Caro Franco Costabile, provo per la tua poesia un amore vivissimo, nato a prima vista: gli incontri più importanti nella vita sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano. Ti ho provato quando vidi la mia vita ben riflessa nel cielo della mia terra. La tua Sudditudine, senza luce, mi ha travolto nelle mie passeggiate notturne, tra i corridoi bui dell’anima, e mi ha messo al corrente di un linguaggio appeso a un filo : il linguaggio della la “tua “terra fortemente amata e odiata. Hai vissuto blindato nella camera oscura della tua angoscia, mettendo sotto accusa l’arroganza dei padroni verso la tua gente, omertosa di sogni. E ti sei autosospeso, più volte, dall’incarico di cittadino calabrese, urlando il tuo dolore, ma ti hanno definito populista, di lessico poco elevato e metafisico: unico linguaggio capace di far urlare il tuo disappunto per quei politici, ancora nostri. “E te ne andasti con un inverno in più, fra memorie di sassi e lucertole nuove… Fra le cicche e gli sputi raccogliendo la pietà del marciapiede.” Sei, tu, di una metafisica diversa: la metafisica emotiva del quotidiano, così la definisco: hai suscitato in me i più aulici sentimenti speculari della collettività. Ora mi sento calabrese più che mai, nel bene e nel male. Un “alto”coinvolgimento emotivo verso un sentire colmo di bellezza e di rancore che non fu mai rassegnazione “ Noi siamo le giacche appese nelle baracche dei pollai d’Europa. Addio, Terra, salutiamoci, è ora”; verso la tua solitudine, che adesso intendo essere anche mia “Ma la sera del mondo non sa dire, perché il mondo è più dei tuoi spazi, e se nell’alba sbianca, ho già paura” e verso la tua sensibilità che voleva, ma non si osò posarsi sull’ultima speranza “ Ho perduto la terra ed ogni sole …..… ed erro con passo sconfitto…Tu mi hai riportato a questa terra ed ora, voglio per te, in un prolungamento d’anime, dare agli attimi ogni fiducia che risarcisca la tua libertà “con un poco di sole e quattro stelle per sera” . “Ma dove tornare, dove cercare di noi amore mi… Per altri sentieri torneremo alla piana celeste di ulivi. Saremo dove si leva l’infanzia dei profumi, dove l’acqua non si fa nera ma vacilla di luna”. Tempi uguali. Tempi diversi. “ Signore io non voglio impararti come un altro mestiere, so di che lievito e il pane dell’uomo. E voglio cercarti in silenzio e in amore dove matura il grano”.Bellissimi versi. Cavi collegati ad un cuore come il tuo, che trovava pace solo verso l’infinito. Icastico? Poco idilliaco? So solo che i tuoi versi, come frammenti taglienti di lingua, urlati sul dolore collettivo che avvolge il sud, aprono un vuoto roboante in me, malinconico e cosmico, che coglie, a tutto tondo, la mia calabritudine e la rende complice, ancora più fortemente, di un’ alba calabrese che ruba al contadino anche il sonno…ma fiera delle stelle si leva in frusciar di colombe…dove i silenzi immobili nel bosco leggono le favole più antiche” La tua è una poesia “giovane” che arriva al frastuono nichilista della nostra società. Ed è qui la sfida mia più grande: sopravvivere a tutti questi “giorni fulminati, sotto questo cielo di lillà che si svuota di rondini ogni sera, a sorprendere gli angeli che giocano in pace con le barchette di carte…” E’ prigione questo cortile dove io torno…ma il mondo è in questa terra di silenzi addolorati ed io vivo col sale del tuo pianto”.. “E certamente una ragione esiste se c’è un raggio di luna e il fiume scorre”. Mi approprio del tuo universo per tradurmi. Sono davanti ad una realtà che ha già sentito tutto, e tutto è stato detto su questa terra “ Rosa nel bicchiere” . “ Tutto sarà. Sarà come sempre… Se ci fosse una stella o un marciapiedi più di quelli che Dio ha stabiliti , non ha nulla da dire la mia sera.” Il tuo linguaggio, che il dolore ha reso testamentario, quasi disumano, fino “al bianco minuto che la morte quasi per gioco stringe nel pugno delle mani.”, è divenuto il linguaggio dei miei sentimenti, espressione di condivisione: non posso morire a me stessa se c’è gente che soffre ancora. Il “vizio assurdo” non avrà nessun anniversario.“ Qualcosa deve pure cambiare. Qualcosa deve invece ripetersi… Forse è il sonno che ancora non ci tenta” .
……………………………continua