanto è vero che in questo momento così frastornato in cui da anni gli insegnanti stanno ricevendo tanti di quegli stimoli dal ministero la scuola è diventata un proiettificio e i progetti sfornati vanno ad infiacchire l’impianto forte della scuola. Il leggere, scrivere e far di conto, che sono le abilità fondamentali, vengono indebolite e allora è arrivato il momento che i dirigenti e gli insegnanti debbano essere consapevoli di ciò che serve veramente, senza bisogno di apparire, con una serie di passerelle sulle quali facciamo posa e non sempre le manifestazioni sono la dimostrazione che quello che la scuola fa ha qualità;ora è bene che tutti imparino a distinguere ciò ch’è importante da ciò che non è significativo. Se è vero che la scuola ha manifestato delle debolezze sui saperi di base è altrettanto vero che c’è bisogno di sostenerli in modo forte. A monte ci deve essere la capacità di ragionare. Se un alunno sa ragionare e riflettere non avrà problemi in nessuna disciplina perché capirà le competenze trasversali che sono alla base dell’acquisizione di tutti i saperi se si sa ragionare e si affronta la scuola con capacità di riflettere su ciò che si fa e si vive non dovrebbero esserci le difficoltà così come sono. Succede intanto che la scuola è impostata su un fare un po’ noioso, standardizzato e uniforme che si ripete, senza acquisire quella consapevolezza tanto più forte quanto più si esercita in varie forme di laboratorio del fare e del pensare insieme. La filosofia è quella dei filosofi o quella che possiamo fare noi usando lo strumento principale del pensiero? La mono deve essere una mano sapiente, la mente una mente abile, non più separazione tra mente e mano. Dobbiamo recuperare l’Homo Habilis non solo intendendo abilità come l’esercizio della mano ma come capacità di individuare i problem - solving, affinchè tutta la realtà, così come lo siamo noi, non diventi estranea a noi. La filosofia per bambini aiuta molto a diventare padroni di sé, del proprio pensiero, del proprio modo di parlare e di agire in modo da problematizzare dove gli altri non problematizzano. Cosicché l’accostamento alle discipline non sarà mera trasmissione ma assimilazione, tesoro con la possibilità di strutturare un nuovo sapere per avere un approccio con la realtà più costruttivo per diventare colui che nel presente genera nuovi saperi. Laddove è stato realizzato il Progetto e dura da anni la realtà è cambiata tanto perché gli insegnanti hanno imparato ad essere più innovatori più motivati e responsabili, e vedono come nascono i pensieri grandi e intelligenti nella mente dei bambini con gioia immensa. Siamo abituati a realtà litigiose e volgari e perché l’educazione abbia la meglio e si educhi istruendo bisogna essere seri e offrire la nostra testimonianza. Non è un progetto extracurriculare ma un percorso curriculare di un’ora settimanale che nulla toglie ma potenzia i saperi di base . E’ difficile ascoltare veramente l’altro, significa mettere tra parentesi tutto ciò che siamo per calarsi nella dimensione dell’altro, riuscire a mettersi nell’empatia o enteropatia senza cambiare se stessi, capire le ragioni per le quali l’altro parla. Il facilitatore facendo venir fuori le idee usa la tecnica del rispecchiamento (è questo che vuoi dire? )un pensiero- altro che serve a stimolare questa ginnastica mentale che non è solo un fatto mentale e fisico ma che coinvolge la persona nel suo essere globalmente inteso e che genera una capacità trasformativa della persona ponendola in una dimensione più autentica nei rapporti con gli altri e con se stessi e certamente più produttiva sul versante dell’acquisizione del miglioramento nelle competenze che deve acquisire come Homo Sapiens Sapiens tremendamente avanzato dove non ha più spazio per essere un omuncolo, un uomo che ha superato i confini di vita tutto si è ampliato. Dobbiamo essere pronti ad apprendere sempre.”

lunedì 5 maggio 2008

I. Kant, Critica della ragion pratica, Conclusione



Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita ma si estende all'infinito. Immanuel Kant voleva dire era semplicemente che l' essere umano nasce gia' con la consapevolezza di cio' che e' giusto e cio' che e' sbagliato, di cio' che e' in armonia col creato e cio' che non lo e'. Riportato ai giorni nostri, Kant afferma praticamente che chi dice che la normalita' non esiste sta mentendo sapendo di mentire in quanto il concetto di normalita' e' impresso nel suo essere dalla nascita e si affianca al concetto di vivere in armonia con tutto cio' che ci circonda. Anormale e' tutto cio' che rompe quell' armonia. Kant aveva questa visione dell' armonia totale dell universo, dal mondo fisico a quello metafisico. Per di piu' molte delle sue speculazioni filosofiche, pur in forma razionalista, miravano a restituire un posto di prestigio alla Metafisica in un mondo che, a causa delle correnti filosofiche Illuministe ed Empiriste dell' epoca in cui visse, si stava trasformando, dal suo punto di vista, in un mondo fatto di mero materialismo.

La voce del silenzio di Andrea Bocelli

http://it.youtube.com/watch?v=fFl6Gr--ugg

domenica 4 maggio 2008

La Voce del Silenzio Gilda Giuliani

http://it.youtube.com/watch?v=kY-Bh8u3JR4
Volevo stare un pò da sola per pensare e tu lo sai ed ho sentito nel silenzio una voce dentro me e tornan vive troppe cose che credevo morte ormai e chi ho tanto amato dal mare del silenzio ritorna come un'onda nei miei occhi e quello che mi manca nel mare del silenzio mi manca sai, molto di più. Ci sono cose in un silenzio che non m'aspettavo mai, vorrei una voce ed improvvisamente ti accorgi che il silenzio ha il volto delle cose che hai perduto ed io ti sento amore, ti sento nel mio cuore stai riprendendo il posto che tu non avevi perso mai, che non avevi perso mai, che non avevi perso mai. E quello che mi manca nel mare del silenzio mi manca sai, molto di più, ci sono cose in un silenzio che non m'aspettavo mai, vorrei una voce e improvvisamente ti accorgi che il silenzio ha il volto delle cose che hai perduto ed io ti sento amore, ti sento nel mio cuore stai riprendendo il posto che tu non avevi perso mai non avevi perso mai non avevi perso mai

domenica 13 aprile 2008

Pensa di Fabrizio Moro

http://it.youtube.com/watch?v=OkgMnca-KmA

“PENSA”
FABRIZIO MORO
Testo presentato al festival di Sanremo - vincitore sezione giovani
Ci sono stati uomini che hanno scritto pagine Appunti di una vita dal valore inestimabile Insostituibili perché hanno denunciato il più corrotto dei sistemi troppo spesso ignorato Uomini o angeli mandati sulla terra per combattere una guerra di faide e di famiglie sparse come tante biglie su un isola di sangue che fra tante meraviglie fra limoni e fra conchiglie... massacra figli e figlie di una generazione costretta a non guardare a parlare a bassa voce a spegnere la luce a commentare in pace ogni pallottola nell'aria ogni cadavere in un fosso Ci sono stati uomini che passo dopo passo hanno lasciato un segno con coraggio e con impegno con dedizione contro un'istituzione organizzata cosa nostra... cosa vostra... cos'è vostro? è nostra... la libertà di dire che gli occhi sono fatti per guardare La bocca per parlare le orecchie ascoltano... Non solo musica non solo musica La testa si gira e aggiusta la mira ragiona A volte condanna a volte perdona Semplicemente Pensa prima di sparare Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto un attimo di più Con la testa fra le mani Ci sono stati uomini che sono morti giovani Ma consapevoli che le loro idee Sarebbero rimaste nei secoli come parole iperbole Intatte e reali come piccoli miracoli Idee di uguaglianza idee di educazione Contro ogni uomo che eserciti oppressione Contro ogni suo simile contro chi è più debole Contro chi sotterra la coscienza nel cemento Pensa prima di sparare Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare Pensa che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto un attimo di più Con la testa fra le mani Ci sono stati uomini che hanno continuato Nonostante intorno fosse [tutto bruciato Perché in fondo questa vita non ha significato Se hai paura di una bomba o di un fucile puntato Gli uomini passano e passa una canzone Ma nessuno potrà fermare mai la convinzione Che la giustizia no... non è solo un'illusione Pensa prima di sparare Pensa prima dì dire e di giudicare prova a pensare Pensa che puoi decidere tu Resta un attimo soltanto un attimo di più Con la testa fra le mani Pensa.
Frasi al ritmo cadenzato e veloce, inarrestabile, incontenibile. Non basta una canzone soltanto ad esprimere il fiume di parole che si ha dentro, che vuole straripare perché la voglia di cambiare il mondo è tanta che le frasi traboccano, non riescono a starci nell’immenso desiderio di dire tutto e di gridarlo con parole iperbole che si prolunghino all’infinito perché non possono più tacere, non possono più far finta di niente. La mafia non pensa davvero, lo fa da mafia, e una canzone non è sufficiente; è troppo breve, prima o poi finirà come la mafia ma solo con l’impegno di tutti. E lo sapevano bene Borsellino e Falcone, che per paura furono abbandonati da tutti, poi barbaramente uccisi. BLAISE PASCAL afferma che “ Bisogna pensare, conoscere se stessi. E anche se questo non servisse a trovare la verità servirebbe almeno a regolare la propria vita; e non c’è niente di più giusto. Chi vive in modo sregolato dice a chi vive nella regola che è lui ad allontanarsi dalla natura, mentre egli è convinto di seguirla: simile in questo a coloro che si trovano su una nave e credono che quelli che sono a riva stiano fuggendo. Il linguaggio è uguale da tutti i lati. Bisogna avere un punto fisso per giudicare. Il porto giudica quelli che sono sulla nave ma dove troveremo noi un porto nella morale? Riesco facilmente a immaginarmi un uomo senza piedi e testa perché solo l’esperienza c’insegna che la testa è più necessaria dei piedi. Ma non riesco a immaginarmi l’uomo senza pensiero. Sarebbe una pietra o un bruto. L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura ma è una canna pensante. Non c’è bisogno che l’universo intero si armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d’acqua basta a ucciderlo. Ma anche quando l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe ancora più nobile di chi lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità che l’universo ha su di lui. L’universo al contrario non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. E’ con questo che dobbiamo nobilitarlo e non con lo spazio e il tempo che potremmo colmare. Sforziamo di pensar bene: questo è il principio della morale. Il pensiero fa la grandezza dell’uomo. L’uomo è nato per pensare e non c’è un solo momento che il pensiero lo abbandoni. Sta qui tutta la sua dignità e il suo merito e tutto il suo dovere consiste nel pensar come si deve. Ma a che cosa pensa il mondo? Non pensa a danzare, a suonare il liuto, a cantar a scriver versi ma a battersi a diventare re senza pensare che cos’è un re e che cos’è un uomo. Non si rassegna a fare una vita piatta, ha bisogno di novità e di azione ed i pensieri puri che lo renderebbero felice lo abbattono.”La mafia, nasce intorno al 1820. Per pensare davvero? Giammai! Per lucrare. Una vera e propria rete di piccoli centri di potere (le cosche), che mediante le minacce, i ricatti, la violenza organizzata mette sotto controllo le campagne della Sicilia centrale e occidentale, realizzando ampi profitti. L'attività delle cosche si estende poi dalle campagne alle città, investendo altri settori economici e anche quello politico e amministrativo. Nel secondo dopoguerra la mafia dilaga nei settori dei mercati ortofrutticoli e dell'edilizia espandendosi anche all’estero poiché la mafia viene difficilmente combattuta a causa dell’appoggio che essa gode da parte di diversi politici e dall’omertà degli abitanti dei paesi nei quali essa agisce. Leonardo Sciascia definisce la mafia “Un’associazione a delinquere con fini di illecito arricchimento dei propri associati e imposta con violenza tra cittadino e Stato.” Il mafioso ha estrema fiducia nel proprio coraggio ed è insofferente al coraggio altrui “Lunga è la notte e senza tempo. Il cielo gonfio di pioggia non consente agli occhi di vedere le stelle. Non sarà il gelido vento a riportare la luce, né il canto del gallo, né il pianto di un bimbo. Troppo lunga è la notte, senza tempo, infinita. “ La notte di Peppino Impastato non finiva perché tra la sua casa e quella di Tano Badalamenti c’erano cento passi, cento passi soltanto e suo padre finì per considerarlo uno come gli altri, la normalità che può appiattire, che giustifica tutto e così il tempo stagnava nel non agire. Peppino diventa il prototipo dell’eroe romantico dei nostri tempi; il disgusto della realtà in cui viveva, la coscienza della separazione da un sistema corrotto, ne fanno una vittima che vagheggia utopici mondi ideali e si esalta in gesti eroici, anticonformisti che si muovevano con la fretta di cambiare un sistema da lui stesso definito “Una montagna di merda” perché sapeva che non aveva tempo da perdere, anzi non ebbe proprio più tempo quando denunciò la corruzione del suo paese a gran voce, alla Radio in cui lavorava. Fu dilaniato dal tritolo affinché di lui non rimanesse traccia ma né il suo ricordo né il suo pensiero potranno mai cancellarsi sui binari della ferrovia di Cinisi. “Pensai a Peppino, con i pugni in tasca, tra quelle case, perduto con i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire in fondo alla Sicilia.” (Claudio Fava, “Cinque delitti imperfetti”, Mondatori 1994) "La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni". (Giovanni Falcone)

sabato 5 aprile 2008

Dolce è sentire Baglioni

http://it.youtube.com/watch?v=IBF4g_g-Hzg

Fratello Sole e Sorella Luna

http://it.youtube.com/watch?v=V2L200y_05k

Fratello sole e sorella luna Zeffirelli

http://it.youtube.com/watch?v=g07DEAXH4Dw

What a wonderful word -Amstrong

http://it.youtube.com/watch?v=8Jo29zxDaQ4
Vedo alberi verdi e anche rose rosse le vedo sbocciare per me e per te e penso dentro di me: che mondo meraviglioso.Vedo cieli azzurri e nuvole bianche, giorni di luce benedetta e notti di sacro buio e penso dentro di me: che mondo meraviglioso.I colori dell'arcobaleno così belli nel cielo sono anche sui volti della gente che passa,vedo amici darsi la mano e dirsi come stai ma in realtà vogliono dirsi: ti voglio bene.vedo bambini piangere e diventare grandi ,conosceranno più cose di quante potrò mai conoscere io e penso dentro di me: che mondo meraviglioso,sì, penso dentro di me: è proprio un mondo meraviglioso.
settembre 2005

Imagine Lennon

http://it.youtube.com/watch?v=jEOkxRLzBf0

Immagina non ci sia il Paradiso ,prova, è facileNessun inferno sotto i piedi,Sopra di noi solo il Cielo. Immagina che la gente viva al presente... Immagina non ci siano paesi,non è difficile.Niente per cui uccidere e morire e nessuna religione.Immagina che tutti vivano la loro vita in pace...Puoi dire che sono un sognatore ma non sono il solo Spero che ti unirai anche tu un giorno e che il mondo diventi uno.Immagina un mondo senza possessi,mi chiedo se ci riesci senza necessità di avidità o fame La fratellanza tra gli uomini Immagina tutta le gente condividere il mondo intero...

Puoi dire che sono un sognatore ma non sono il solo Spero che ti unirai anche tu un giorno

Il mio canto libero Battisti

http://it.youtube.com/watch?v=5E6ZOZzV9yY

Lo scriverò nel vento Zecchino d'oro

http://it.youtube.com/watch?v=8pUktUiepKM

Per Elisa di Beethoven

http://it.youtube.com/watch?v=EXVpIHIwYsA

L'autunno di Vivaldi

http://it.youtube.com/watch?v=mZ4Idsk_RYU

L'estate di Vivaldi

http://it.youtube.com/watch?v=O8GC6UkU8rc

l'inverno di Vivaldi

http://it.youtube.com/watch?v=bO5_poxJE-I

mercoledì 2 aprile 2008

LA "FILOSOFIA CRISTIANA"di Prof. D. Mauro Mantovani

Ogni fede ha una sua specifica formulazione e quindi non si può parlare più oltre del rapporto generico fede-filosofia, ma occorre riportarsi ad un campo di fede specifico, enucleato da un soggetto singolo o da un soggetto membro di una collettività specificata da una fede in comune.

In prospettiva cristiana, oggetto di fede il Dio Uni-Trino, creatore, provvidente, trascendente, personale (queste quattro caratteristiche escludono ogni prospettiva immanentistica, dualista, panteista, o deista) che si è rivelato prima indirettamente e poi direttamente in Cristo: questa è una fede trascendente che diventa metro per valutare ed eventualmente confutare altre “fedi” o concezioni del mondo e della vita, tenendo conto, come scrive FR, che “la verità che ci proviene dalla Rivelazione è, nello stesso tempo, una verità che va compresa alla luce della ragione”:
“ il rapporto tra la verità rivelata e la filosofia […] impone una duplice considerazione, in quanto la verità che ci proviene dalla Rivelazione è, nello stesso tempo, una verità che va compresa alla luce della ragione. Solo in questa duplice accezione, infatti, è possibile precisare la giusta relazione della verità rivelata con il sapere filosofico” (FR, n. 35).


Come si pone la filosofia di fronte alla Rivelazione (FR, 75-77)?

La differenza tra una filosofia “autonoma” e una filosofia “separata” (FR, n. 75)
“Si possono distinguere diversi stati della filosofia rispetto alla fede cristiana. Un primo è quello della filosofia totalmente indipendente dalla Rivelazione evangelica: è lo stato della filosofia quale si è storicamente concretizzata nelle epoche che hanno preceduto la nascita del Redentore e, dopo di essa, nelle regioni non ancora raggiunte dal Vangelo. In questa situazione, la filosofia manifesta la legittima aspirazione ad essere un’impresa autonoma, che procede cioè secondo le leggi sue proprie, avvalendosi delle sole forze della ragione. Pur nella consapevolezza dei gravi limiti dovuti alla congenita debolezza dell’umana ragione, questa aspirazione va sostenuta e rafforzata. L’impegno filosofico, infatti, quale ricerca della verità nell’ambito naturale, rimane almeno implicitamente aperto al soprannaturale.
Di più: anche quando è lo stesso discorso teologico ad avvalersi di concetti e argomenti filosofici, l’esigenza di corretta autonomia del pensiero va rispettata. L’argomentazione sviluppata secondo rigorosi criteri razionali, infatti, è garanzia del raggiungimento di risultati universalmente validi. Si verifica anche qui il principio secondo cui la grazia non distrugge, ma perfeziona la natura: l’assenso di fede, che impegna l’intelletto e la volontà, non distrugge ma perfeziona il libero arbitrio di ogni credente che accoglie in sé il dato rivelato.
Da questa corretta istanza si allontana in modo netto la teoria della cosiddetta filosofia «separata», perseguita da parecchi filosofi moderni. Più che l’affermazione della giusta autonomia del filosofare, essa costituisce la rivendicazione di una autosufficienza del pensiero che si rivela chiaramente illegittima: rifiutare gli apporti di verità derivanti dalla rivelazione divina significa infatti precludersi l’accesso a una più profonda conoscenza della verità, a danno della stessa filosofia” (FR, n. 75).

La filosofia cristiana e i suoi due aspetti: soggettivo e oggettivo (FR, n. 76)
“Un secondo stato della filosofia è quello che molti designano con l’espressione filosofia cristiana. La denominazione è di per sé legittima, ma non deve essere equivocata: non si intende con essa alludere ad una filosofia ufficiale della Chiesa, giacché la fede non è come tale una filosofia. Con questo appellativo si vuole piuttosto indicare un filosofare cristiano, una speculazione filosofica concepita in unione vitale con la fede. Non ci si riferisce quindi semplicemente ad una filosofia elaborata da filosofi cristiani, i quali nella loro ricerca non hanno voluto contraddire la fede. Parlando di filosofia cristiana si intendono abbracciare tutti quegli importanti sviluppi del pensiero filosofico che non si sarebbero realizzati senza l’apporto, diretto o indiretto, della fede cristiana.
Due sono, pertanto, gli aspetti della filosofia cristiana: uno soggettivo, che consiste nella purificazione della ragione da parte della fede. Come virtù teologale, essa libera la ragione dalla presunzione, tipica tentazione a cui i filosofi sono facilmente soggetti. Già san Paolo e i Padri della Chiesa e, più vicino a noi, filosofi come Pascal e Kierkegaard l’hanno stigmatizzata. Con l’umiltà, il filosofo acquista anche il coraggio di affrontare alcune questioni che difficilmente potrebbe risolvere senza prendere in considerazione i dati ricevuti dalla Rivelazione. Si pensi, ad esempio, ai problemi del male e della sofferenza, all’identità personale di Dio e alla domanda sul senso della vita o, più direttamente, alla domanda metafisica radicale: «Perché vi è qualcosa?».
Vi è poi l’aspetto oggettivo, riguardante i contenuti: la Rivelazione propone chiaramente alcune verità che, pur non essendo naturalmente inaccessibili alla ragione, forse non sarebbero mai state da essa scoperte, se fosse stata abbandonata a sé stessa. In questo orizzonte si situano questioni come il concetto di un Dio personale, libero e creatore, che tanto rilievo ha avuto per lo sviluppo del pensiero filosofico e, in particolare, per la filosofia dell’essere. A quest’ambito appartiene pure la realtà del peccato, così com’essa appare alla luce della fede, la quale aiuta a impostare filosoficamente in modo adeguato il problema del male. Anche la concezione della persona come essere spirituale è una peculiare originalità della fede: l’annuncio cristiano della dignità, dell’uguaglianza e della libertà degli uomini ha certamente influito sulla riflessione filosofica che i moderni hanno condotto. Più vicino a noi, si può menzionare la scoperta dell’importanza che ha anche per la filosofia l’evento storico, centro della Rivelazione cristiana. Non a caso, esso è diventato perno di una filosofia della storia, che si presenta come un nuovo capitolo della ricerca umana della verità.
Tra gli elementi oggettivi della filosofia cristiana rientra anche la necessità di esplorare la razionalità di alcune verità espresse dalla Sacra Scrittura, come la possibilità di una vocazione soprannaturale dell’uomo ed anche lo stesso peccato originale. Sono compiti che provocano la ragione a riconoscere che vi è del vero e del razionale ben oltre gli stretti confini entro i quali essa sarebbe portata a rinchiudersi. Queste tematiche allargano di fatto l’ambito del razionale.
Speculando su questi contenuti, i filosofi non sono diventati teologi, in quanto non hanno cercato di comprendere e di illustrare le verità della fede a partire dalla Rivelazione. Hanno continuato a lavorare sul loro proprio terreno e con la propria metodologia puramente razionale, ma allargando la loro indagine a nuovi ambiti del vero. Si può dire che, senza questo influsso stimolante della parola di Dio, buona parte della filosofia moderna e contemporanea non esisterebbe. Il dato conserva tutta la sua rilevanza, pur di fronte alla deludente costatazione dell’abbandono dell’ortodossia cristiana da parte di non pochi pensatori di questi ultimi secoli” (FR, n. 76).

La filosofia come “chiamata in causa dalla stessa teologia” (FR, n. 77)
“Un altro stato significativo della filosofia si ha quando è la stessa teologia a chiamare in causa la filosofia. In realtà, la teologia ha sempre avuto e continua ad avere bisogno dell’apporto filosofico. Essendo opera della ragione critica alla luce della fede, il lavoro teologico presuppone ed esige in tutto il suo indagare una ragione concettualmente e argomentativamente educata e formata. La teologia, inoltre, ha bisogno della filosofia come interlocutrice per verificare l’intelligibilità e la verità universale dei suoi asserti. Non a caso furono filosofie non cristiane ad essere assunte dai Padri della Chiesa e dai teologi medievali a tale funzione esplicativa. Questo fatto storico indica il valore dell’autonomia che la filosofia conserva anche in questo suo terzo stato, ma insieme mostra le trasformazioni necessarie e profonde che essa deve subire.
E proprio nel senso di un apporto indispensabile e nobile che la filosofia fu chiamata fin dall’età patristica ancilla theologiae. Il titolo non fu applicato per indicare una servile sottomissione o un ruolo puramente funzionale della filosofia nei confronti della teologia. Fu utilizzato piuttosto nel senso in cui Aristotele parlava delle scienze esperienziali quali «ancelle» della «filosofia prima». L’espressione, oggi difficilmente utilizzabile in forza dei principi di autonomia a cui si è fatto cenno, è servita nel corso della storia per indicare la necessità del rapporto tra le due scienze e l’impossibilità di una loro separazione.
Se il teologo si rifiutasse di avvalersi della filosofia, rischierebbe di far filosofia a sua insaputa e di rinchiudersi in strutture di pensiero poco adatte all’intelligenza della fede. Il filosofo, da parte sua, se escludesse ogni contatto con la teologia, si sentirebbe in dovere di impadronirsi per conto proprio dei contenuti della fede cristiana, come è avvenuto con alcuni filosofi moderni. In un caso come nell’altro, si profilerebbe il pericolo della distruzione dei principi basilari di autonomia che ogni scienza giustamente vuole garantiti”

CONOSCERE "FILOSOFICAMENTE"

Il desiderio di conoscere di tutti gli uomini è proclamato da Aristotele: “Tutti gli uomini desiderano per natura conoscere: ne è prova il diletto che provano per le sensazioni, che hanno indipendentemente da ogni vantaggio per se stesse” (Aristotele, Metafisica I [A], 980a).
Conoscere filosoficamente significa, in ogni problematica, porsi le domande che vanno agli aspetti più radicali e originari, coltivando le caratteristiche essenziali della criticità e della consapevolezza.
Si caratterizza quindi
- per la libertà dalla schiavitù dell’abitudine, del pregiudizio, della tradizione supinamente accettata (la tradizione in sé e per sé, e anche le abitudini possono aiutarci ad agire speditamente, a non dover ricominciare sempre da capo, ad essere previamente garantiti e orientati nel valutare e nel procedere), dalle affermazioni “dogmatiche” ingiustificate, assolutizzazioni ideologiche, dal puro egoismo;
- per il desiderio incessante di ricercare, esaminare, approfondire, selezionare, sintetizzare, essere logici e consequenziali;
- per la vigile ricerca nel cogliere la reale portata dei problemi, nel maturare l’importanza delle idee e della cultura per “osservare” bene la realtà in cui viviamo, diagnosticarne i mali, indirizzarne il cammino verso un futuro più “a misura d’uomo”.
Nella sua accezione più generale il desiderio di sapienza, la conoscenza filosofica, può intendersi dunque come - ricerca dei fondamenti dell’esperienza, - scoperta di una possibile realtà fondante gli accadimenti, - fondazione della inconfutabilità della conoscibilità del reale, - fondazione dell’agire.
Per questo nella sua definizione più generale la filosofia si pone come scienza che indaga sulle cause prime (dal punto di vista ontologico) e ultime (dal punto di vista gnoseologico) della realtà.


La filosofia potrebbe dunque essere definita, in modo più articolato, come:
- un “andare al di là” - che è al tempo stesso un andare “andare al fondo” - dell’orizzonte del quotidiano…
- che si attua mediante la ricerca razionale della verità…
- … dell’intero, vale a dire dell’ente in quanto ente e di ciò che, per il suo rapporto all’ente, costituisce una totalità…
- … così da consentire all’uomo di comprendere il senso della propria vita e di orientare le proprie scelte pratiche.

Il SIGNIFICATO DEL TERMINE FILO-SOFIA



“Uno dei punti su cui i filosofi non sono mai riusciti a raggiungere un accordo è in cosa consista la filosofia stessa”, scrivono R.H. Popkin e A. Stroll nella loro introduzione alla filosofia (Filosofia per tutti).
Per cogliere il significato della filosofia può risultare utile, anzitutto soffermarci sul significato etimologico del termine, che in qualche modo ci riporta all’assunto originario, alla sua esperienza primigenia. Nella sua etimologia, nel significato del nomen, la filosofia indica, come è noto, l’amore alla sapienza.
Il termine sophia (sapienza) almeno fino a Platone (Repubblica) aveva come significato soprattutto la prudenza, la saggezza pratica, l’arte del buon governo della propria vita e/o della vita pubblica. In Socrate indica la conoscenza fattiva del Bene, in Platone la conoscenza del mondo delle idee, la virtù politica di chi regge lo Stato.
Con la distinzione aristotelica tra virtù etiche e virtù dianoetiche, sophia è diventato via via il termine che connotava la “ragione teoretica”, la “conoscenza delle cose necessarie e immutabili”.
Il termine filìa (amore, da fileo) è una delle tre forme con le quali si indica in greco l’amore (eros - filìa - agape). Filìa denota l’amore di amicizia, segnato da una componente di razionalità, e indicante un bene di cui si gode ma che non si possiede ancora in pienezza, e che dunque è desiderabile.
L’uso del termine philosophia oscillò fin da subito tra due poli estremi: da una parte l’identificazione, nella lingua greca, con la cultura in generale, con il desiderio della cultura in generale (paideia: educazione, formazione); d’altra parte è stato usato con accezione specifica, secondo la tradizione, dai pitagorici (prima nel circolo pitagorico di Fliunte, l’attuale Fliuda); con costoro il termine è inteso come amore di un’unica saggezza che solo al divino compete e si espande nell’uomo come desiderio di contemplazione dello spettacolo del mondo; tale termine fu svolto già fin dall’inizio in una pluralità di interpretazioni.
Pitagora parla di sé come “filosofo” (amante del sapere). Gli dèi sono sapienti, e la saggezza compete solo al divino; i filosofi sono “amanti del sapere”, vivendo del desiderio di contemplare “lo spettacolo del mondo”. La vita “è un grande mercato”: c’è chi ci va per fare affari, altri per divertirsi… i filosofi vanno per osservare “disinteressatamente” quanto accade. Nell’opera di Platone riveste già il valore di ricerca metafisica, ma soprattutto come tensione morale: il filosofo a servizio della città. In Aristotele il termine filosofia indica più direttamente la contemplazione del cosmo, il metodo di ricerca scientifica, come insieme della scienza che si qualifica come filosofia prima e filosofia seconda. Via via, quindi, il termine ha assunto anche un significato più “tecnicamente” definito, indicando una specifica disciplina. Basti pensare alla “filosofia prima” aristotelica (i principi primi, le strutture più generali dell’essere, Dio) o a come lo stesso Eraclito, in vari frammenti, parli della contemplazione dei “principi più alti del reale”.
È assai interessante studiare le variazioni del termine nei filosofi antichi, fino agli stoici, e poi analizzare le considerazioni del termine al momento dell’incontro dell’ellenismo con il mondo prima giudaico e poi cristiano.

Lo stupore originario, inizio del filosofare

Se guardiamo alla storia delle culture nel corso dei secoli, sia in Oriente che in Occidente, l’uomo si è sempre interrogato sulla “verità delle cose”, a partire dall’esperienza del suo esistere e degli accadimenti che coinvolgevano la sua vita. Ovunque e in ogni tempo, mano a mano che l’uomo conosce sia la realtà e il mondo attorno a sé, sia se stesso nella sua unicità, gli diventa sempre più impellente la necessità di rispondere alla domanda sul “senso” delle cose e della sua stessa esistenza.
Non a caso sull’architrave del tempio di Delfi era scolpito il monito Conosci te stesso: se si è uomini si è anche “conoscitori di se stessi”, proprio perché ciò che costituisce l’oggetto della nostra conoscenza non rimane per noi un qualcosa di esclusivamente accessorio ed esterno, ma diventa anche - almeno in qualche modo - parte della nostra stessa vita. Basta considerare la storia antica per vedere che in ogni popolo e nelle differenti culture si trovano delle domande di fondo che caratterizzano il percorso individuale e collettivo dell’esistenza umana, che trovano espressione nella letteratura, nell’arte, nelle religioni: CHI SONO?, DA DOVE VENGO E DOVE VADO?, PERCHÉ LA PRESENZA DEL MALE?, CHE COSA CI SARA' DOPO QUESTA VITA?
Di questi interrogativi, che hanno la loro comune scaturigine nella domanda di senso che da sempre urge nel cuore dell’uomo e dalla cui risposta (esplicita o implicita) dipende l’orientamento da imprimere all’esistenza, si occupa - nelle modalità che le sono proprie - anche la filosofia.
Da dove nasce: dall’interrogazione radicale sul senso della vita e dell’esistenza; dalla coscienza della finitezza della nostra vita e della nostra destinazione verso la morte; dalla volontà di capire e di trasformare la realtà, ricercando nuove forme di unità e di sintesi nella conoscenza e nuove opportunità di azione sulla realtà; dal dubbio che ci assale, specie rispetto alle risposte “preconfezionate”; dall’esigenza di “dirigere” con saggezza le nostre scelte e il nostro “stare nel mondo”, affinché non sia prigioniero dell’immediato e del mero istintivo; dalla meraviglia, lo stupore, l’inquietudine e la curiosità che proviamo di fronte a tutto ciò che ci circonda e con cui siamo in rapporto.
Proprio i temi dello stupore e della meraviglia (theorein - thaumazein) sono stati i più comunemente messi in rilievo dai filosofi antichi parlando del sorgere della filosofia.
“Leonte, principe di Fliunte, chiese a Pitagora che cosa significasse «filosofo». Pitagora rispose che […] vi sono alcuni che non tengono in alcun conto il resto e studiano amorosamente la natura. Pitagora chiamava costoro «amanti della saggezza», cioè filosofi” (Cicerone, Tusc. Disp. V, 3, 9).
Platone, nel dialogo tra Teeteto e Socrate si richiama questo stupore originario: “[Teeteto] - In verità, o Socrate, io sono straordinariamente meravigliato di quel che siano queste «apparenze»; e talora se mi fisso a guardarle, realmente, ho le vertigini. [Socrate] - Amico mio, non mi pare che Teodoro abbia giudicato male della tua natura. Ed è proprio del filosofo questo che tu provi, di essere pieno di meraviglia: né altro inizio ha il filosofare che questo: e chi disse che Iride fu generata da Tarmante, non sbagliò, mi sembra nella genealogia” (Platone, Teeteto 155d).
“Spinto dal desiderio di scoprire la verità ultima dell’esistenza, l’uomo cerca di acquisire quelle conoscenze universali che gli consentono di comprendersi meglio e di progredire nella realizzazione di sé. Le conoscenze fondamentali scaturiscono dalla meraviglia suscitata in lui dalla contemplazione del creato: l’essere umano è colto dallo stupore nello scoprirsi inserito nel mondo, in relazione con altri suoi simili dei quali condivide il destino. Parte di qui il cammino che lo porterà poi alla scoperta di orizzonti di conoscenza sempre nuovi. Senza meraviglia l’uomo cadrebbe nella ripetitività e, poco alla volta, diventerebbe incapace di un’esistenza veramente personale” (Fides et ratio, n. 4).

sabato 29 marzo 2008

Abbi cura di te...

Ogni volta in cui, crescendo, avrai voglia di cambiare le cose sbagliate in cose giuste, ricordati che la prima rivoluzione da fare è quella dentro se stessi, la prima e la più importante.Lottare per un'idea senza avere un'idea di sé è una delle cose più pericolose che si possano fare.Ogni volta che ti sentirai smarrita, confusa, pensa agli alberi, ricordati del loro modo di crescere.Ricordati che un albero con molta chioma e poche radici viene sradicato al primo colpo di vento, mentre in un albero con molte radici e poca chioma la linfa scorre a stento.Radici e chioma devono crescere in egual misura, devi stare nelle cose e starci sopra, solo così potrai offrire ombra e riparo, solo così alla stagione giusta potrai coprirti di fiori e di frutti.E quando poi davanti a te si apriranno tante strade e non saprai quale prendere, non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta.Respira con la profondità fiduciosa con cui hai respirato il giorno in cui sei venuta al mondo, senza farti distrarre da nulla, aspetta e aspetta ancora. Stai ferma, in silenzio, e ascolta il tuo cuore.Quando poi ti parla, alzati e va' dove lui ti porta.

lunedì 25 febbraio 2008

Serendipità ovvero:la fortuna delle menti preparate


I semi di una grande scoperta sono costantemente presenti nell'aria che ci circonda, ma essi cadono e fanno radici soltanto nelle menti preparate a riceverli"
Joseph Henryfisico americano
Serendipità è un
neologismo cioè una parola di recente ideazione..poco usato nella lingua italiana, proveniente dall'assai più diffuso corrispondente anglosassone serendipity. Tale parola inglese fu coniata nel 1754 dal letterato Horace Walpole, ispirato dalla lettura della fiaba persiana "Tre principi di Serendippo" di Cristoforo Armeno. Il termine "serendipità" deriva dall’isola di Serendippo, antico nome di Sri Lanka, e in particolare dalla novella dei tre principi di Serendippo di Cristoforo Armeno, che ha ispirato il racconto Zadig di Voltaire. Nel racconto i tre protagonisti trovano sul loro cammino una serie di indizi, che li salvano in più di un'occasione. La storia descrive le scoperte dei tre principi come intuizioni dovute sì al caso, ma anche allo spirito acuto e alla loro capacità di osservazione. Serendipità è dunque - filosoficamente - lo scoprire una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra. Ma il termine non indica solo fortuna: per cogliere l'indizio che porterà alla scoperta occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore di esperienze che non corrispondono alle originarie aspettative. "Fu anticamente nelle parti orientali, nel paese di Serendippo, un grande e potente re, nominato Giaffer, il quale ritrovandosi tre figliuoli maschi...". Così inizia a narrare Cristoforo Armeno, introducendo subito i personaggi della storia: tre inseparabili principi, figli di Giaffer, re di Serendippo, educati dai più grandi saggi del tempo, coltissimi e pronti a cogliere ogni sfida intellettuale, privi però di un'esperienza altrettanto importante di vita vissuta: tutti teoria, insomma, e niente pratica. Per provare, oltre alla loro saggezza, anche le loro attitudini pratiche, Giaffer, con uno stratagemma, decide di cacciarli dal regno: "Deliberò, per farli compiutamente perfetti, che andassero a vedere del mondo, per apparare da diversi costumi e maniere di molte nationi con l'esperienza quello che colla lettione de' libri, e disciplina de' precettori s'erano di già fatti padroni". Nasce così, per il volere di un genitore esigente, ed è proprio il caso di dire realista, il viaggio verso l'ignoto dei tre principi, che subitono incocciano nella disavventura che li farà passare alla storia. Mentre i tre sono da poco giunti nel Paese di Beramo, "potente imperadore", si imbattono in un cammelliere, disperato per aver perduto il proprio prezioso animale, unica fonte di guadagno. I tre non l'hanno visto, ma per burlarsi del buon uomo e dilettarsi del proprio intelletto, dicono al poveretto che il suo animale l'hanno incontrato "nel cammino, buon pezzo a dietro". Per assicurare il cammelliere sulle loro indicazioni, gli forniscono tre elementi che convincono il cammelliere della loro buona fede: il cammello perduto è cieco da un occhio, "gli manca uno dente in bocca" ed è zoppo. Il buon uomo, rincuorato dalle buone notizie, ripercorre a ritroso la strada fatta dai tre principi, ma nonostante il lungo cammino non riesce a ritrovare l'animale. Il giorno seguente, ritornato sui suoi passi, incontra di nuovo i tre giovani e si lamenta con loro di averlo ingannato. Per dimostrare di aver detto il vero i tre principi aggiungono altri tre elementi. Sono la prova che hanno veramente visto il cammello, ma sono anche la loro condanna. Dicono: il cammello aveva una soma, carica da un lato di miele e dall'altro di burro, portava una donna, e questa era gravida. Di fronte a questi particolari, il cammelliere dà per certo che i tre abbiano visto il suo animale ma, vista la ricerca inutile del giorno precedente, crede di essere stato gabbato e accusa i tre giovani, vestiti tra l'altro con panni modesti e non certo regali, di avergli rubato il cammello. Iniziano così le peripezie dei nobili singalesi, imprigionati nelle segrete dell'imperatore Beramo che, convocata un'udienza e nonostante la sua magnanimità, considerate le apparenze, e le scuse addotte dai tre – l'abbiamo fatto per burlarci del cammelliere ma noi il cammello non l'abbiamo mai visto – è costretto a condannarli a morte perché ladri. E i giovani verrebbero giustiziati se, per puro caso, un altro cammelliere, trovato il cammello e avendolo riconosciuto, non lo riconducesse al legittimo proprietario. Recuperato il mal tolto, e dimostrata in tal modo la propria innocenza, i tre vengono liberati. Prima però devono spiegare come abbiano fatto a descrivere nel dettaglio l'animale, senza averlo mai visto. E' a questo punto che l'abduzione scende in campo, modificando il destino dei tre principi, e viene palesemente svelata all'imperatore Beramo e all'incuriosito lettore. Ciascun particolare del cammello è stato immaginato, ed è poi risultato vero, grazie alla capacità di osservazione e alla sagacia dei tre giovani. Che fosse cieco da un occhio era dimostrato dal fatto che, pur essendo l'erba migliore da un lato della strada, era stata brucata quella del lato opposto, a indicare che il cammello vedeva solo da un occhio, quello che dava sul lato della strada con l'erba mangiata. Che fosse privo di un dente lo dimostrava l'erba mal tagliata che si poteva osservare lungo la via. Che fosse zoppo, poi, lo svelavano senza ombra di dubbio le impronte lasciate dall'animale sulla sabbia. E' sulla spiegazione del carico, però, che l'abduzione diventa più difficile e mira a stupire: il cammello portava da un lato miele e dall'altro burro perché lungo la strada da una parte si accalcavano le formiche (amanti del grasso) e dall'altro le mosche (amanti del miele); aveva sul dorso una donna perché in una sosta il passeggero si era fermato ai lati della strada a urinare, e questa urina aveva attratto l'attenzione di uno dei principi che, chinatosi per osservarla, aveva visto vicino delle orme di piede umano molto piccolo, che poteva essere di donna o di ragazzo. Per sciogliere la sua curiosità aveva posto un dito nell'urina (cosa non strana per i tempi, e che i medici facevano comunemente al letto del malato) e la odorò, venendo "assalito da una concupiscenza carnale" che può venire solo da urine di donna. Infine la donna doveva essere gravida, perché poco innanzi alle orme dei piedi c'erano quelle lasciate, più profondamente dalle mani, usate dalla donna per rialzarsi a fatica visto "il carico del corpo".Le spiegazioni dei tre principi stupiscono i presenti e specie Beramo, che decide di fare dei tre dei tre giovani sconosciuti, che mantengono segreta la propria vera identità, i propri consiglieri. Nel centinaio di pagine della novella, i tre principi in incognito offrono così i loro servigi all'imperatore, salvandogli anche la vita e applicando in ogni occasione il metodo dell'abduzione per risolvere situazioni intricate o addirittura prevedere cosa accadrà nel futuro. Come si vede, le scoperte fatte dai principi nascono dal caso, dall'osservazione e dalla sagacia, secondo le tre regole auree della serendipità. Walpole restò così colpito dal comportamento dei protagonisti della strana storiella da inventare, per l’occasione, una parola nuova: serendipity, ripresa poi da tutte le lingue per indicare la possibilità di fare, per caso, sorprendenti ed inattese scoperte.Da quel momento, l’idea di un andamento che dispone a trovare cose inaspettate mentre si pensa, si sperimenta, o si opera, in tutt’altra direzione e magari con tutt’altri fini si è, man mano, introdotta nelle cognizioni di umanisti, filosofi, economisti, finanche dei pubblicitari, ma soprattutto si è conquistata un posto rilevante nella storia delle scoperte scientifiche: dalla penicillina rivelatasi a Fleming grazie alla casuale insorgenza di muffe in colture da tempo sotto osservazione, alla radiazione cosmica di fondo scoperta da Amo Penzias riparando un antenna, per non parlare poi, più a ritroso nel tempo, in anticipo sulle speculazione di Walpole, della mela di Newton o della vasca d’Archimede. Ma, nell’ultimo scorcio del secolo appena trascorso, il “regno di Serendip” ha, in un certo senso, spalancato le sue porte a tutti, e questo grazie ad una geniale invenzione, dovuta a Tim Berners-Lee: il World Wide Web. Nel nuovo ambiente virtuale costituito da un sempre più vasto ed intricato ipertesto planetario, la pratica della “serentipity”, da esclusivo appannaggio d’intraprendenti principi o di pochi fortunati scienziati, si è trasformata in quell’esperienza naturalmente singolare sperimentata quotidianamente, con più o meno soddisfazione e/o successo, dalla moltitudine dei suoi frequentatori. Oltre ad essere spesso indicata come elemento essenziale nell'avanzamento della ricerca scientifica (spesso scoperte importanti avvengono mentre si stava ricercando altro), la serendipità può essere vista anche come atteggiamento, e - come tale - viene praticata consapevolmente più spesso di quanto non si creda. Ad esempio tutte le volte che si smette di arrovellarsi nel ricordare un nome, nella speranza che l'informazione emerga da sé dalla memoria, in realtà ci si sta affidando alla serendipità. Una famosa frase per descrivere la serendipità è del ricercatore biomedico americano Julius H. Comroe: «la serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino». In filosofia si possono distinguere pensatori serendipici. Come Montaigne e Ralph Waldo . Voltaire, il grande illuminista francese, sulla scorta di una novella di Cristoforo Armeno sui tre principi di Serendippo, probabilmente letta in una versione tradotta, ideò nel 1749 un personaggio che faceva dell'abduzione e della serendipità il proprio strumento di vita. Questo personaggio era Zadig, il cui nome è passato alla storia della letteratura dando il titolo alla lunga novella in cui si narra delle sue avventure (in rete si trova l'intero racconto in francese, anche zippato) Zadig, il saggio ("Saadiq" in arabo significa appunto saggio), si accontentava di usare "lo stile della ragione" per affrontare le vicende della vita. Si ritrovava spesso nei guai, ma grazie alla logica e in particolare all'abduzione, riusciva sempre a cavarsela, tanto che alla fine divenne principe di Babilonia. Tra le numerose avventure di Zadig, ce n'è una che ricalca passo passo quella dei tre princìpi di Serendippo. Al re e alla regina sono sfuggiti una cagna e un cavallo. Zadig non li ha visti ma li descrive dettagliatamente, perciò viene incarcerato e riesce a salvarsi solo quando cagna e cavallo vengono ritrovati. [leggi il racconto]. Molte volte la scoperta fatta per caso viene sminuita: si dà più valore all'evento casuale che all'osservazione attenta e alle capacità del ricercatore. Si dice insomma: "Sì, è stato bravo, ma se non fosse accaduto quel fatto inatteso non avrebbe mai scoperto nulla". Non si capisce che la vera grandezza di uno scienziato si misura spesso con il metro della serendipità. A dimostrarlo è la strada dei premi Nobel, che è lastricata di esempi di serendipità, e che ha visto alternarsi sul palco dell'Accademia delle scienze di Stoccolma i più famosi uomini di scienza del Novecento, che in molti casi hanno sottolineato come la sorte abbia guidato le loro menti. Tra i primi a riconoscere l'importanza nella ricerca scientifica della sagacia, unita a osservazione e caso, fu Louis Pasteur, sul finire del secolo scorso. Il grande microbiologo francese, che con Robert Koch ha impresso una svolta decisiva alla medicina ottocentesca, trasformandola nella medicina moderna, che ancora oggi è praticata, amava ripetere spesso ai suoi allievi una frase che è passata alla storia: "La fortuna favorisce le menti preparate". Nell'affermazione di Pasteur sta l'essenza della ricerca: la sorte viene vista non come un colpo di fortuna, ma come un elemento indispensabile per scoprire qualcosa. Viene inserita in un quadro più ampio, che esula dall'influenza della dea bendata e passa sul piano del ricercatore. Il caso, infatti, passa inosservato e non viene assolutamente colto nella sua novità od originalità se a osservare gli eventi non c'è una mente preparata. Con ciò Pasteur trasforma il colpo di genio in una dote costruita con il passare del tempo, creata in anni di studio prima, e di lavoro poi. Vuole insomma assegnare il giusto rilievo alla cultura e alle conoscenze acquisite, senza le quali ogni evento casuale cadrebbe inosservato, pur essendo visto da molti. La serendipità, dunque, può essere applicata solo da chi ha una mente preparata e non da chiunque. Per tale motivo scoprire qualcosa attraverso il caso deve essere motivo di vanto e non di... casualità. La serendipità non pretende di essere metodo scientifico, che possa sostituire il modo di procedere ortodosso dei ricercatori, ma è un'applicazione particolare di un processo logico, l'abduzione, abitualmente usato dagli scienziati. E', in fondo, un'eccezione, che può parere, a prima vista, un'eresia, ma che deve essere parte costante dell'agire dello scienziato, il quale dovrebbe guardare cosa accade con occhi puliti da ogni preconcetto. Solo infatti una mente elastica potrà ricondurre il dato discordante e inatteso a una possibile novità invece che a una deviazione fastidiosa perché non facente parte del proprio percorso logico.

lunedì 18 febbraio 2008

S O S BULLISMO: la filosofia come valido sostegno




“La filosofia è innanzitutto una forza di interrogazione e di riflessione che verte sui grandi problemi della conoscenza e della condizione umana. “
(Edgar Morin, La tete bien faite)
Secondo le ultime stime ufficiali uno studente su tre, con sempre maggiore frequenza tra i banchi di scuola, è stato vittima almeno una volta di atti di bullismo e non si contano più i filmati violenti o di cattivo gusto registrati in classe attraverso telefonini e riversati sui siti internet ma si manifestano anche episodi che arrivano a coinvolgere i professori. Una recente indagine in Italia sul ''bullismo'' nelle scuole superiori ha evidenziato che un ragazzo su due subisce episodi di violenza verbale, psicologica e fisica e il 33% è una vittima ricorrente di abusi. Dai risultati dell’indagine emerge che le prepotenze di natura verbale e psicologica prevalgano rispetto a quelle di tipo fisico: il 42% dei ragazzi afferma di essere stato preso in giro; il 30% ha subito delle offese e il 23,4% ha segnalato di aver subito calunnie; nelle violenze di tipo psicologico, il 3,4% denuncia l'isolamento di cui è stato oggetto, mentre l’11% dichiara di essere stato minacciato. Il termine bullismo è la traduzione italiana dall'inglese "bullying" ed è utilizzato per designare i comportamenti con i quali un singolo o un gruppo, tenta di umiliare o dominare una persona o un altro gruppo. Il termine "bullying" include sia i comportamenti del "persecutore" sia quelli della "vittima" ponendo al centro dell'attenzione la relazione nel suo insieme. "E' il "cyberbullying" - scrive Fioroni - "la nuova forma di prevaricazione, che non consente a chi la subisce di sfuggire o nascondersi e coinvolge un numero sempre più ampio di vittime, è in costante aumento e non ha ancora un contesto definito. Ciò che appare rilevante è che oggi non è più sufficiente educare a decodificare l'immagine perché i nuovi mezzi hanno dato la possibilità a chiunque non solo di registrare immagini ma anche di divulgarle. Di conseguenza la prevenzione ed il contrasto al bullismo sono azioni "di sistema" da ricondurre nell'ambito del quadro complessivo di interventi e di attività generali. Il fenomeno del bullismo si manifesta non solo con molestie fisiche e sessuali tra compagni, ma con violenze di giovani ultrà che trasformano gli stadi in campi di battaglia. Non bastano le misure repressive quali la sospensione dalle lezioni di soli 15 giorni o le multe da pagare, il bullismo è un fenomeno complesso che affonda le sue radici in un profondo disagio esistenziale tipico dell'
età adolescenziale e pre-adolescenziale e che va affrontato sotto i differenti aspetti psicologici, sociali, scolastici. : qualsiasi azione di contrasto rischia di rimanere incompiuta se non la affiancheremo con una vera e propria offensiva educativa per i nostri giovani": è quanto ha dichiarato il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni presentando al ministero la campagna nazionale contro il bullismo. Le linee di indirizzo del ministro sono contenute in una Direttiva di 13 pagine inviata a tutte le scuole ma che è anche il frutto del lavoro di proposta che le stesse scuole hanno fatto arrivare in questi mesi. "La scuola - scrive Fioroni - è il terminale ultimo su cui convergono tensioni e dinamiche che hanno origine complessa nel nostro sistema sociale, compreso il bullismo, e rappresenta una risorsa fondamentale, l'istituzione preposta a mantenere un contatto non episodico ed eticamente strutturato con i giovani" .L’ atteggiamento del bullo nei confronti del più debole o dei più deboli ha cause che spesso risiedono nell'invidia nei confronti delle vittime, invidia alimentata da un forte complesso adleriano d'inferiorità: il bullo prova piacere nel disturbare, insultare, picchiare o danneggiare nelle cose la "vittima" e continua anche quando è evidente che la vittima sta molto male ed è angosciata. Gli episodi di bullismo si consumano il più delle volte in gruppo di coetanei e diventa il principale punto di riferimento che fornisce ai ragazzi la possibilità di sentire colmato il vuoto lasciato dai legami infantili interni alla famiglia, di condividere conflitti e ansie proprie dell’età, di sperimentare un forte sentimento di appartenenza e di potere. I ragazzi, spesso soli e confusi cercano di difendersi dalla solitudine, dalla frustrazione, dalla “paura” della complessità del mondo che li circonda, rifugiandosi in questa dimensione collettiva in cui trova spazio l’espressione della propria personalità, verso l’indipendenza propria dell’età adulta con legami diversi all’interno della famiglia da quelli dell’infanzia. Tendenze individuali, che si manifestano in una situazione di scarso controllo degli impulsi aggressivi e sessuali messi in atto senza possibilità di elaborazione psichica dove la debolezza, la passività, la fragilità non vengono tollerate perché sono percepite come minaccia alla propria identità personale e per questo “devono” essere combattute con ogni mezzo. Purtroppo sono presenti già nella Scuola Primaria episodi in cui un bambino più forte o più grande o anche un gruppo, minaccia o intimorisce un altro bambino ritenuto più debole o in difficoltà. Ormai siamo abituati a vedere ragazzi e ragazze giovanissimi che sfoggiano comportamenti, abiti, apparecchi elettronici fino a qualche decennio fa riservati ai soli adulti. Il confine tra infanzia e adolescenza si fa sempre più sottile. I cambiamenti sono sempre più repentini e comprensibilmente destano preoccupazioni e timori negli adulti. Giovanissimi sempre più esposti che si troveranno da una parte nell’impossibilità di rivolgersi al mondo infantile ormai precluso, dall’altra di proseguire nel processo di crescita verso un mondo adulto che spaventa per diversi motivi: dalla sessualità alla separazione psicologica dai propri genitori. In quest’impasse l’adolescente può rimanere bloccato in uno stato d’animo di sospensione e di vuoto di pensiero. Quando la crisi si aggrava e non trova soluzione appaiono comportamenti patologici come: l’impossibilità di frequentare la scuola; le fughe; i tentativi di suicidio; i disturbi alimentari le condotte antisociali gli stati di dipendenza (droghe, alcool, abuso di sostanze, dipendenza da videogiochi). Numerosi fattori poi sono legati soprattutto alla sollecitazione da parte degli adulti di una precoce autonomia dei figli o ancora alla notevole influenza che possono avere i mass media in questo periodo che danno sempre più importanza agli aspetti esteriori, all’immagine idealizzata del corpo, all’apparire più che all’essere, al possesso di oggetti concreti anziché all’interiorizzazione di esperienze affettive e culturali. L’esposizione precoce e continuativa a immagini violente ed eccitanti, con la proposta di spettacoli, fiction, cartoni, film, fatti di cronaca, vanno a far leva su rappresentazioni che a questa età sono attive nel segreto del mondo interno dei ragazzi, ma che possono dar loro la sensazione che tutto sia possibile. Vengono sollecitati temi di magia, “poteri”, assenza di limiti, ambiguità sessuali. Tutto questo a scapito di quella regolazione degli affetti e degli impulsi. Talvolta nei genitori emerge la sensazione di “avere un estraneo in casa”: cambi repentini d’umore, diminuzione del proprio rendimento scolastico o chiusura sociale legata alle sole esperienze del gruppo di amici, che si esprimono spesso con il bisogno di imporre il proprio punto di vista e a volte con il rifiuto di tutto ciò che prima sembrava acquisito: valori, religione, abbigliamento. In questo periodo i genitori possono esacerbare le differenze tra il passato e il presente e il rapporto con i figli può essere ostacolato dalle recriminazioni e dalle ansie di controllo o, al contrario, da un atteggiamento eccessivamente permissivo. Non è affatto infrequente infatti, specialmente oggi, che i genitori per non sentirsi esclusi e sorpassati abdichino alle loro funzioni di orientamento e limite. Al contrario i ragazzi, sia pure con modalità ambivalenti, chiedono ai genitori di rimanere un punto di riferimento e di confronto. Nel nostro sistema sociale la scuola rappresenta il luogo non solo dell’apprendimento ma soprattutto l’ambiente in cui ogni bambino (e ragazzo) fa esperienze, amicizie, insomma si forma e cresce. Erroneamente si ha però spesso una sottovalutazione del bullismo: lo si confonde con la normale aggressività del vivere sociale. In realtà quando parliamo di bullismo parliamo di qualcosa di diverso dalla normale conflittualità fra coetanei e diverso anche dagli sporadici episodi di violenza che possono accadere in una comunità. E' vero che le prepotenze ci sono sempre state, ma questo non significa che non abbiano avuto e non abbiano conseguenze negative sulla vita delle persone coinvolte, sia per quanto riguarda le persone prepotenti sia per quanto riguarda chi le subisce. Bisognerebbe rivolgersi all’ équipe psico-medico-pedagogica molto in voga negli anni ’60 ma oggi quasi scomparsa e, anche se ci sono vari disegni di legge, non si è ancora arrivati a definire una legge istitutiva di questo servizio basato su un progetto di intervento teso a fornire consulenza, coordinamento e promozione del benessere per tutti i protagonisti della scuola: alunni al primo posto, ma anche genitori, insegnanti, dirigenti per affrontare tematiche relative alla prevenzione, all’individuazione di specifici bisogni degli alunni o anche per far fronte a situazioni di disagio. Fioroni sottolinea nella Direttiva che "per prevenire e contrastare efficacemente fenomeni di bullismo, di violenza fisica o psicologica che vedono protagonisti una parte dei bambini e degli adolescenti, si deve sostenere e valorizzare il ruolo degli insegnanti, dei dirigenti scolastici e di tutto il personale tecnico ed ausiliario che, quotidianamente e senza "fare notizia", svolgono un'azione meritoria ed impegnativa per la realizzazione della funzione educativa che ciascuna istituzione scolastica autonoma è chiamata ad assolvere nel tessuto sociale in coerenza ai principi ed ai valori comuni della Costituzione italiana. E' alla singola scuola che spetta ricercare la strategia più idonea ed efficace nell'azione di educazione alla cittadinanza e di prevenzione del disagio, che potrà trovare espressione nel Piano dell'Offerta Formativa, documento fondamentale delle scuole autonome. L’istituto comprensivo di Feroleto sta già attuando la Philosophy for Children come strumento insostituibile e centrale per affrontare questi fenomeni è lo studio delle materie curricolari che fornisce agli studenti le capacità per una decodifica approfondita della realtà insieme alla proposta di attività strutturate e coerenti con il percorso di formazione. Il valore educativo dell'esperienza scolastica, infatti, comprende e supera la sola acquisizione di conoscenze e competenze". In tutto questo quadro sociale incerto la filosofia, in particolar modo la P4C di Lipman, intesa come valorizzazione del dialogo in classe, già dai primissimi anni scolastici, a partire dalla scuola dell’Infanzia, può rappresentare un percorso validissimo attivo di prevenzione o addirittura di risoluzione del bullismo perché tiene in considerazione la componente emotivo – affettiva dei bambini/ragazzi i quali discutendo mettono a nudo se stessi, mentre portano nel gruppo paure, idee, emozioni e sentimenti vissuti in prima persona ed imparano a conoscere se stessi e a relazionarsi con gli altri nonché a gestire i propri ed altrui processi emozionali, affettivi e volitivi. Spinoza afferma che solo una seria ricerca filosofica costituisce una vita autentica, intesa come una sfida, da parte dell'insegnate, a livello culturale, sociologica e civica che deve coinvolgere anche i più piccoli per dotarli di una propria capacità critica, che permetta loro di ragionare, di riflettere sulla realtà e di compiere in futuro scelte consapevoli. Se la filosofia è misurata con i problemi reali, è davvero uno strumento di formazione della persona e di indirizzo della vita perché promuove negli alunni la consapevolezza di sé, una crescente autonomia personale, organizzativa, decisionale; il senso della responsabilità personale e collettiva, la capacità di rapportarsi in maniera corretta e collaborativa.
by mondoglitter.it

Che pesce sei?

Un'insegnante spiegando alla classe che in spagnolo, contrariamente all'inglese, i nomi possono essere sia maschili che femminili. "Uno studente chiese: "Di che genere è la parola computer?" Anziché rispondere, l'insegnante divide la classe in due gruppi, maschi e femmine, e gli chiese di decidere tra loro se computer dovesse essere maschile o femminile.A ciascun gruppo chiese inoltre di motivare la scelta con 4 ragioni.Il gruppo degli uomini decise che "computer" dovesse essere decisamente femminile"la computadora"perchè:1.Nessuno tranne il loro creatore capisce la loro logicainterna.2.Il linguaggio che usano per comunicare tra computer èincomprensibile.3.Anche il più piccolo errore viene archiviato nella memoria a lungotermine per possibili recuperi futuri.4.Non appena decidi di comprarne uno, ti ritrovi a spendere metà del tuo salario in accessori.Il gruppo delle donne,invece, concluse che i computer dovessero essere maschili (el computador)perchè:1.Per farci qualunque cosa, bisogna accenderli.2.Hanno un sacco di dati ma non riescono a pensare da soli.3.Si suppone che ti debbano aiutare a risolvere i problemi, ma perla metà delle volte,il problema sono LORO;4.Non appena ne compri uno, ti rendi conto che se avessi aspettatoqualche tempo,avresti potuto avere un modello migliore.Le donne vinsero.