“Uno dei punti su cui i filosofi non sono mai riusciti a raggiungere un accordo è in cosa consista la filosofia stessa”, scrivono R.H. Popkin e A. Stroll nella loro introduzione alla filosofia (Filosofia per tutti).
Per cogliere il significato della filosofia può risultare utile, anzitutto soffermarci sul significato etimologico del termine, che in qualche modo ci riporta all’assunto originario, alla sua esperienza primigenia. Nella sua etimologia, nel significato del nomen, la filosofia indica, come è noto, l’amore alla sapienza.
Il termine sophia (sapienza) almeno fino a Platone (Repubblica) aveva come significato soprattutto la prudenza, la saggezza pratica, l’arte del buon governo della propria vita e/o della vita pubblica. In Socrate indica la conoscenza fattiva del Bene, in Platone la conoscenza del mondo delle idee, la virtù politica di chi regge lo Stato.
Con la distinzione aristotelica tra virtù etiche e virtù dianoetiche, sophia è diventato via via il termine che connotava la “ragione teoretica”, la “conoscenza delle cose necessarie e immutabili”.
Il termine filìa (amore, da fileo) è una delle tre forme con le quali si indica in greco l’amore (eros - filìa - agape). Filìa denota l’amore di amicizia, segnato da una componente di razionalità, e indicante un bene di cui si gode ma che non si possiede ancora in pienezza, e che dunque è desiderabile.
L’uso del termine philosophia oscillò fin da subito tra due poli estremi: da una parte l’identificazione, nella lingua greca, con la cultura in generale, con il desiderio della cultura in generale (paideia: educazione, formazione); d’altra parte è stato usato con accezione specifica, secondo la tradizione, dai pitagorici (prima nel circolo pitagorico di Fliunte, l’attuale Fliuda); con costoro il termine è inteso come amore di un’unica saggezza che solo al divino compete e si espande nell’uomo come desiderio di contemplazione dello spettacolo del mondo; tale termine fu svolto già fin dall’inizio in una pluralità di interpretazioni.
Pitagora parla di sé come “filosofo” (amante del sapere). Gli dèi sono sapienti, e la saggezza compete solo al divino; i filosofi sono “amanti del sapere”, vivendo del desiderio di contemplare “lo spettacolo del mondo”. La vita “è un grande mercato”: c’è chi ci va per fare affari, altri per divertirsi… i filosofi vanno per osservare “disinteressatamente” quanto accade. Nell’opera di Platone riveste già il valore di ricerca metafisica, ma soprattutto come tensione morale: il filosofo a servizio della città. In Aristotele il termine filosofia indica più direttamente la contemplazione del cosmo, il metodo di ricerca scientifica, come insieme della scienza che si qualifica come filosofia prima e filosofia seconda. Via via, quindi, il termine ha assunto anche un significato più “tecnicamente” definito, indicando una specifica disciplina. Basti pensare alla “filosofia prima” aristotelica (i principi primi, le strutture più generali dell’essere, Dio) o a come lo stesso Eraclito, in vari frammenti, parli della contemplazione dei “principi più alti del reale”.
È assai interessante studiare le variazioni del termine nei filosofi antichi, fino agli stoici, e poi analizzare le considerazioni del termine al momento dell’incontro dell’ellenismo con il mondo prima giudaico e poi cristiano.
Nessun commento:
Posta un commento