Il burn-out degli insegnanti è un argomento di valenza internazionale da almeno vent’anni come dimostrano gli studi condotti in diversi Paesi. Sul tema sono stati anche condotti studi comparativi tra sistemi scolastici di differenti paesi del mondo. Quasi un milione d’insegnanti per l’alto rischio professionale rischiano di sviluppare una patologia psichiatrica rispetto ad altre categorie di lavoratori. Più di otto milioni di studenti con le rispettive famiglie sono a rischio di fruire di un servizio inefficiente per assenze e demotivazione del personale docente . Il termine "burn-out" deriva dal gergo sportivo: negli anni Trenta veniva utilizzato per indicare la condizione di quegli atleti che, dopo un periodo di successi, improvvisamente vanno in crisi e non riescono a dare più nulla dal punto di vista agonistico. Il burnout ("burnout" in inglese significa proprio "bruciarsi") interessa non solo
educatori, ma anche
medici di base,
insegnanti,
poliziotti,
poliziotti penitenziari, vigili del fuoco, carabinieri,
sacerdoti e
religiosi (in particolare se in missione)
[1],
infermieri, operatori assistenziali,
psicologi,
psichiatri,
avvocati,
assistenti sociali,
fisioterapisti,
anestesisti, medici ospedalieri, studenti di medicina, responsabili e addetti a servizi di prevenzione e protezione civile, operatori del volontariato, ecc. Queste figure sono caricate da una duplice fonte di
stress: il loro stress personale e quello della persona aiutata. Ne consegue che, se non opportunamente trattati, questi soggetti cominciano a sviluppare un lento processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato In tali condizioni può anche succedere che queste persone si facciano un carico eccessivo delle problematiche delle persone a cui badano, non riuscendo così più a discernere tra la propria vita e la loro..Il non discernere vita privata da vita lavorativa è il primo campanello d’allarme per questo tipo di sindrome. Questi lavoratori, nel lungo periodo cominciano a manifestare chiari sintomi riconducibili alla patologia: astenia, spossatezza e mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato. La risposta a queste condizioni è spesso l'esaurimento emozionale, la depersonalizzazione ed un atteggiamento improntato al
cinismo e un sentimento di ridotta auto-realizzazione. Il soggetto tende a sfuggire l'ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta
empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi. L'abuso di alcol, di sostanze psicoattive ed il rischio di
suicidio sono elevati nei soggetti affetti da burnout. Per misurare il burnout ci sono diverse scale ma è da ricordare la
scala di Maslach: un questionario di 22 items, ossia domande, atti a stabilire se nell'individuo sono attive dinamiche psicofisiche che rientrano nel burnout. Nello studio delle possibili cause del burnout è fondamentale includere l'analisi del contesto organizzativo nel quale l'individuo opera. La struttura e il funzionamento di questo contesto sociale plasmano il modo in cui le persone interagiscono tra loro e il modo in cui eseguono il loro lavoro. Quando l'ambiente lavorativo non riconosce l'aspetto umano del lavoro, il rischio di burnout cresce, portando con sé un alto prezzo da pagare Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta generalmente seguendo quattro fasi. La prima, preparatoria, è quella dell'entusiasmo idealistico che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di tipo assistenziale. Nella seconda (stagnazione) il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L'entusiasmo, l'interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire. Nella terza fase (frustrazione) il soggetto affetto da burnout avverte sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato; spesso tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall'ambiente lavorativo, ed eventualmente atteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso. Nel corso della quarta fase (
apatia) l'interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all'empatia subentra l'indifferenza, fino ad una vera e propria "morte professionale". Le istituzioni si trovano così ad affrontare le conseguenze socio-economiche date da un sistema scolastico inefficiente (per la demotivazione e l’assenteismo della classe docente), un aumento dei costi (per supplenze, giorni di malattia da retribuire, pensioni d’inabilità, equo indennizzo, assistenza sanitaria), risultati educativi e culturali insoddisfacenti. Il modo migliore per prevenire il burnout è sicuramente puntare sulla promozione dell'impegno nel lavoro. Ciò non consiste semplicemente nel ridurre gli aspetti negativi presenti sul posto di lavoro, ma anche nel tentare di aumentare quelli positivi. Le strategie per aumentare l'impegno sono quelle che accrescono l'energia, il coinvolgimento e l'efficacia. Sono chiamate dunque a fare la loro parte anche le organizzazioni sindacali, le associazioni di categoria nonché le rappresentanze di studenti e famiglie.
Per meglio prevenire è necessario che gli insegnanti imparino a collaborare e scambiare esperienze, idee con i colleghi. ad osservare a-criticamente i colleghi, ad interagire con la dirigenza e l’amministrazione. a fare un’analisi personale di quello di cui si ha bisogno per essere un insegnante soddisfatto ed appagato, a parlare di più. a dire di no. L’isolamento accelera il processo del burnout. Sfortunatamente, non è ancora arrivato a questa sindrome alcun riconoscimento istituzionale, per cui gli operatori si trovano a fronteggiarla da soli e senza alcun sostegno. I sindacati non hanno mostrato alcun interesse per il burn-out.