Blog informativo sulla P4C

( philosophy for children)

di Lipman

Quando la filosofia dipinge il suo grigio su grigio, allora una figura della vita è invecchiata, e con grigio su grigio essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto conoscere; la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo.


La parola "filosofia" ha come nella sua radice il significato "far crescere". Infatti, c'è solo una cosa che sa stupire e conquistare il nostro cuore: la parola di chi non si limita a inanellare frasi sensate e ben tornite, ma di chi ci porta più in alto o più in profondità.

Che cos'è la filosofia?

“La filosofia è la palingenesi obliterante dell'io subcosciente che si infutura nell'archetipo dell'antropomorfismo universale. “(Ignoto)

Perché la filosofia spiegata ai ragazzi?

I bambini imparano a conoscere e a gestire i propri ed altrui processi emozionali, affettivi e volitivi: imparano a conoscere se stessi e a relazionarsi con gli altri. Una scuola che intende fornire esperienze concrete e apprendimenti significativi, dove si vive in un clima carico di curiosità, affettività, giocosità e comunicazione, non può prescindere dal garantire una relazione umana significativa fra e con gli adulti di riferimento. Questa Scuola ad alto contenuto educativo, non può cadere nel terribile errore di preconizzare gli apprendimenti formali, errore spesso commesso dagli insegnanti che sono più attenti a formare un “bambino-campione”, piuttosto che un bambino sicuro e forte nell'affrontare la vita, o ancora un bambino che abbia acquisito la stima di sé, la fiducia nelle proprie capacità e la motivazione al passaggio dalla curiosità, caratterizzante la Scuola dell'Infanzia, alla ricerca. L'insegnante deve poter provare un “sentimento” per l'infanzia inteso come “sentire”, percepire e prendere consapevolezza dei bisogni reali, affettivi ed educativi propri del bambino che sono altro rispetto ai bisogni degli adulti. Il ruolo dei genitori, degli insegnanti è infatti quello di educare tutti e ciascuno alla consapevolezza di ciò che il bambino “sente” emotivamente e affettivamente, perché è proprio il passaggio dal sentire all'agire che consentirà al futuro uomo di compiere scelte autonome. Un compito importante dell'insegnante è quello di mediare i modi e i tempi di un dialogo strutturato su un piano paritario, in modo tale da consentire ad ogni interlocutore di far emergere il proprio pensiero e di metterlo in relazione con quello degli altri. E' una sfida, da parte dell'insegnate, a livello culturale, sociologica e civica ma che deve coinvolgere anche i più piccoli per dotarli di una propria capacità critica, che permetta loro di ragionare, di riflettere sulla realtà e di compiere in futuro scelte consapevoli Se la filosofia è "presa sul serio", se è misurata con i problemi reali, è davvero uno strumento di formazione della persona e di indirizzo della vita. La filosofia come felicità presente nell'attività del pensiero.

Incontrarsi è una grande avventura

“Non possiamo stare
e vivere da soli,
se così è,
la vita diventa
solitudine monotona.
Abbiamo bisogno dell’altro
per condividere sguardi
di albe e tramonti,
momenti di gioia e dolore.
Abbiamo bisogno dell’altro
che ci aiuta a vedere
e scoprire le cose che da soli
mai raggiungeremo.

Beati quelli che sono capaci
di correre il rischio dell’incontro,
permeandolo di affetto e passioni
che ci fanno sentire più persone
poiché così vivendo
anche gli scontri
saranno mezzi
di un vero incontro.”
(Testo di sr. Soeli Diogo).




Questo romanzo è rivolto, con la più grande speranza e fiducia, a tutte le persone di questa società e soprattutto a quei giovani che si muovono oggi, coi loro passi, senza esserne pienamente consapevoli, verso la scoperta della grande stanza di questo mondo poliedrico e complesso, dalle mille pareti ammaliatrici. Passi che, a dosi esagerate della conquista di una felicità che riempia la stanza del loro cuore, complementare a quella del mondo, lasciano dietro sé molte tracce superficiali che si spazzano via anche con il più debole vento della loro esistenza per poi trascinarli nel giogo del “vuoto”. Che questo romanzo “Un vuoto da decidere” sia loro di aiuto per guardare in faccia, riconoscere, combattere e vincere, con le sole armi dell’amore vero per se stessi e per il mondo, questa strana “malattia” dell’anima che colpisce chi non ha difese e che porta alla conquista di una libertà infedele e subdola.

Se la metto in pratica mi fa vivere tutta un'altra vita, straordinariamente più ricca di quella che avrei ideato fidandomi solo di me.

Solleviamoci, è ora

Noi siamo quelli
che se ne vanno
pieni di vento
e di sole
in deserti
affollati
di illusioni
e non tornano più
abbagliati
da spaccati di vita.

Siamo riflessi
di affetti
profondi.
Pensieri
di fresca rugiada
posata sulla notte
che non conosce
nuvole.

Siamo i sospesi
tra sogno e realtà,
quelli sul sottile confine
tracciato
dai meandri
dei desideri.

Siamo splendide bugie
di una terra
che fatica
ad alzarsi
sui marciapiedi
della vita.

Siamo polvere
di un tempo
inesorabile
che ci riporta
tra le caverne opache
dei ricordi.

Siamo l’urlo
di amici perduti
non ancora tornati,
che raccoglie
sogni lanciati
su nuvole rosa
gonfie di cuore
nel cielo sospeso
della gioventù.

Siamo parole
mai dette
intrappolate
tra i rami
scheggiati
di un inverno
che fatica
nel risveglio.

Siamo vita
che scoppia
nei focolai spenti
accesi dal giorno che nasce
a dispetto di tutto.

Preghiere
Strappate ai silenzi
concessi da un Dio
che non ama
piangersi addosso.

Siamo
l’andata e il ritorno
di noi stessi.

Solleviamoci.
E’ ora.

PAESE MIO

Paese mio
cinto a primavera
di riccioluti gorgheggi
affaccendati
come comari
nel via vai del giorno
ti vai combinando
tra nuvole ariose
all’orizzonte
e sogni fermi
dietro vetri antichi.

Tu non conosci gli anni.

Il tuo grembo
avrà sempre un vecchio
davanti ai tuoi tramonti
aggrappato
ai sapori di campagna
mentre torna stanco
con le zolle in mano
cantando
la fatica della terra.

E non conosci spazi.

Sei tutto lì
che vivi di germogli
seminati
nei cuori della gente
che s’adatta
all’ombra
dell’inverno
mentre fuori
è estate.

Per questo
non ti mancano
i sorrisi
strappati ai vicoli
intrecciati e bui
come strette di mano
nel bisogno
tra calde mura
di camini accesi.


Tra gli alberi d’ulivo
bagnati di sole
che lasciano un’impronta
tra le rughe
dei ricordi

che strada voltando
riporta
inesorabilmente
a te.



mostra di poesie

mostra di poesie
Solleviamoci, è ora


martedì 25 dicembre 2007

LA PICCOLA FIAMMIFERAIA fiaba natalizia


Era la fine dell'anno faceva molto freddo.Una povera bambina camminava a piedi nudi per le strade della città.La mamma le aveva dato un paio di pantofole, ma erano troppo grandi e la povera piccola le aveva perdute attraversando la strada.Un monello si era precipitato e aveva rubato una delle pantofole perdute.Egli voleva farne una culla per la bambola della sorella.La piccola portava nel suo vecchio grembiule una gran quantità di fiammiferi che doveva vendere. Sfortunatamente c'era in giro poca gente: infatti quasi tutti erano a casa impegnati nei preparativi della festa e la poverina non aveva guadagnato neanche un soldo. Tremante di freddo e spossata, la bambina si sedette nella neve: non osava tornare a casa, poiché sapeva che il padre l'avrebbe picchiata vedendola tornare con tutti i fiammiferi e senza la più piccola moneta.Le mani della bambina erano quasi gelate.Un pochino di calore avrebbe fatto loro bene! La piccola prese un fiammifero e lo sfregò contro il muro. Una fiammella si accese e nella dolce luce alla bambina parve di essere seduta davanti a una grande stufa!Le mani e i piedi cominciavano a riscaldarsi, ma la fiamma durò poco e la stufa scomparve.La piccola sfregò il secondo fiammifero e, attraverso il muro di una casa, vide una tavola riccamente preparata.In un piatto fumava un'oca arrosto.... All'improvviso, il piatto con l'oca si mise a volare sopra la tavola e la bambina stupefatta, pensò che l'attendeva un delizioso pranzetto. Anche questa volta, il fiammifero si spense enon restò che il muro bianco e freddo.La povera piccola accese un terzo fiammifero e all'istante si trovò seduta sotto un magnifico albero di Natale.Mille candeline brillavano e immagini variopinte danzavano attorno all'abete.Quando la piccola alzò le mani il fiammifero si spense.Tutte le candele cominciarono a salire in alto verso il cielo e la piccola fiammiferaia si accorse che non erano che stelle.Una di loro tracciò una scia luminosa nel cielo: era una stella cadente.La bambina pensò alla nonna che le parlava delle stelle. La nonna era tanto buona! Peccato che non fosse più al mondo.Quando la bambina sfregò un altro fiammifero sul muro, apparve una grande luce. In quel momento la piccola vide la nonna tanto dolce e gentile che le sorrideva.-Nonna, - escalmò la bambina - portami con te! Quando il fiammifero si spegnerà, so che non sarai più là. Anche tu sparirai come la stufa, l'oca arrosto e l'albero di Natale!E per far restare l'immagine della nonna, sfregò uno dopo l'altro i fiammiferi.Mai come in quel momento la nonna era stata così bella. La vecchina prese la nipotina in braccio e tutte e due, trasportate da una grande luce, volarono in alto, così in alto dove non c'era fame, freddo né paura.Erano con Dio.
Hans Christian Andersen

lunedì 24 dicembre 2007

NATALE INSIEME (festa degli alberelli)


Tanti alberelli che sfilano contro il consumismo, la cattiveria, la fame nel mondo, la disoccupazione, la guerra, l’inquinamento, l’alcolismo, il bullismo, e la droga, per inneggiare alla pace e alla giustizia. Bambini e ragazzi, sottili fruitori di messaggi rassicuranti, li hanno allestiti con gioia e partecipazione usando materiale di facile consumo, insieme con i loro rispettivi docenti della Scuola Primaria e Secondaria di primo Grado, dell’Istituto Comprensivo di Feroleto Antico, amministrato dal Preside Napoleone Ruberto, per scommettere su una solidarietà universale votata alla semplicità come riscoperta del proprio “io” in un sano dialogo con la natura e con l’altro. “Noi vogliamo che i bambini partecipino al Natale quest’anno in modo diverso, per recuperare la tradizionale festa dell’albero che si faceva tempo fa quando si recitavano le poesie tutti insieme sotto i neo alberelli piantati a Novembre”. E’ quanto affermano il Presidente della Pro Loco Gianfranco Nanci e l’Assessore alle Politiche Sociali, Paola Chiefalo, i quali hanno promosso questa simpatica e coinvolgente iniziativa. L’albero Ecologico, delle Lattine, dell’Amicizia, degli Affetti, dell’Amore per l’Universo, della Mondialità, degli Operatori di pace, delle Mani, di Palline colorate, viene visto come validissimo strumento di comunicazione, per esprimere ognuno con la propria creatività, il personale modo d’intendere il Natale, sicuramente pregno di speranza per un futuro migliore. Un po’ di bosco in città per riflettere anche su questo aspetto del Natale ch’è sì fatto di abeti naturali e artificiali, di silenzio e allegria, di semplicità e di doni, in un paradosso simbiotico che mette d’accordo un po’ tutti, ma anche tanta voglia di andare avanti in una Italia che si muove in modo abbastanza cauto, pur essendoci giovani preparati e con grandissimi valori, che perciò vorrebbero veder muoversi molto più velocemente nel rispetto delle potenzialità di ognuno di loro. L'immagine dell'albero (specialmente sempreverde) come simbolo del rinnovarsi della vita è un tradizionale tema pagano, presente sia nel mondo antico che medioevale e, probabilmente, in seguito assimilato dal Cristianesimo. L'albero di Natale, Simbolo del Cristo-Albero cosmico, che offre la sua luce e i suoi frutti agli esseri, ponte fra cielo e terra, è l’emblema nelle tradizioni dell'Europa centrale e dell'Italia alpina. Esso risale almeno alla Germania del XVI secolo, a Brema del 1570, secondo cui un albero veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta e tanti lumini metafora di luce che dispensa all'umanità e della vita che il Cristo dona, mentre i dolciumi il suo amore “Una volta qui, infatti, si usava una piantina di alloro con i corbezzoli o un albero di arancio addobbato di dolciumi “ continua il Presidente della Pro Loco. Gli alberi da frutto vennero sostituiti da abeti poiché quest'ultimi avevano una profonda valenza "magica" per il popolo, specialmente il dono di essere sempreverdi, che secondo la tradizione gli venne dato proprio dallo stesso Gesù come ringraziamento per averlo protetto mentre era inseguito da nemici. Il simbolismo dell'albero solstiziale è stato stravolto, oggi, dal mito americano, in emblema del consumo. La tradizione dell’albero prese piede in Italia nel 1800, quando la regina Margherita, moglie di Umberto I, ne fece allestire uno in un salone del Quirinale, dove la famiglia reale abitava. La novità piacque moltissimo e l’usanza si diffuse tra le famiglie italiane in breve tempo. Abete naturale o sintetico? Con il Natale alle porte, è questo il dilemma che attanaglia molti italiani, soprattutto quelli che vogliono avere un particolare occhio di riguardo per l’ambiente perché sinonimo della deforestazione. Col presupposto che gli abeti vengono coltivati e ‘allevati’ all’interno di vivai specializzati in aree collinari che altrimenti sarebbero abbandonate e quindi non coltivate, si vuole puntare soprattutto sull’aspetto climatico della questione: un albero naturale è un ‘prodotto’ a emissioni zero a differenza di quello sintetico, che viene realizzato con sostanze plastiche come il PVC (polivinilcloruro). Questo significa che viene ottenuto dal petrolio e che quindi, in fase di realizzazione, produce delle emissioni nocive all’atmosfera. Lo svantaggio più grande degli abeti naturali rimane comunque il loro smaltimento. La maggior parte purtroppo finisce nelle discariche. Bisognerebbe coinvolgere i cittadini in un progetto più ampio e questo lo devono fare le amministrazioni comunali, incoraggiando la riforestazione, creando dei ‘boschi di Natale’ in cui poter piantare tutti gli abeti utilizzati durante le feste. Afferma, infatti, il Presidente della Pro Loco Nanci: “L’albero naturale è un peccato che venga adoperato e poi gettato perciò abbiamo preso gli alberi con la zolla i quali, una volta svestiti, saranno portati in un sito per essere trapiantati .” La manifestazione finale di premiazione si terrà sul Corso Roma, il 26 Dicembre, con la quale una apposita giuria premierà il messaggio più forte. Durante la serata è prevista la Sagra della Pignolata accompagnata dal suono di una tradizionale zampogna natalizia.
ARICOLO PUBBLICATO SUL IlLAMETINO
da Sina Mazzei

giovedì 20 dicembre 2007

Il tempo ( simposio filosofico delle classi V)

- Nel tempo, ch'è fatto di ore, si possono fare tante cose.
- C'è un tempo oggettivo e un tempo soggettivo.
- Il tempo è un viaggio. E' come una freccia quando non torna indietro.
- C'è un tempo diverso per morire.
- Il tempo non si ferma mai.
- Scorre più veloce o meno veloce, dipende dalla noia o dalla gioia che proviamo.
- A volte vorremmo tornare indietro per recuperare ciò che non abbiamo fatto
- Oppure per rivivere i momenti belli perchè non tornano più uguali.
- Il tempo, dunque, è prezioso perchè abbiamo un minuto per approfittarne.
- Dobbiamo cogliere l'attimo.
- A volte però vorremmo mandare il tempo in avanti ma poi quando ci arriviamo ce ne pentiamo.
- Come quando siamo piccoli vogliomo diventare grandi e i grandi vogliono tornare bambini.
- Anticipiamo le tappe della nostra vita e a 18 anni ci peserà forse.
- Ma una parte di noi resterà bambina per sempre.
- I sofferenti non vogliono avere tempo perchè non accettano i loro limiti.
- Bisogna gestire bene il Tempo-
- Il tempo è come il pastore con le sue pecore che ci controlla per farci stare in equilibrio.
- Il tempo ci domina perciò dobbiamo scegliere le priorità.
- C'è un tempo per ogni cosa.
- La vita è un tempo.
- Se riduciamo il tempo nei minimi termini tutte le cose occupano un tempo.
- Le mattonelle occupano un tempo.
- Le scarpe occupano un tempo.
- La carta ha un tempo che distrugge un altro tempo.
- Gli oggetti sono nel tempo.
La morte ha un tempo infinito
- Noi viviamo nel nostro tempo finito ch'è più breve.
- Il mio cane morto è finito trasformato nel tempo infinito
- Anche noi un giorno, chi prima chi dopo, ci uniremo a lui nel tempo infinito.
- Tutti ci uniremo agli altri nel tempo infinito.

giovedì 13 dicembre 2007

INCONTRI CON LA PAROLANo. 238 La sindrome del vetro affumicato(Giona 3, 1)


Quand'ero bambino mi divertivo a guardare il sole. Mi piaceva quella palla rotonda di fuoco, che a scuola mi dicevano fosse lontana anni -luce, ma che mi pareva invece così vicina visto che i suoi raggi arrivano in pochissimi secondi. Ovvio, non guardavo il sole a occhio nudo. Con una candela affumicavo un pezzo di vetro e poi quella palla dardeggiante sù nel cielo diventava di colpo una piccola sfera pallida. La cosa interessante era che ogni cosa che guardavo attraverso quel vetro affumicato sembrava più nera di quanto non fosse in realtà.Giona, quello della balena, te lo ricordi? Era un uomo di Dio con il vetro affumicato. Dio lo aveva mandato a predicare nella città religiosamente più indifferente di quei tempi, Ninive. Giona invece si imbarcò su una nave diretta nella direzione opposta, ossia aTarsis, e dovette pagare la sua disobbedienza scontando alcuni giorni nella pancia di un grosso pesce. Ma Dio gli offre una seconda opportunità per fare quello che gli ha comandato. Sta scritto in Giona 3, 1 e seguenti: «Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: "Alzati, va' a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò"». E questa volta Giona obbedisce: deve annunciare che se non si pentono Dio li giudicherà severamente. Risultato: «Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece». Una notizia meravigliosa, vero? No, se guardi ai niniviti attraverso il vetro affumicato di Giona!Capitolo 4, 1: «Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito». Non solo, ma persino si azzarda a dire al Signore:"Senti, io vado in pensione, il solo pensiero dei niniviti mi fa star male". «Ma il Signore gli rispose: "Ti sembra giusto essere sdegnato così?"»Dio sta facendo una cosa meravigliosa e Giona si perde tutta la grandezza e la potenza dell'azione di Dio. Perché? Perché sta guardando a essa attraverso un vetro affumicato. Lui ha inscatolato i niniviti dentro al suo giudizio: sono dei peccatori, sono senza speranza, non meritano che una punizione esemplare. E quando finalmente i niniviti fanno la cosa giusta, Giona nemmeno se ne accorge, perché è completamente obnubilato dalla sindrome del vetro affumicato.Forse in questo periodo stai guardando ad alcune persone o ad alcune situazioni usando un vetro affumicato. Davvero la vita diventa così scoraggiante, così deprimente e negativa quando la guardi attraverso il vetro annerito della rabbia, o della gelosia, del risentimento,dell'auto-commiserazione o del pessimismo. Anche quando Dio stafacendo qualcosa di buono, magari neanche te ne accorgi perché ti sei abituato a vedere solo quello che è sbagliato, quello che non funziona.Forse in questo periodo la relazione con una persona si è deteriorata perché, in qualche modo, ti sei irrigidito nel tuo giudizio negativo, e interpreti ogni cosa che questa persona fa -persino le cose buone, persino un cambiamento positivo - attraverso la prospettiva del vetro affumicato. Non riesci ad accorgerti del buono che c'è in loro. Ti sei fatto l'idea che non cambieranno mai!Forse è un figlio che ti ha fatto tribolare, o il tuo coniuge. Forse è il prete della tua parrocchia, o un amico, o un collega. Ma ecco l'errore - non credere che Dio possa agire nelle loro vite e cambiarli; per te quelle persone sono solo fonte di cattive notizie.E' un pregiudizio, ed è un errore.Io so che ogni volta che guardavo attraverso quel vetro affumicato tutto mi sembrava più nero di quanto fosse in realtà. Forse hai fatto lo stesso errore con qualcuno che ti vive accanto. Invece di cancellarli dalla lista o cercare di cambiarli, non sarebbe meglio se tu pulissi il tuo vetro? Scommetto che dopo tutto sarà migliore.Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto

don Luciano

Il CERCHIO (Simposio filosofico degli alunni di classe V)
















Facilitatore: Cos'è il cerchio?

-Il cerchio è una parte di piano delimitata da una circonferenza.


-Ha il raggio


-ha il diametro


-La circonferenza è un insieme di tanti puntini e da ogni punto parte il raggio verso il centro.



-Noi bambini stiamo in cerchio e siamo come i punti della circonferenza.


-Uniti in cerchio ci sentiamo vicini.


-Ci vogliamo bene.


-Stiamo in pace.


-Ognuno si sente libero di dire la sua.


-Tutti i pensieri si incontrano.


-Nessuno in cerchio si sente di dire bugie.


-Ognuno è al posto giusto.


-Noi disegnamo sempre dei cerchi perchè ci rilassa.


-Perchè è innato in noi.


-Perchè lo vediamo dappertutto e ci siamo abituati a vedere spesso questa forma. Anche il f rullatore gira in cerchio.


-Il cerchio ci rende liberi


-Ci mette a posto i pensieri quando siamo confusi.


- Ci rende sicuri e forti.


-Anche una crepa nel muro diventa un cerchio.


-Il cerchio ci aiuta a dialogare.


-Ci sono cerchi più importanti ed altri meno importanti, cerchi che aiutano e cerchi che fanno del male.


-Il dolore è a forma di cerchio a volte.


-I pensieri sono anche circolari.

-La spirale è un cerchio che sale verso l'alto e non si chiude.


- Il mondo è in cerchio.

-Quando i bambini fanno il girotondo sono in cerchio.
-In cerchio c'è il rispetto degli altri perchè nessuno gira le spalle all'altro.
-E così nessuno può ridere dell'altro.
-Il cerchio ci difende dalle spalle.
-Siamo costretti a guardarci in faccia e non possiamo nascondere la verità.
- Facilitatore: Ho conosciuto un alunno che aveva l'abitudine di fare un ombellico sempre al centro di ogni cerchio.
-Forse perchè voleva essere guardato.
- Forse perchè cercava di attirare l'attenzione.
-Forse perchè mettendo l'ombellico al centro il cerchio non era vuoto e lui si poteva concentrare in quel punto per mettere ordine ai suoi pensieri.
-Forse perchè gli ricordava la pancia della mamma e lì si sentiva sicuro.
-Il cerchio è fine a stesso.


















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domenica 25 novembre 2007

"Il cattivo studente" di Michel Piquemal


Un compagno a cui piaceva fare domande provocatorie chiese:
-Maestro, qual è un buon maestro?
-Qual è un cattivo studente? Gli rispose Sophios.


Simone era sempre stato un cattivo studente. Sin da quando era piccolo, tutti lo chiamavano “Simone il cattivo studente”. Quando doveva fare un compito era sicuro, ancor prima di cominciare, che lo avrebbe fatto male. Quando doveva rispondere a una domanda anche se conosceva la risposta, balbettava e si agitava e il maestro sospirava. Simone non avrebbe mai fatto niente di buono! Ma un giorno il maestro si ammalò e lo sostituì un giovane supplente. Entrando in classe, senza sapere perché, questi pose amichevolmente una mano sulla testa di Simone, il quale da quel momento, per fargli piacere, si applicò più che potè ai suoi esercizi di scrittura. Quando il nuovo maestro raccolse i quaderni, si complimentarono con Simone, con grande stupore di tutta la classe. Nei giorni seguenti, Simone non prese nemmeno un brutto voto. Quando il maestro tornò, lì per lì, fu sorpreso nel vedere i quaderni di Simone; poi si dimenticò finalmente di trattarlo come un cattivo studente. E fu da quel momento che Simone iniziò a fare progressi.

mercoledì 21 novembre 2007

Fernando Pessoa

Fernando António Nogueira Pessoa nasce a Lisbona il 13 giugno del 1888 da Madalena Pinheiro Nogueira e Joaquim de Seabra Pessoa, critico musicale d'un quotidiano cittadino. Orfano di padre dal 1893, trascorre la giovinezza nel Sud Africa, a seguito del secondo matrimonio contratto dalla madre nel 1895 col comandante Joào Miguel Rosa, console portoghese a Durban. Qui Pessoa compie tutti gli studi fino all'esame d'ammissione all'Università di Città del Capo. Nel 1905 ritorna a Lisbona per iscriversi al corso di Filosofia della facoltà di Lettere, ma, dopo una disastrosa avventura editoriale, si impiega come corrispondente di francese e inglese per varie ditte commerciali, impiego che manterrá, senza obblighi di orario, per tutta la vita. Nel 1913, dopo essere passato attraverso l'esperienza del Saudosismo di Teixeira de Pascoaes, lancia il "paulismo"1 che trova entusiastici riscontri negli scrittori della sua generazioneIntorno al 1914 appaiono gli eteronimi Alberto Caeiro, Ricardo Reis e Álvaro de Campos, ma è dell'infanzia la comparsa del primo personaggio di fantasia, il Chevalier de Pas, attraverso il quale Pessoa "scrive lettere a se stesso", come è detto nella lettera dell'eteronomia a Casais Monteiro. Nel 1915 con Mário de Sá-Carneiro, Almada Negreiros, Armando Córtes-Rodriguez, Luis de Montalvor, Alfredo Pedro Guisado e altri, dà vita alla rivista d'avanguardia Orpheu, che riprende esperienze futuriste, pauliste e cubiste; la rivista avrà vita breve, ma susciterà ampie polemiche, nell'ambiente letterario portoghese, aprendo prospettive inedite fino ad allora alla evoluzione della poesia portoghese. Segue un periodo in cui Pessoa viene attratto da interessi esoterici e teosofici che avranno una profonda influenza nell'opera ortonima. Ha inizio nel 1920 l'unica avventura sentimentale della sua vita. La donna, Ophelia Queiroz, è impiegata in una delle ditte di importazione ed esportazione per le quali Pessoa lavora. Il rapporto, dopo una pausa di alcuni anni, si interrompe definitivamente nel 1929. Nel 1934 Pessoa pubblica Mensagem, l'unica raccolta di versi in lingua portoghese curata personalmente dal poeta. La pubblicazione della sua opera infatti, che comprende scritti di teologia, occultismo, filosofia, politica, economia e altre discipline, avverrà quasi totalmente postuma; e mentre in vita eserciterà ben scarsa influenza la sua poesia sarà ampiamente imitata dai poeti delle generazioni successive. Il 30 novembre 1935, Fernando Pessoa muore in un ospedale di Lisbona, a seguito d'una crisi epatica, causata presumibilmente da abuso di alcool.
Lo sguardo dato alla realtà, l'attenzione verso una piccola cosa è tutt'uno col pensiero, è una illimitata catena di riflessioni inscindibili dal suo vivere, continui scintillii di intuizioni sulla Vita, sull'Essere, sul Mondo che possono solo essere generalmente chiamati "pensieri", per non essere privati della loro indefinibilità. E' una ragnatela di sensazioni che non si forma su un tema preciso, ma salta da un angolo all'altro del pensabile, intrecciando poesia e filosofia, in una matassa multiforme, screziata e coinvolgente. E' difficile e pericoloso arrischiarsi a inquadrare il pensiero di Fernando Pessoa.

Gran parte della produzione di Pessoa è stata pubblicata dopo la morte dell'artista. La sua opera completa, in prosa e poesia, è uscita postuma in quindici volumi tra il 1942 e il 1978. Essa comprende scritti di differenti discipline che testimoniano la poliedricità di Pessoa: oltre alla vasta produzione poetica ortonima ed eteronima, scritti di teologia, di occultismo, di filosofia, politica, economia e altre discipline. E' nel 1942, sette anni dopo la sua morte, che la casa editrice Ática di Lisbona decide di iniziare la pubblicazione dell'opera completa di Pessoa, sotto lo sguardo degli amici letterati e dei filologi che hanno accesso all'arca in cui il poeta ha custodito i suoi manoscritti. In vita il suo corpo poetico appare polverizzato su riviste di limitata diffusione e reperibilità, pubblica soltanto quattro volumetti di poesie in inglese, tra cui "Epitalamio" (1913), e un'unica raccolta di versi in portoghese intitolata "Mensagem" (1934) curata personalmente dal poeta. La frammentarietà della sua produzione e la pubblicazione postuma rende difficile presentare con esattezza la bibliografia
L'eteronimia
Se il Libro di Pessoa ha un centro, questo centro è l'eteronimia, come sostiene Antonio Tabucchi, suo appassionato traduttore, critico e studioso; e questi spiega bene questa peculiarità: «Si immagini un Paese (il Portogallo) che vive per vent'anni (dal 1914 al 1935) un'età dell'oro della letteratura: poeti, saggisti, prosatori, dalle fisionomie inconfondibili e a volte incompatibili, tutti però di altissima qualità, vi operano insieme, si incontrano, si scontrano. Uno sperimentatore violento e straripante, suscitatore di avanguardie, come Álvaro De Campos, un desolato nichilista come Bernardo Soares, un poeta metafisico ed ermetico come Fernando Pessoa, un neoclassico come Ricardo Reis e, dietro a tutti, un maestro precocemente scomparso: Alberto Caeiro. Ebbene: tutti questi autori, tutte queste opere, tutti questi destini furono "una sola moltitudine", perché nascevano tutti dall'invenzione dissociata e proliferante di una sola persona, l'anagrafico Fernando Pessoa, oscuro impiegato di una ditta di Lisbona , dove aveva l'incarico di scrivere lettere commerciali in inglese. E quelli che abbiamo citato sono solo i più importanti fra gli scrittori "inventati" da Pessoa: finora i suoi manoscritti hanno rivelato tracce e frammenti di ventiquattro autori». Tabucchi parla della produzione letteraria pessoana come di "un baule pieno di gente" perché ci ha lasciato «i suoi molteplici spiriti ben impachettati in fascicoli manoscritti tenuti con lo spago e contrassegnati da firme diverse». E' lo stesso poeta ad analizzare con estrema lucidità la sua eteronimia e a descriverla all'amico Adolfo Casais Monteiro nel 1935 in una lettera. Una caratteristica che inizia nell'infanzia e che persiste per tutta la vita: “Ebbi sempre, da bambino, la necessità di aumentare il mondo con personalità fittizie, sogni miei rigorosamente costruiti, visionati con chiarezza fotografica, capiti fin dentro le loro anime. Non avevo più di cinque anni, e , bimbo isolato e non desideroso se non di stare così, già mi accompagnavano alcune figure del mio sogno, un capitano Thibeaut, Chevalier de Pas e altri che ho dimenticato…Questa tendenza non passo con l'infanzia, si sviluppò nell'adolescenza, si radicò con la crescita, divenne alla fine la forma naturale del mio spirito. Oggi ormai non ho personalità: quanto in me ci può essere di umano, l'ho diviso tra gli autori vari della cui opera sono stato l'esecutore.sono oggi il punto di riunione di una piccola umanità solo mia. E così mi sono fatto, e ho propagato, vari amici e conoscenti che non sono mai esistiti, ma che ancora oggi, a quasi trent'anni di distanza, io ascolto, sento, vedo. Ripeto: ascolto, sento, vedo…E ne ho nostalgia Come che sia, l'origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l'interno e io li vivo da solo con me stesso.” L'eteronimia è la manifestazione del labirinto di Pessoa, del vortice in cui si sente avvolto e sente che ogni uomo è avvolto. «L'eteronimia non è altro che la vistosa traduzione in letteratura di tutti quegli uomini che un uomo intelligente e lucido sospetta di essere» scrive Tabucchi.
Dio non ha unità,come potrei averla io?(da "Episodi")
Mi sento multiplo. Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un 'unica anteriore realtà che non è in nessuno ed è in tutti. (da "Appunti sparsi")
L'eteronimia è anche patologa e insieme terapia della solitudine che l'introspezione causa: l'Io esclude l'oggetto, il soggetto diventa oggetto di se stesso, distinguendosi e distanziandosi così da se stesso.
Mi sono moltiplicato per sentire,per sentirmi, ho dovuto sentire tutto,sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi,e in ogni angolo della mia anima c'è un altare a un dio differente.( da "Passaggio delle ore"- Poesie di Álvaro de Campos )
Ma l'eteronimia è anche qualcos'altro: è un tentativo di superare l'unicità dell'essere e la finitezza dell'uomo, è l'espressione della consapevolezza che la vita non basta, è un vago e inquietante interrogativo: se possono esserci più di una vita in una sola vita, se sono davvero il tempo e lo spazio che ci segmentano o se siamo noi che crediamo sia così, mentre forse esiste solo l'hic e il nunc, la persona nell'Istante, diversa da quella esistita nel momento prima, diversa da quella che esisterà nel momento dopo. Così Pessoa afferma una frastornante "verità":
Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso.( da "Il libro dell'Inquietudine" )
Vengono ora presentate le figure eteronimiche maggiori, che compongono l'universo di Pessoa, ognuno dei quali è a sua volta un singolare mondo, con un proprio stile, un proprio modo di dibattere i grossi temi del pensiero e della poesia di Pessoa:
Alberto Caeiro: Alberto Caeiro da Silva, maestro di Fernando Pessoa e di Álvaro de Campos, morì precocemente di tubercolosi. Descritto come uomo biondo, pallido, con gli occhi azzurri, di media statura. In campagna scrisse l'intera sua opera, dai poemetti del "Guardador de Rebanhos" al breve diario del "Pastor Amoroso", e a Lisbona, dov'era nato, tornato solo per morire, scrisse le ultime poesie della raccolta "Poemas Inconjunctos". Tabucchi lo definisce «il fenomenologo, l'Occhio, l'olimpica e insieme tenebrosa ricognizione del mondo».
Álvaro de Campos: ingegnere navale, alto, coi capelli neri e lisci divisi da un lato, col monocolo, elegante e leggermente snob, tediato, ozioso e meditativo. Partì da un'estrema esperienza decadente per diventare poi a un tratto un esacerbato, geniale sperimentatore, maestro di ogni avanguardia. Ma la sua poesia conosce, dopo le fiammate avanguardiste, un curioso percorso: un'autoriflessività che lo lega alle esperienze contemporanee, un nichilismo doloroso e cinico. Così Tabucchi lo descrive: «il rovello gnoseologico, l'uomo che cerca "l'anello che non tiene" e che si arrende alla terribile "plausibilità" del reale».
Ricardo Reis: nato a Oporto, medico, ma senza mai esercitare la professione, materialista e sensista, imbevuto di classicismo e di ellenismo. Così scrive di lui Tabucchi: «Il monarchico in esilio è, col suo bizzarro neoclassicismo, l'ironica accettazione di un mondo incomprensibile e immutabile».

Il dubbio
La costante che permea tutta la produzione di Pessoa è il "dubbio su tutto", fonte di continue domande, angosce che creano uno stato di inquietudine, risposte sospese senza domande. Non c'è alcuna certezza, nessun barlume che indichi cosa è reale, cosa non è reale, questa è l'unica consapevolezza, non si può sapere se è realtà né il mondo né noi stessi:
E barcollo per i foschi cammini dell'insaniaocchi vaghi di schianto, per l'orroreche realtà ci sia e ci sia essere,ci sia il fatto della realtà( da "Poemas dramàticos" )
Personel labirinto di me stesso, giànon so quale strada mi conduceda esso alla realtà umana e chiara( da "Primo Faust" )
Non credere o cercare:tutto è occulto.( da "Natale" )
Se conoscessimo la verità la vedremmo;tutto il resto è sistema e periferia. Ci basta, se riflettiamo, l'incomprensibilità dell'universo; volerlo capire è essere meno che uomini, perché essere uomo è sapere che non si capisce.( da "Il libro dell'Inquietudine" )

Il sogno
Tutto è sogno, se non si sa qual è la realtà. Sogno di Fernando che ha fatto della sua vita un sogno, perché è un sognatore e sogna per non sentire e interrogare la vita; ed è sogno perché niente assicura se ciò che circonda e se stessi siano reali, se abbiano un'esistenza propria, e quindi tutto aleggia nel sogno, nel mistero, realtà e sogno si confondono, si compenetrano:
Niente si sa, tutto si immagina.( da "Odi di Ricardo Reis" )
Sono quasi convinto di non essere sveglio. Non so se non sogno quando sono vivo, se non vivo quando sogno, o se il sogno e la vita formano in me un ibrido, un'intersezione dalla quale il mio essere cosciente prende fisionomia per interpenetrazione.( da "Il libro dell'Inquietudine" )
Non oso guardare le cose. Come continua questo sogno?( da "Il Marinaio" )
Un alito di musica o di sogno, qualcosa che faccia quasi sentire, qualcosa che non faccia pensare.( da "Il libro dell'Inquietudine" )

La caducità
Nulla è eterno, tutto svanisce: si sfumano i ricordi, il passato, il momento precedente a quello che si sta vivendo, il proprio Io, perché nell'istante in cui lo si pensa non è più quell'Io, così si è nessuno, assolutamente nessuno. Tutto è finzione, tutto passa e non c'è nessuna filosofia, nessuna metafisica che svela il "Grande Segreto":
Breve il giorno, breve l'anno, breve tutto.Manca poco a essere niente.( da "Odi di Ricardo Reis" )
Non so di chi ricordo il mio passato, poiché altro fui quando lo fui, né mi conosco,come se sentissi l'anima che ho,l'anima che sentendo ricordo.( da "Odi di Ricardo Reis" )
Ma il padrone della tabaccheria si è fatto sulla porta e vi è rimasto…Lui morirà e io morirò.Lui lascerà l'insegna, io lascerò dei versi.A un certo momento morirà anche l'insegna, e anche i versi.Poi morirà la strada dove fu l'insegna e la lingua in cui furono scritti i versi.Infine morirà il pianeta ruotante in cui tutto ciò avvenne.In altri satelliti di altri sistemi, qualcosa simile a gentecontinuerà a fare cose come versi e a vivere sotto cose come insegne(da "Tabaccheria"-"Poesie di Álvaro de Campos")
“ Sì, domani anch’io sarò uno che ha smesso di passare per queste strade, che altri evocheranno vagamente con un “Che ne sarà stato di lui?”. E tutto ciò che adesso faccio, tutto ciò che sento, tutto ciò che vivo, non sarà altro che un passante in meno nella quotidianità delle strade di una città qualsiasi.”
Pessoa Fernando


L'indeterminatezza
L'animo di Pessoa è animo incerto, che si culla nell'indecisione, nell'instabilità di ogni posizione, giudizio, idea. È lui stesso che con acutezza si analizza:
Tutta la costituzione del mio spirito è di esitazione e di dubbio. Per me, nulla è né può essere positivo; tutte le cose oscillano intorno a me, e io con esse, incerto per me stesso. Tutto per me è incoerenza e mutamento. Tutto è mistero, e tutto è pregno di significato. Tutte le cose sono "sconosciute", simbolo dell'Ignoto. Il risultato è orrore, mistero, una paura troppo intelligente.[…] Il mio carattere è del genere interiore, autocentrico, muto, non autosufficiente, ma perduto in se stesso. Tutta la mia vita è stata di passività e di sogno. Tutto il mio carattere consiste nell'odio, nell'orrore della e nella incapacità che impregna tutto ciò che sono, fisicamente e mentalmente, di atti decisivi, di pensieri definiti […] i miei scritti sono tutti rimasti da finire; si interponevano sempre nuovi pensieri, straordinarie, interminabili associazioni di idee, il cui termine era l'infinito. […] Il mio carattere è tale che detesto l'inizio e la fine delle cose, perché sono punti definiti.( da un dattiloscritto del 1910 )
Sono sempre stato un sognatore ironico, infedele alle promesse segrete. Ho sempre assaporato, come altro e straniero, la sconfitta dei miei vaneggiamenti, assistendo casualmente a ciò che credevo di essere. Non ho mai prestato fede alle mie convinzioni. Ho riempito le mie mani di sabbia, l'ho chiamata oro, e ho aperto le mani facendola scorrere via. La frase era stata l'unica verità. Una volta detta la frase, tutto era fatto, il resto era la sabbia che era sempre stata.( da "Il libro dell'Inquietudine" )
Non so essere utile nemmeno sentendo, non so essere pratico, quotidiano, nitido, non so avere un posto nella vita, un destino fra gli uomini, un'opera, una forza, una volontà, un orto…( da "Poesie di Álvaro de Campos" )

La sensibilità
La capacità di sentire il mistero delle cose, l'incomprensibilità della realtà. Il suo modo stupefacente di sentirsi interpreti di realtà modificate e modificabili da piccole sfumature. L'inquietudine che produce questo sentire con lucidità l'essenza delle cose; il dolore che arreca, dolore che nasce dai sogni, dalla paura della follia, dalla consapevolezza della propria solitudine o dalla grande indifferenza delle stelle:
Ho portato con me la spina essenziale di essere cosciente.( da "Villeggiatura" - "Poesie di Álvaro de Campos" )
Il peso del sentire! Il peso di dover sentire!( da "Il libro dell'Inquietudine" )
Mi alzo dalla sedia con uno sforzo mostruoso, ma ho l'impressione di portarmela dietro, ho l'impressione che è più pesante, perché è la sedia del soggettivismo.( da "Il libro dell'Inquietudine" )
I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l'ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c'è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l'insoddisfazione per l'esistenza del mondo.( da "Il libro dell'Inquietudine" )
E' così difficile descrivere ciò che si sente quando si sente che si esiste veramente, e che l'anima è un'entità reale, che non so quali sono le parole umane con cui si possa definirlo.( da "Il libro dell'Inquietudine" )
Ma la concisa attenzione data alle forme e alle maniere degli oggetti,è un sicuro rifugio.( da "Odi di Ricardo Reis" )


AUTOPSICOGRAFIA
Il poeta è un fingitore.Finge così completamente

che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,

nel dolore letto sentono proprio non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo

Gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.
(da Poesie di Fernando Pessoa)






Sono un guardiano di greggi.Il gregge è i miei pensieri.E i miei pensieri sono tutti sensazioni.Penso con gli occhi e con gli orecchie con le mani e i piedi e con il naso e la bocca.
Pensare un fiore è vederlo e odorarlo e mangiare un frutto è saperne il senso.
Perciò quando in un giorno di calura sento la tristezza di goderlo tanto,e mi corico tra l'erba chiudendo gli occhi accaldati,sento tutto il mio corpo immerso nella realtà,so la verità e sono felice.
(da Il Guardiano di greggi - Poesie di Alberto Caeiro)




domenica 18 novembre 2007

INCONTRI CON LA PAROLANo. 236


- Fragile - Maneggiare con amore!(Efesini 4, 29)

"Recentemente ho dovuto aspettare la coincidenza di un volo aereo in una capitale europea della quale detesto cordialmente l'aeroporto. Ogni volta che mi ci fermo sono sempre successi dei fatti spiacevoli: valigie manomesse, scomparsa di alcuni oggetti dentro alle valigiestesse e via dicendo. Questa volta ho assistito dall'oblò dell'aereo allo scarico della mia valigia. La conosco bene e non mi sono potuto ingannare. L'ho vista scaraventata a terra dal personale, le hanno fatto piombare sopra - ma proprio piombare sopra - altre valigie e infine le hanno lanciate tutte dentro a un carrello, facendo in modo che prima sbattessero contro la parete del container dei carrelli di trasporto. Era tanta la violenza con cui le valigie venivano scagliate che addirittura facevano più rimbalzi dentro al carrello. Uno va al check-in, vede la sua valigia trascinata via dal nastro e ingoiata da quel buco nero della zona bagagli - e non sa che fine facciano le sue cose nelle mani del personale addetto. La valigia può essere sbattuta, calpestata, ci possono saltare sopra o giocare a chi la tira più lontano con lancio ad avvitamento - tipo lancio del martello. Per questo chiedo al check-in un'etichetta speciale quando ho dentro qualcosa che si può rompere. E' un adesivo rosso con il disegno di un bicchiere a calice e la scritta "FRAGILE". E spero che da qualche parte del reparto bagagli quel disegno e quella parola facciano una differenza nel modo con cui le mie cose sono trattate. Sono fragili e non voglio perderle. Dio in Efesini 4, 29 e seguenti ha qualcosa da dirci su come maneggiamo - non le valigie - ma le persone che ci vivono accanto. Prova a vedere come ti stai comportando e come quelli che ti stanno intorno ricadono dentro a questa Parola di Dio.«Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano». La maniera con cui parliamo alle altre persone le fa crescere o le distrugge. Perché questo avvertimento è importante? Perché le persone sono fragili. Il versetto continua dicendo: «E non vogliate rattristare lo SpiritoSanto di Dio, col quale foste segnati per il giorno dellaredenzione». Dio piange, almeno questo ci dice la Scrittura, quando noi demoliamo le persone che Lui cerca invece di costruire. Poi Dio fa la lista di alcuni atteggiamenti che demoliscono le persone. Dio dice: «Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira,clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità». Dio ci chiede divedere quello che Lui vede quando guarda alle persone che ci stanno accanto - ossia, esse recano un adesivo con la scritta "Fragile". Quell'adesivo dovrebbe cambiare il modo con cui tu tratti le persone. «Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo». Questo è il programma che Dio ti da' quando devi trattare con il tuo coniuge, i tuoi figli, i tuoi genitori, i tuoi amici, i colleghi di lavoro, i collaboratori, chi ci critica, le gente che ti crea problemi. Prova a pensare a che tipo di rapporti hai con loro - usi parole di troppo che non aiutano quelle persone a crescere... che invece le buttano giù... parole che non sono benevole e misericordiose? Che ne dici del tuo sarcasmo... della tua maldicenza... delle tue critiche impietose... della tendenza a sottolineare le cose negative... le frecciatine... i soprannomi... le risposte arrabbiate? Molte volte "maneggiamo" le persone proporzionalmente a come loro ci trattano. Ma Gesù ci chiede di parlare in modo che edifica, non che demolisce; non ci chiede di trattare le persone come loro ci trattano ma come VORREMMO che loro ci trattassero - e Gesù vuole che tu li tratti non come loro ti hanno trattato, ma come Lui ha trattato te. La misura della tua grandezza è data da quanto grande o piccola la gente si sente dopo che è stata in tua compagnia. Dal modo in cui tratti le persone, esse si sentono più preziose o un sacco di immondizia? E' arrivato il momento che tu metta l'adesivo "Fragile" sulle persone che ti stanno intorno, persino quelle più antipatiche, che sono tali forse per il modo in cui le hai gettate lontano e frantumate. Ogni persona è fatta a immagine e somiglianza di Dio, e ognuna di esse può essere facilmente infranta, che lo mostri o no. Io non voglio assolutamente che le mie preziose ma fragili proprietà siano sbattute di qui e di là e vadano rotte. Dio non vuole che i suoi figli e figlie, preziosi ma fragili, siano frantumati. Ricordati, le persone sono fragili - maneggiale con grande cura e tanto amore.

Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto don Luciano"

giovedì 25 ottobre 2007

TERRA DI OGNUNO Kahlil Gibran


Terra, quant’è perfetta
la tua obbedienza alla luce
e bella la tua sottomissione
al sole.

Nelle pianure
ho trovato il tuo sogno;
sulla montagna
il tuo orgoglio;
nella valle
ho osservato la tua tranquillità;
nella pietra la tua risolutezza;
nelle grotte
la tua segretezza.

Sei debole e potente, umile e altera.
Docile e rigida,
chiara e segreta.

Ho sentito l’eternità parlare
nella tua alta e bassa marea;
ho sentito la vita
chiamare la vita
nei tuoi passi di montagna e lungo i pendii.
Notte calma e chiara:
ho aperto le finestre
e le porte dello spirito
e sono uscito a vederti,
teso di voglia e avidità.
E t’ho vista guardare le stelle
che ti ridevano.
Così ho gettato via le catene,
scoprendo
che è nei tuoi spazi la dimora dello spirito.
Una notte, mentre il cielo impallidiva,
l’anima oppressa da ansia e stanchezza,
sono uscito a vederti.
E mi sei apparsa come un gigante
armato di tempesta;
combattevi il passato con il presente,
sostituendo al vecchio il nuovo,
e lasciando che il forte
disperdesse il debole.
Ho imparato così
che chi non spezza i propri rami secchi
con la tempesta, morirà esaurendosi,
e chi non suscita una rivoluzione
per strapparsi di dosso le foglie morte
perirà in un lento declino.
Sei generosa, terra, e forte
è il tuo rimpianto
dei figli perduti
tra ciò che hanno ottenuto e ciò
che non sono riusciti a raggiungere.
Noi vociamo, tu sorridi;
prendiamo il volo, e tu rimani.
Dormiamo senza sogni, mentre tu sogni
nella tua eterna veglia.
Ti trapassiamo con le spade
e tu ci medichi con olio e balsamo.
Piantiamo nei tuoi campi ossa, crani,
e tu ne trai cipressi e salici;
estraiamo da te elementi per fabbricare cannoni e bombe,
e dai nostri elementi crei gigli e rose.
Sei una particella di polvere
sollevata dai piedi di Dio
mentre da est andava a ovest dell’universo?
O scintilla lanciata dalla fornace
dell’eternità?
Sei un seme gettato nel campo del firmamento
perché diventasse l’albero di Dio
elevando i rami
al di sopra dei cieli?
O sei una goccia di sangue
nelle vene del gigante dei giganti,
o una goccia di sudore sulla sua fronte?
Sei un frutto maturato dal sole?
Cresci dall’albero dell’Assoluta Conoscenza,
le cui radici si estendono
attraverso l’eternità
e i cui rami levati
spaziano per l’infinito?
Sei un gioiello posto dal Dio del Tempo
Sulla palma del Dio dello Spazio?

Tu sei me, terra!
Sei la mia vista
E il mio discernimento.
Sei la mia conoscenza e il mio sogno.
Sei la mia fame e la mia sete.
Sei il mio dolore e la mia gioia.
Sei la mia sbadataggine
E la mia vigile attenzione.
Sei la bellezza che vive nei miei occhi,
il desiderio del mio cuore,
la vita che è per sempre
nella mia anima.

Tu sei me, terra.
Non fosse stato per il mio essere,
tu stessa non saresti.
KAHLIL GIBRAN

venerdì 28 settembre 2007

"Che cos’è la vita?" Simposio filosofico svolto in classe V A e V B di Pianopoli






Classe V B
- La vita è un insieme di cose.
- E’ un cammino, e grazie ai cinque sensi scopriamo il mondo che ci circonda.
- Sul questo cammino c’è la libertà di scegliere.
- Ma non dobbiamo superare i nostri limiti.
- Possiamo perciò ragionare.
- Facciamo scelte che ci portano sulla via del bene.
- La vita è un cammino verso la felicità.
- Ma la felicità dobbiamo cercarla in noi stessi.
- E’ un tesoro.
- Cerchiamo la felicità perché non c’è.
- Nel nostro tempo soggettivo: dobbiamo viverlo con gioia così ci passa in fretta.
- La felicità però è molto difficile da trovare in noi stessi.
- Come possiamo trovare la felicità?
- Stando attenti in classe, divertendoci, inserendoci nel gruppo, comportandoci bene con gli altri.
- L’importante però è non avere tanti amici, vestiti, soldi giocattoli ecc..
- La cosa più importante è accontentarsi di ciò che si ha, il resto pian piano verrà.
- La vita è anche una cosa seria.
- Non dobbiamo perciò scherzarci su
- La vita ci è stata donata da Dio e non possiamo maltrattarla facendoci del male.
- Con droghe, alcool, fuma, cattiverie ecc…
- E se io decido di farmi male e di morire quando voglio?
- Allora è meglio che Dio non te l’avesse data la vita.
- La vita va utilizzata per dare un contributo all’umanità
- Per fare scoperte nuove
- Per dare un senso
- Se vivo per essere infelice che vita è?
- Perché viviamo dunque?
- Per aiutare gli altri
- Per costruire o distruggere
- Per uno scopo
- Per ascoltare la coscienza
- Per sposarsi
- Per avere figli
- Per lavorare
- Per amare
- Per morire
- Per crescere
- Per divertirsi
- La vita prima o poi però finisce
- Viviamo per morire
- Ma perché Dio ci ha creati se poi dobbiamo morire?

Classe V A

- E’ un tempo che scorre, in cui facciamo tante cose.
- Tanti anni diversi.
- Che bisogna trascorrere bene altrimenti non ha senso.
- La vita è una cosa seria.
- Che prima o poi finirà.
- Perciò bisogna trattarla bene.
- La vita non possiamo togliercela né sciuparla perché è un dono di Dio.
- Non abbiamo nessun diritto di trattarla male, e neanche quella degli altri.
- Se la trattiamo male Dio ci manda all’inferno.
- Non è Dio che ci manda all’inferno, siamo noi che scegliamo di andarci.
- Alcuni non danno un senso alla loro vita.
- Si drogano, si fanno del male, si suicidano.
- La vita è anche rabbia.
- Sono più i giorni tristi che quelli felici.
- E’ una lotta continua per sopravvivere e per raggiungere la felicità.
- E’ davvero difficile essere felici.
- L’obiettivo della vita è cercare di raggiungere la felicità.
- Perché se siamo tristi ci facciamo del male.
- Piangi e non risolvi niente.
- Che cos’è dunque la vita?
- La vita è un cambiamento
- Non è eterna e qualcuno muore giovane, qualcun altro vecchio
- La morte fa parte della vita.
- E’ un ciclo vitale.
- E non bisogna giocarci.
- I dottori allungano la vita dei malati attaccandoli ad una macchina. E giocano con la vita.
- E’ meglio morire in pace quando dobbiamo morire e non c’è più niente da fare.
- Perché viviamo dunque?
- Per dare un senso.
- Per imparare nuove cose.
- Per scoprire il mondo.
- Per costruire
- Per ricercare
- Per lasciare il mondo meglio di come lo abbiamo trovato.
- Per scoprire le ragioni che non sapevamo
- Per sentire
- Per tramandare ai posteri le nostre conoscenza e i posteri li tramanderanno agli altri posteri.
- Per aiutare gli altri.
- Per dormire
- Per giocare
- Per nutrirci.
- Per lavorare
- Ci nutriamo per vivere o viviamo per nutrirci? Lavoriamo per vivere o viviamo per lavorare?



lunedì 24 settembre 2007

"Concedi che io possa" poesia di TAGORE

Concedi ch'io possa sedere
per un momento al tuo fianco.
Le opere cui sto attendendo
potrò finirle più tardi.
Lontano dalla vista del tuo volto
non conosco né tregua né riposo
e il mio lavoro diventa
una pena senza fine
in un mare sconfinato di dolori.
Oggi l'estate è venuta alla mia finestra
con i suoi sussurri e sospiri,
le api fanno i menestrelli
alla corte del boschetto in fiore.
Ora è tempo di sedere tranquilli
a faccia a faccia con te
e di cantare la consacrazione della mia vita
in questa calma straripante e silenziosa.

Rabindranath Tagore


E’ il momento della consapevolezza, l’estate della vita, ossia di stare seduti ai bordi dell’anima. “Stare con” la realtà, offrendo tempo e presenza così tutto, dentro di noi, diventa silenzio che si fa religioso ascolto della realtà. Rendersi presente al reale è rendersi disponibili a Dio che si prende cura di noi, ed è in virtù di questa attitudine all’ascolto che la Sapienza penetra dappertutto e ci introduce nella comprensione del mondo. Il silenzio è di per sé preghiera, l’espressione più alta. Ascoltare le creature in perfetta pace con se stessi e con esse, dando a tutte il diritto di essere, rivela l’uomo a se stesso e non è lontano da Dio che, attraverso le sue creature, bussa costantemente alla porta del cuore. Poco per volta appare chiaro che Dio è fuori da ogni setta e da ogni comunità particolare. Ed è proprio questo interesse libero per le figure più rappresentative di tutte le grandi religioni che ci permette di capire Tagore. Come in campo poetico così in quello religioso preferì incamminarsi su un sentiero libero, lasciandosi guidare dal suo temperamento, alla ricerca di una religiosità congeniale a lui, di natura panteista che perciò nega il carattere personale di Dio e sbocca in una sorta di naturalismo religioso o immanenza. La sua vita religiosa ha seguito la stessa crescita della sua vita poetica, lo stesso percorso. “Concedi che io possa” è un inno all’amore totale, alla vita totale, ad un amore e ad una vita che comprendono e annullano ogni limite, sia pure quello della morte. Tagore dirà spesso di sentirsi come un viaggiatore senza meta e senza posa, alla ricerca dei luoghi, dei momenti che, più degli altri, favoriscono quelle emozioni, quelle sensazioni che fanno ritrovare vicine e unite persone diverse e lontane e permettono loro di vivere di una sola anima, di comporre un’unica armonia. Di questa immensità dice la poesia di Tagore, di un’infinita umanità si sente partecipe, di tutte le vite vive la sua. Nel caso di Tagore si può parlare di una filosofia, di una religione e vederne la provenienza nella cultura indiana senza per questo essere rinchiusa nell’Induismo inteso in senso tradizionale. Nei versi gli è riuscito meglio mostrarla estesa, nella “Comunità di Dio” diffusa in ogni parte del creato. La sua poesia è stata la maniera più congeniale per uno che cercava dappertutto: nelle piante, nelle acque, nelle nuvole, nel vento, in ogni elemento della natura, il segno di un pensiero, di un sentimento; che voleva rappresentare l’esistenza come unica e totale, comprensiva di realtà e idea, umano e divino.







Rabindranath Tagore
Nobel per la letteratura 1913
Rabindranath Tagore
Rabindranath Tagore è il nome anglicizzato di Rabíndranáth Thákhur (
Calcutta, 6 maggio 1861Santiniketan, 7 agosto 1941) è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo e filosofo indiano.. Mentre Gandhi, con la disobbedienza civile, organizzò il nazionalismo indiano sino a ricacciare in mare gli inglesi, Tagore si propose di conciliare e integrare Oriente ed Occidente. Opera difficile, cui egli era preparato dall'esempio di suo nonno che nel 1928, fondando il Sodalizio dei credenti in Dio, integrò il monoteismo cristiano ed il politeismo induista.. Figlio di un santo e ricco bramino, studiò nel Regno Unito ove anglicizzò il proprio cognome (Thakur). Tornato con la convinzione che gli inglesi san ben proteggere un'India bisognosa di protezione, egli si dedicò all'amministrazione delle sue terre e ad ogni forma d'arte. In liriche destinate al canto, in lavori teatrali ricchi d'intermezzi lirici, in novelle, memorie, saggi e conferenze Tagore affermò il proprio amore per la natura e per Dio, le proprie aspirazioni di fratellanza umana, la propria passione (anche erotica), l'attrattiva della fanciullezza.. Esercitò un enorme fascino anche sul mondo occidentale. Poeta, dunque, prosatore, drammaturgo, musicista e filosofo indiano, nacque a Calcutta nel 1861 e morì a Santi Niketan, Bolpur nel 1941. Profondo conoscitore della lingua inglese, tradusse in seguito le opere che prima aveva scritto in bengali. Fu il poeta della nuova India, moderna e indipendente, per la quale lottò non solo con le sue opere e con le sue iniziative di carattere sociale, ma anche con il suo fiero comportamento politico. Scrittore di brani musicali, si occupò della danza indiana e di pittura riscotendo notevole successo sia a New York che in Europa.E' soprattutto grande come poeta lirico, il cui pensiero, ispirato ad alti concetti filosofici e religiosi, lo pone tra i più grandi poeti mistici del mondo. Le più famose liriche gli valsero l'assegnazione del premio Nobel per la letteratura nel 1913.La poesia d'amore orientale presenta caratteristiche diverse da quelle con le quali la poesia occidentale esprime il sentimento d'amore. Pervasa di leggerezza, di distacco dalla soggettività, di ritualità ripetuta, evoca i vari momenti della vita nella visione spirituale che fonde sacro e profano, spirito e carne, Dio e uomo.Mistico, saggio, veggente, per il poeta orientale l'Amore coinvolge tutto l'essere umano ponendolo in relazione a Dio. Amore non solo come sentimento, quindi, ma realtà completa di tutto l'uomo che, permeandolo e avvolgendolo, lo supera e lo trasporta oltre ogni barriera tra l'umano e il divino, in una fusione intensa eppur sottile, energia che muove il cosmo. Perciò si può ben comprendere come Tagore, il grande maestro bengalese, veda nel rapporto Amato-Amante la più completa esperienza di realizzazione dell'uomo. Esperienza che, anche nel momento più buio di tale rapporto, come l'abbandono, la perdita che nulla può colmare, nella sua poesia viene illuminata dalla visione di fede. Nella casa del poeta a Jorasanko era vissuta sin dall'età di otto anni, secondo il costume indiano per le spose, Kadambari, la cognata, donna di grande cultura e bellezza. Gli era cresciuta vicino ed era la sua compagna di giochi. Si suicidò quando il poeta, obbedendo all'imposizione del padre, accettò di trasferirsi in un'altra abitazione. Gesto disperato e provocatorio, del tutto incomprensibile per la mentalità e la religiosità induista. Per tutta la vita il poeta porterà il dolore e il rimpianto di questa perdita, sentendosene responsabile. La moglie Mrnalini, pazientemente gli rimane accanto con semplicità donandogli cinque figli. Muore a ventinove anni. Una serie di lutti da questo momento segna profondamente l'esistenza del grande sognatore: muoiono due figli piccoli, il padre ed il segretario, amato come un famigliare. Dalla personale esperienza d'amore e di dolore Tagore lascia sgorgare le stupende liriche che hanno nutrito la mente ed il cuore di generazioni di lettori, anche occidentali. Leggendo le poesie di Tagore si trovano continui riferimenti alla cultura, alle tradizioni ed ai costumi orientali, particolarmente indiani. Nelle sue poesie si "odono" tintinnare i braccialetti, si "vedono" le donne attingere acqua al pozzo e il viandante stanco ed assetato venire sulla strada polverosa. In una sinfonia di immagini ecco le tartarughe scaldarsi al sole sulla spiaggia, alberi dai nomi esotici, fiori intrecciati a formare ghirlande posti al collo dell'ospite gradito e desiderato; gli elementi naturali, come le onde del mare e la luce lunare, accarezzare l'essere amato… Si "vivono" i momenti di tempo sospeso in attesa del monsone o in ascolto delle voci della natura e del cuore mentre si sta appoggiati all'uscio di casa. Piccoli grandi momenti della vita quotidiana… soffusi di armonia nella poesia intensamente appassionata eppur così delicata di Rabindranath Tagore. L'amore, come si è detto, per Tagore non è solo sentimento, ma Persona, è Dio stesso e a Lui, l'Amante eterno, che incessantemente chiama a sé uomini e donne da ogni sconfinata solitudine, è non solo possibile, ma giusto chiedere sollievo, è naturale ricevere conforto, è infinita e assoluta realtà senza la quale la vita non avrebbe alcun senso.

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DANIEL DE FOE "Robinson Crusoe


“Che strana opera della Provvidenza dell’uomo! ….Io che avevo un unico motivo di rammarico e cioè la lontananza dal consorzio umano; io, che mi lamentavo d’esser solo, circondato dall’oceano infinito, perfettamente isolato dal mondo e condannato ad una vita silenziosa; io che il Cielo forse non credeva degno di far parte del genere umano; io che avrei creduto di resuscitare a nuova vita, se avessi incontrato un mio simile, e avrei considerato, questa grazia come una suprema benedizione di salvezza inviatami dal Cielo, io tremavo ora al solo pensiero d’incontrarmi con un altro uomo, e avrei preferito inabissarmi, piuttosto che vedere la sola ombra o la prova silenziosa della presenza d’un altro individuo sul suolo che calpestavo. Tale è l’incontentabilità del genere umano…Riflettei che se Dio giusto e onnipotente aveva creduto bene di punirmi, egli poteva anche salvarmi, e se non credeva di farlo io avevo l’assoluto dovere di rassegnarmi completamente alla sua volontà….rivolgergli le mie preghiere e attendere pazientemente…
DANIEL DE FOE
***
L’isola è separata dal resto del mondo. E’ un cosmo a sé. Sull’isola le lancette dell’orologio scorrono a modo loro. L’isola non si attiene a orari ma a stagioni, e il tempo a bassa e alta marea. Sull’isola si vive in sintonia con la natura, si scopre se stesso avulso dalla società, un Io che in sé infuria e riposa. A volte però l’isola è metafora della disperazione, di prigionia a prova di evasione. La fuga dal mondo diventa una sciagura se si dimentica il biglietto di ritorno. Ma la prima cosa che fa Robinson Crusoe, dopo essersi messo in salvo, è costruire una fortificazione di palizzate perché lui è un ottimista e, ad ogni circostanza sfortunata, riesce a contrapporre un’argomentazione confortante, secondo il metodo per eccellenza del contraddire (antirrhesis) che ha lo scopo di eliminare ciò che turba, adottato da molti monaci orientali. La sua disgrazia non gli impedisce di agire. Intraprende la lotta per la sopravvivenza, come una rana caduta nel vaso della panna. Si crea una famiglia di animali, addirittura un hobby per il tempo libero e una routine di lavoro. Vince l’isolamento non combattendolo, ma accettandolo e dandogli un senso. Si costruisce un nuovo sistema di valori, adeguato alla situazione tanto che dice di sé “ ero il signore di tutto quel territorio e potevo eleggermi re e imperatore dell’intera isola”. Il naufragio gli appare, dopo la lettura della Bibbia che aveva trovato sulla nave, frutto di un disegno divino per sottrarsi dall’influsso negativo della società e potersi redimere. Coltiva la sua solitudine per trarne forza e un nuovo Sé. Vince il suo isolamento procedendo verso la trascendenza tanto che, quando Robinson arriva in
Europa, dichiara di sentirsi meno sicuro tra la "gente civile" e molto meno felice di quando viveva sull'isola, nonostante le peripezie e la terribile solitudine. Ciò dimostra che l’essere umano non ha soltanto un’indole sociale e le relazioni non sono l’unica panacea. L’essere umano non è solo pane ed orgasmo ma è molto di più e vuole di più. In solitudine l’uomo si abbandona al silenzio cosmico e abbraccia l’eternità come ci hanno dimostrato Buddha, Gesù, i Padri del deserto, Rousseau, Nietzsche, Wittgenstein ed altri che hanno ritrovato un tesoro spirituale nel silenzio, con lo stupore su un viso sereno. Nell'affrontare la natura, che non sempre gli è favorevole, Robinson si pone i grossi problemi dell'anima, dell'essere e del non essere, della vanità del mondo e del valore della meditazione e della solitudine. Robinson, per trascorrere il tempo, mette su carta il male e il bene della sua posizione, concludendo che il bene è superiore al male.. Con il suo romanzo Defoe riesce a cogliere, come motivo universale, il problema dell'uomo solo, davanti alla natura e a Dio, nobilitandolo con la ragione che può, secondo i ricordi cristiani o biblici della creazione, dargli il dominio sulle cose. Il carattere di Robinson a volte ci appare piatto e un po' calcolatore forse perché manca della spontaneità e delle emozioni di Venerdì., archetipo del buon selvaggio il quale fu preso a modello dallo stesso Jean-Jacques Rousseau a cui ispirò in parte le teorie pedagogiche dell'Emilio. Il romanzo prende ispirazione da un fatto vero accaduto ad un certo Alexander Selkirk che aveva trascorso quattro anni e quattro mesi su un'isola deserta in solitudine. Robinson Crusoe, pubblicato nel 1719, è considerato il capostipite del moderno romanzo d'avventura.. Daniel Defoe nacque in un sobborgo londinese, nei pressi di Cripplegate.; Daniel modificò il proprio cognome da "Foe" al più aristocratico "Defoe" Defoe non era in realtà interessato a creare o sviluppare il romanzo a fini letterari. Egli era soprattutto un giornalista e un saggista: quando scrive il suo capolavoro, il Robinson, aveva già 58 anni. Inoltre, pubblicò i suoi romanzi cercando, in generale, di farli passare per storie vere (memoriali e autobiografie) per renderli più appetibili al pubblico dell'epoca (non si deve dimenticare che il motivo principale per cui Defoe scriveva era, a quanto pare, la necessità di pagare i propri debiti).

"Chi sono io?" Simposio filosofico svolto in classe dagli alunni di V A e V B di Pianopoli



CLASSE V A


Domanda:
Chi sono io?
-
Una persona.
- Un essere umano che non può far del male ad un altro essere umano.
- Anch’io sono d’accordo con lui perché siamo tutti uguali.
- Non importa se siamo diversi, siamo tutti persone
- Abbiamo le stesse caratteristiche
- Bisogna rispettare le diversità
- Anche se una persona è di pelle scura, ha il linguaggio, di un altro continente, noi lo dobbiamo accogliere ed aiutare
- Siamo tutti fratelli
- Abbiamo gli stessi sentimenti.
- Non dobbiamo perciò ferire i sentimenti degli altri
- Dipende perché ci sono persone che non provano sentimenti buoni per i loro cari, oppure quelli che rubano e uccidono
- Nel loro cuore c’è gelosia e tante altri brutti sentimenti come l’odio.
- Dobbiamo amarci.
- Dentro l’amore non c’è posto per i pettegolezzi
- Dentro l’amore c’è solo il bene e non il male.
- Quando tu fai del bene provi gioia e la gioia è saggezza
- Dov’è non c’è saggezza c’è male e tristezza
- Dobbiamo aiutare chi è triste
- Il saggio fa una scelta
- Aiutando gli altri io faccio una scelta

Chi sono io, dunque?

- Una persona che può scegliere
- Ma bisogna saper scegliere
- Scegliere dipende dalla nostra intelligenza.
- L’intelligenza sceglie con la propria libertà
- Io sono libero di scegliere
- Libertà di scegliere "quasi" tutto...
- Perchè hai detto quasi?
- Perché quando una persona è saggia non sceglie di fare le cattiverie.
- Allora che libertà è se c’è quel “quasi”? La libertà dovrebbe essere libera.
- La libertà invece ha dei limiti.
- Ognuno ha la sua libertà
- Se io uso la mia libertà per picchiare gli altri
- Gli altri usano la loro per picchiare me
- Tutti e due escono dai limiti della libertà ed invadono la libertà dell'altro
- La libertà non esiste perché se esistesse farei tutto ciò che mi gira, agli altri
- La libertà del bene, dato che non ha la cattiveria, può avere tutta la libertà che vuole
- La libertà della bontà, dunque.
- La libertà del male ha i limiti e non ci può essere libertà del male
- Dove non c’è nessun quasi.
- La libertà della bontà sta al suo posto.
- La libertà deve finire dove comincia quella dell’altro.
- La libertà della bontà si può condividere
- La bontà alimenta la bontà, il male alimenta il male
- La libertà della bontà sta dentro di noi.
- Nella coscienza.
- Conclusione

Chi sono io?
Sono una persona che ha delle caratteristiche diverse ma che può fare delle scelte di libertà.

Classe VB

DOMANDA:
Chi sono io?

- Un essere umano
- Che sa fare tante cose
- Con i propri difetti
- In base ai suoi giudizi e pregiudizi.
- Ognuno prende la sua strada
- Siamo unici
- Con cellule diverse
- Neanche i gemelli sono uguali.
- Noi siamo simili agli animali ma non ci comportiamo come loro.
- Gli animali non hanno una coscienza, noi sì
- Noi però uccidiamo gli animali
- Noi abbiamo il linguaggio loro no
- Noi abbiamo la ragione
- Quindi basta parlare e ragionare per non essere animali?
- Non solo
- Degli animali abbiamo uguali le caratteristiche fisiche
- La scienza dice che siamo nati dalle scimmie
- La chiesa no
- La scienza è contro la chiesa e la chiesa è contro la scienza ?
- No, se ambedue collaborano per il bene dell’umanità.
- Noi siamo diversi dalle scimmie perché noi possiamo fare delle scelte, perché pensiamo
- La coscienza viene da Dio
- Senza la coscienza faremmo tutto ciò che ci pare come delle scimmie, la coscienza ci fa andare a scuola
- Ci fa fare delle scelte nella vita.
- Ognuno decide di fumare o di non fumare
- Ci sono cose giuste e cose sbagliate e non sempre si può fare ciò che si vuole
- Ognuno ha la sua libertà di scegliere
- La vita è nostra e la viviamo in libertà
- La gestiamo come vogliamo
- Non è vero, perché dobbiamo fare le scelte giuste
- Siamo noi stessi che decidiamo di fare anche le cose sbagliate
- Ci facciamo trascinare e non è più libertà questa
- La libertà vera è quando decidiamo da soli
- Quindi anche se gli altri non ti trascinano tu puoi decidere di fare del male perché vuoi essere libero?
- I genitori ci costringono per il nostro bene
- Ci sono le regole da rispettare in ogni ambiente
- Che libertà è con i limiti ?
- La libertà finisce con i limiti
- Finisce quando ci dobbiamo fermare
- Perché se li superiamo finiamo nella malasorte
- Cioè comincia il male perché si crea il non rispetto.
- La libertà si ferma dove le regole ci permettono di arrivare
- Cioè dove ha incontrato la libertà dell’altro
- La libertà ha dunque degli spazi limitati.
- La libertà vera sta dentro di noi.

-

venerdì 21 settembre 2007

John Donne "Nessun uomo è un'isola"

Nessun uomo è un'isola,
completo in se stesso;

ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una zolla

venisse lavata via dal mare,
l'Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo

mi sminuisce,
perché io sono parte dell'umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
Essa suona per te. (J.Donne)

Celeberrimi sono questi versi di Nessun uomo è un'isola contenuti in Meditation XVII e citati da
Ernest Hemingway in Per chi suona la campana e da Nick Hornby in Un ragazzo (About a Boy). Nella poesia è forte il senso di appartenenza all’umanità, forgiato dai vari tragici distacchi avvenuti nella sua esistenza. A volte però il distacco più fertile è proprio l’esilio su quell’isola, dove l’Io assorbe linfa vitale per la consapevolezza di tutte le debolezze dell’animo umano, che partono da una psicologia del “profondo” e, nell’affanno del loro solitario e silenzioso orizzonte di presenza, s’innalzano verso la volontà “dell’altezza” ricca di significati a vantaggio dell’amore universale. Infatti poi tutti abbiamo bisogno dell’affetto degli altri e gli altri del nostro affetto e del nostro sostegno. “Anche se non ce ne accorgiamo, gli altri cercano di avvicinarsi a noi come le radici di sequoia si allungano verso quelle degli altri alberi della foresta. Dobbiamo a nostra volta tendere verso gli altri e sostenerli nel loro progresso, poiché noi siamo veramente loro fratelli e sorelle. Forse che tutti non andiamo meglio quando siamo appoggiati, sostenuti e amati dai nostri familiari e amici? Anche gli alberi crescono meglio quando crescono insieme nei boschi. Crescono più alti, più diritti, più forti e producono legname migliore. Quando un albero cresce isolato, sviluppa troppi rami. Questi rami contengono nodi che possono indebolire l'albero e sminuire il valore del legname. L'intreccio degli altri ci sostiene per tutta la vita.”
Sempre in oscillazione tra natura raziocinante e appassionata poetica visionaria, in bilico tra nuova
scienza, Rinascimento e Riforma, tra cattolicesimo e protestantesimo, amore umano e amore divino, l’arte di Donne è tesa a risolvere dialetticamente, con la forza dei suoi versi, il proprio e altrui conflitto intellettuale e morale nonché a creare immagini assimilate attraverso la scienza, la filosofia e la teologia filtrate attraverso l’osservazione della realtà quotidiana. In questo senso, particolarmente alta risulta la sua capacità di concentrare con un linguaggio talvolta aspro ed attraverso brevi, laconici procedimenti analogici citazioni letterarie e bibliche, immagini assimilate attraverso la scienza, la filosofia e la teologia filtrate attraverso l'osservazione della realtà quotidiana. La sua poesia metafisica si nutre di una vasta e smisurata visione del mondo e di una riflessione che incrocia le coordinate della fantasia e dei sentimenti nella ricerca di valori estetici fatti di simboli riferibili alla realtà profonda dell’essere, oltre il visibile e il sensibile, per toccare la sostanza trascendente ed immutabile delle cose ( natura, storia, società, uomini). Donne rende la poetica filosofia e filosofica la poesia tale da portarla ad una altezza superiore che la rende nobile anche in un mondo di volgarità qual è quello attuale, con la conseguente svalutazione delle esperienze che può offrire. La sonorità della parola crea una sensazione di infinito e di eterno, oltre le impressioni sensibili, per penetrare nella profondità del reale con uno sforzo di cultura, sensibilità e sintesi concettuale e simbolica. Le sue meditazioni sono concatenate sulla decadenza e disgregazione dell’universo e sul destino dell’anima in questo mondo e nell’aldilà. Manca in Donne l'omogeneità metrica fra un componimento e l'altro: ciascuna poesia raggiunge autonomamente una propria specifica, irripetibile saldatura di forma e contenuto, in perfetta simmetria con la pluralità (di soggetti ed oggetti, e di relazioni tra essi) È lo stesso Donne, in una lettera del 1619, a distanziare drasticamente il sé attuale, l'influente predicatore Dr. Donne, dal brillante e libertino Jack Donne, autore di poesie profane ed di un'immorale difesa del suicidio (Biathanatos). La scrittura del secondo Donne si fonda su premesse che, smentendo il primato dell'apparire sull'essere, caratteristico della tradizione aristocratica, fanno dell'interiorità un valore assoluto. In realtà la ricerca poetica di Donne nel suo insieme implica una progressione ragionevolmente lineare e graduale: dall'atteggiamento libertino alla celebrazione dell'amore, poi alla sua assolutizzazione e privatizzazione con conseguente svalutazione del mondo e delle altre esperienze che esso può offrire, sino a reincludervi l'amore stesso arrivando dove lo scetticismo sconfina del misticismo. Tutti gli elementi che s'indicano come tipicamente metafisici sono presenti anche nella poesia sacra, dove l'io spesso interpella Dio esattamente nei medesimi modi e con gli stessi toni diretti e bruschi che caratterizzano il rivolgersi dell'amante all'amata E se i Songs and Sonnets più tardi – ad esempio The Canonization – fanno dell'amore una religione, gli Holy Sonnets (Sonetti Sacri) pongono Dio come l'Altro di un vero e proprio rapporto d'amore.
John Donne, pron. Dùn (
Londra, 1572 - 31 marzo 1631) è stato uno dei maggiori autori inglesi di poesia metafisica. Fu anche un prete e scrisse sermoni e poemi di carattere religioso, traduzioni latine, epigrammi, elegie, canzoni e sonetti. Cresciuto in una famiglia che professava il cattolicesimo, Donne studiò dal 1584 a Oxford e, successivamente, a Cambridge; viaggiò per l'Europa. Ritornato in patria, divenne segretario del barone Ellesmere Egerton, di cui sposò clandestinamente nel 1601 la nipote Anne More. Le nozze clandestine con Anne More non giovarono alla sua reputazione, cosa questa che influenzerà notevolmente la sua successiva produzione letteraria. Contestualmente, si avvicinò all'anglicanesimo affrontando da un punto di vista differente dubbi e tematiche politico-sociali, ma anche scientifiche e filosofiche, del suo tempo. Tra mille difficoltà finanziarie, sull'orlo della disperazione (e forse anche del suicidio), sebbene fosse ormai diventato un predicatore affermato (molti suoi lavori saranno raccolti nel 1624 nelle sue Devotions) e per due volte (1601 e 1614) membro del parlamento, prese i voti e fu ordinato decano della chiesa anglicana dal re Giacomo I d'Inghilterra. Dal 1617, anno in cui morì la moglie, la sua poesia si farà sempre più cupa, privilegiando temi funerei e pessimistiche considerazioni esistenziali.



by mondoglitter.it

Che pesce sei?

Un'insegnante spiegando alla classe che in spagnolo, contrariamente all'inglese, i nomi possono essere sia maschili che femminili. "Uno studente chiese: "Di che genere è la parola computer?" Anziché rispondere, l'insegnante divide la classe in due gruppi, maschi e femmine, e gli chiese di decidere tra loro se computer dovesse essere maschile o femminile.A ciascun gruppo chiese inoltre di motivare la scelta con 4 ragioni.Il gruppo degli uomini decise che "computer" dovesse essere decisamente femminile"la computadora"perchè:1.Nessuno tranne il loro creatore capisce la loro logicainterna.2.Il linguaggio che usano per comunicare tra computer èincomprensibile.3.Anche il più piccolo errore viene archiviato nella memoria a lungotermine per possibili recuperi futuri.4.Non appena decidi di comprarne uno, ti ritrovi a spendere metà del tuo salario in accessori.Il gruppo delle donne,invece, concluse che i computer dovessero essere maschili (el computador)perchè:1.Per farci qualunque cosa, bisogna accenderli.2.Hanno un sacco di dati ma non riescono a pensare da soli.3.Si suppone che ti debbano aiutare a risolvere i problemi, ma perla metà delle volte,il problema sono LORO;4.Non appena ne compri uno, ti rendi conto che se avessi aspettatoqualche tempo,avresti potuto avere un modello migliore.Le donne vinsero.