I semi di una grande scoperta sono costantemente presenti nell'aria che ci circonda, ma essi cadono e fanno radici soltanto nelle menti preparate a riceverli"
Joseph Henryfisico americano
Serendipità è un neologismo cioè una parola di recente ideazione..poco usato nella lingua italiana, proveniente dall'assai più diffuso corrispondente anglosassone serendipity. Tale parola inglese fu coniata nel 1754 dal letterato Horace Walpole, ispirato dalla lettura della fiaba persiana "Tre principi di Serendippo" di Cristoforo Armeno. Il termine "serendipità" deriva dall’isola di Serendippo, antico nome di Sri Lanka, e in particolare dalla novella dei tre principi di Serendippo di Cristoforo Armeno, che ha ispirato il racconto Zadig di Voltaire. Nel racconto i tre protagonisti trovano sul loro cammino una serie di indizi, che li salvano in più di un'occasione. La storia descrive le scoperte dei tre principi come intuizioni dovute sì al caso, ma anche allo spirito acuto e alla loro capacità di osservazione. Serendipità è dunque - filosoficamente - lo scoprire una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra. Ma il termine non indica solo fortuna: per cogliere l'indizio che porterà alla scoperta occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore di esperienze che non corrispondono alle originarie aspettative. "Fu anticamente nelle parti orientali, nel paese di Serendippo, un grande e potente re, nominato Giaffer, il quale ritrovandosi tre figliuoli maschi...". Così inizia a narrare Cristoforo Armeno, introducendo subito i personaggi della storia: tre inseparabili principi, figli di Giaffer, re di Serendippo, educati dai più grandi saggi del tempo, coltissimi e pronti a cogliere ogni sfida intellettuale, privi però di un'esperienza altrettanto importante di vita vissuta: tutti teoria, insomma, e niente pratica. Per provare, oltre alla loro saggezza, anche le loro attitudini pratiche, Giaffer, con uno stratagemma, decide di cacciarli dal regno: "Deliberò, per farli compiutamente perfetti, che andassero a vedere del mondo, per apparare da diversi costumi e maniere di molte nationi con l'esperienza quello che colla lettione de' libri, e disciplina de' precettori s'erano di già fatti padroni". Nasce così, per il volere di un genitore esigente, ed è proprio il caso di dire realista, il viaggio verso l'ignoto dei tre principi, che subitono incocciano nella disavventura che li farà passare alla storia. Mentre i tre sono da poco giunti nel Paese di Beramo, "potente imperadore", si imbattono in un cammelliere, disperato per aver perduto il proprio prezioso animale, unica fonte di guadagno. I tre non l'hanno visto, ma per burlarsi del buon uomo e dilettarsi del proprio intelletto, dicono al poveretto che il suo animale l'hanno incontrato "nel cammino, buon pezzo a dietro". Per assicurare il cammelliere sulle loro indicazioni, gli forniscono tre elementi che convincono il cammelliere della loro buona fede: il cammello perduto è cieco da un occhio, "gli manca uno dente in bocca" ed è zoppo. Il buon uomo, rincuorato dalle buone notizie, ripercorre a ritroso la strada fatta dai tre principi, ma nonostante il lungo cammino non riesce a ritrovare l'animale. Il giorno seguente, ritornato sui suoi passi, incontra di nuovo i tre giovani e si lamenta con loro di averlo ingannato. Per dimostrare di aver detto il vero i tre principi aggiungono altri tre elementi. Sono la prova che hanno veramente visto il cammello, ma sono anche la loro condanna. Dicono: il cammello aveva una soma, carica da un lato di miele e dall'altro di burro, portava una donna, e questa era gravida. Di fronte a questi particolari, il cammelliere dà per certo che i tre abbiano visto il suo animale ma, vista la ricerca inutile del giorno precedente, crede di essere stato gabbato e accusa i tre giovani, vestiti tra l'altro con panni modesti e non certo regali, di avergli rubato il cammello. Iniziano così le peripezie dei nobili singalesi, imprigionati nelle segrete dell'imperatore Beramo che, convocata un'udienza e nonostante la sua magnanimità, considerate le apparenze, e le scuse addotte dai tre – l'abbiamo fatto per burlarci del cammelliere ma noi il cammello non l'abbiamo mai visto – è costretto a condannarli a morte perché ladri. E i giovani verrebbero giustiziati se, per puro caso, un altro cammelliere, trovato il cammello e avendolo riconosciuto, non lo riconducesse al legittimo proprietario. Recuperato il mal tolto, e dimostrata in tal modo la propria innocenza, i tre vengono liberati. Prima però devono spiegare come abbiano fatto a descrivere nel dettaglio l'animale, senza averlo mai visto. E' a questo punto che l'abduzione scende in campo, modificando il destino dei tre principi, e viene palesemente svelata all'imperatore Beramo e all'incuriosito lettore. Ciascun particolare del cammello è stato immaginato, ed è poi risultato vero, grazie alla capacità di osservazione e alla sagacia dei tre giovani. Che fosse cieco da un occhio era dimostrato dal fatto che, pur essendo l'erba migliore da un lato della strada, era stata brucata quella del lato opposto, a indicare che il cammello vedeva solo da un occhio, quello che dava sul lato della strada con l'erba mangiata. Che fosse privo di un dente lo dimostrava l'erba mal tagliata che si poteva osservare lungo la via. Che fosse zoppo, poi, lo svelavano senza ombra di dubbio le impronte lasciate dall'animale sulla sabbia. E' sulla spiegazione del carico, però, che l'abduzione diventa più difficile e mira a stupire: il cammello portava da un lato miele e dall'altro burro perché lungo la strada da una parte si accalcavano le formiche (amanti del grasso) e dall'altro le mosche (amanti del miele); aveva sul dorso una donna perché in una sosta il passeggero si era fermato ai lati della strada a urinare, e questa urina aveva attratto l'attenzione di uno dei principi che, chinatosi per osservarla, aveva visto vicino delle orme di piede umano molto piccolo, che poteva essere di donna o di ragazzo. Per sciogliere la sua curiosità aveva posto un dito nell'urina (cosa non strana per i tempi, e che i medici facevano comunemente al letto del malato) e la odorò, venendo "assalito da una concupiscenza carnale" che può venire solo da urine di donna. Infine la donna doveva essere gravida, perché poco innanzi alle orme dei piedi c'erano quelle lasciate, più profondamente dalle mani, usate dalla donna per rialzarsi a fatica visto "il carico del corpo".Le spiegazioni dei tre principi stupiscono i presenti e specie Beramo, che decide di fare dei tre dei tre giovani sconosciuti, che mantengono segreta la propria vera identità, i propri consiglieri. Nel centinaio di pagine della novella, i tre principi in incognito offrono così i loro servigi all'imperatore, salvandogli anche la vita e applicando in ogni occasione il metodo dell'abduzione per risolvere situazioni intricate o addirittura prevedere cosa accadrà nel futuro. Come si vede, le scoperte fatte dai principi nascono dal caso, dall'osservazione e dalla sagacia, secondo le tre regole auree della serendipità. Walpole restò così colpito dal comportamento dei protagonisti della strana storiella da inventare, per l’occasione, una parola nuova: serendipity, ripresa poi da tutte le lingue per indicare la possibilità di fare, per caso, sorprendenti ed inattese scoperte.Da quel momento, l’idea di un andamento che dispone a trovare cose inaspettate mentre si pensa, si sperimenta, o si opera, in tutt’altra direzione e magari con tutt’altri fini si è, man mano, introdotta nelle cognizioni di umanisti, filosofi, economisti, finanche dei pubblicitari, ma soprattutto si è conquistata un posto rilevante nella storia delle scoperte scientifiche: dalla penicillina rivelatasi a Fleming grazie alla casuale insorgenza di muffe in colture da tempo sotto osservazione, alla radiazione cosmica di fondo scoperta da Amo Penzias riparando un antenna, per non parlare poi, più a ritroso nel tempo, in anticipo sulle speculazione di Walpole, della mela di Newton o della vasca d’Archimede. Ma, nell’ultimo scorcio del secolo appena trascorso, il “regno di Serendip” ha, in un certo senso, spalancato le sue porte a tutti, e questo grazie ad una geniale invenzione, dovuta a Tim Berners-Lee: il World Wide Web. Nel nuovo ambiente virtuale costituito da un sempre più vasto ed intricato ipertesto planetario, la pratica della “serentipity”, da esclusivo appannaggio d’intraprendenti principi o di pochi fortunati scienziati, si è trasformata in quell’esperienza naturalmente singolare sperimentata quotidianamente, con più o meno soddisfazione e/o successo, dalla moltitudine dei suoi frequentatori. Oltre ad essere spesso indicata come elemento essenziale nell'avanzamento della ricerca scientifica (spesso scoperte importanti avvengono mentre si stava ricercando altro), la serendipità può essere vista anche come atteggiamento, e - come tale - viene praticata consapevolmente più spesso di quanto non si creda. Ad esempio tutte le volte che si smette di arrovellarsi nel ricordare un nome, nella speranza che l'informazione emerga da sé dalla memoria, in realtà ci si sta affidando alla serendipità. Una famosa frase per descrivere la serendipità è del ricercatore biomedico americano Julius H. Comroe: «la serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino». In filosofia si possono distinguere pensatori serendipici. Come Montaigne e Ralph Waldo . Voltaire, il grande illuminista francese, sulla scorta di una novella di Cristoforo Armeno sui tre principi di Serendippo, probabilmente letta in una versione tradotta, ideò nel 1749 un personaggio che faceva dell'abduzione e della serendipità il proprio strumento di vita. Questo personaggio era Zadig, il cui nome è passato alla storia della letteratura dando il titolo alla lunga novella in cui si narra delle sue avventure (in rete si trova l'intero racconto in francese, anche zippato) Zadig, il saggio ("Saadiq" in arabo significa appunto saggio), si accontentava di usare "lo stile della ragione" per affrontare le vicende della vita. Si ritrovava spesso nei guai, ma grazie alla logica e in particolare all'abduzione, riusciva sempre a cavarsela, tanto che alla fine divenne principe di Babilonia. Tra le numerose avventure di Zadig, ce n'è una che ricalca passo passo quella dei tre princìpi di Serendippo. Al re e alla regina sono sfuggiti una cagna e un cavallo. Zadig non li ha visti ma li descrive dettagliatamente, perciò viene incarcerato e riesce a salvarsi solo quando cagna e cavallo vengono ritrovati. [leggi il racconto]. Molte volte la scoperta fatta per caso viene sminuita: si dà più valore all'evento casuale che all'osservazione attenta e alle capacità del ricercatore. Si dice insomma: "Sì, è stato bravo, ma se non fosse accaduto quel fatto inatteso non avrebbe mai scoperto nulla". Non si capisce che la vera grandezza di uno scienziato si misura spesso con il metro della serendipità. A dimostrarlo è la strada dei premi Nobel, che è lastricata di esempi di serendipità, e che ha visto alternarsi sul palco dell'Accademia delle scienze di Stoccolma i più famosi uomini di scienza del Novecento, che in molti casi hanno sottolineato come la sorte abbia guidato le loro menti. Tra i primi a riconoscere l'importanza nella ricerca scientifica della sagacia, unita a osservazione e caso, fu Louis Pasteur, sul finire del secolo scorso. Il grande microbiologo francese, che con Robert Koch ha impresso una svolta decisiva alla medicina ottocentesca, trasformandola nella medicina moderna, che ancora oggi è praticata, amava ripetere spesso ai suoi allievi una frase che è passata alla storia: "La fortuna favorisce le menti preparate". Nell'affermazione di Pasteur sta l'essenza della ricerca: la sorte viene vista non come un colpo di fortuna, ma come un elemento indispensabile per scoprire qualcosa. Viene inserita in un quadro più ampio, che esula dall'influenza della dea bendata e passa sul piano del ricercatore. Il caso, infatti, passa inosservato e non viene assolutamente colto nella sua novità od originalità se a osservare gli eventi non c'è una mente preparata. Con ciò Pasteur trasforma il colpo di genio in una dote costruita con il passare del tempo, creata in anni di studio prima, e di lavoro poi. Vuole insomma assegnare il giusto rilievo alla cultura e alle conoscenze acquisite, senza le quali ogni evento casuale cadrebbe inosservato, pur essendo visto da molti. La serendipità, dunque, può essere applicata solo da chi ha una mente preparata e non da chiunque. Per tale motivo scoprire qualcosa attraverso il caso deve essere motivo di vanto e non di... casualità. La serendipità non pretende di essere metodo scientifico, che possa sostituire il modo di procedere ortodosso dei ricercatori, ma è un'applicazione particolare di un processo logico, l'abduzione, abitualmente usato dagli scienziati. E', in fondo, un'eccezione, che può parere, a prima vista, un'eresia, ma che deve essere parte costante dell'agire dello scienziato, il quale dovrebbe guardare cosa accade con occhi puliti da ogni preconcetto. Solo infatti una mente elastica potrà ricondurre il dato discordante e inatteso a una possibile novità invece che a una deviazione fastidiosa perché non facente parte del proprio percorso logico.