Blog informativo sulla P4C

( philosophy for children)

di Lipman

Quando la filosofia dipinge il suo grigio su grigio, allora una figura della vita è invecchiata, e con grigio su grigio essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto conoscere; la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo.


La parola "filosofia" ha come nella sua radice il significato "far crescere". Infatti, c'è solo una cosa che sa stupire e conquistare il nostro cuore: la parola di chi non si limita a inanellare frasi sensate e ben tornite, ma di chi ci porta più in alto o più in profondità.

Che cos'è la filosofia?

“La filosofia è la palingenesi obliterante dell'io subcosciente che si infutura nell'archetipo dell'antropomorfismo universale. “(Ignoto)

Perché la filosofia spiegata ai ragazzi?

I bambini imparano a conoscere e a gestire i propri ed altrui processi emozionali, affettivi e volitivi: imparano a conoscere se stessi e a relazionarsi con gli altri. Una scuola che intende fornire esperienze concrete e apprendimenti significativi, dove si vive in un clima carico di curiosità, affettività, giocosità e comunicazione, non può prescindere dal garantire una relazione umana significativa fra e con gli adulti di riferimento. Questa Scuola ad alto contenuto educativo, non può cadere nel terribile errore di preconizzare gli apprendimenti formali, errore spesso commesso dagli insegnanti che sono più attenti a formare un “bambino-campione”, piuttosto che un bambino sicuro e forte nell'affrontare la vita, o ancora un bambino che abbia acquisito la stima di sé, la fiducia nelle proprie capacità e la motivazione al passaggio dalla curiosità, caratterizzante la Scuola dell'Infanzia, alla ricerca. L'insegnante deve poter provare un “sentimento” per l'infanzia inteso come “sentire”, percepire e prendere consapevolezza dei bisogni reali, affettivi ed educativi propri del bambino che sono altro rispetto ai bisogni degli adulti. Il ruolo dei genitori, degli insegnanti è infatti quello di educare tutti e ciascuno alla consapevolezza di ciò che il bambino “sente” emotivamente e affettivamente, perché è proprio il passaggio dal sentire all'agire che consentirà al futuro uomo di compiere scelte autonome. Un compito importante dell'insegnante è quello di mediare i modi e i tempi di un dialogo strutturato su un piano paritario, in modo tale da consentire ad ogni interlocutore di far emergere il proprio pensiero e di metterlo in relazione con quello degli altri. E' una sfida, da parte dell'insegnate, a livello culturale, sociologica e civica ma che deve coinvolgere anche i più piccoli per dotarli di una propria capacità critica, che permetta loro di ragionare, di riflettere sulla realtà e di compiere in futuro scelte consapevoli Se la filosofia è "presa sul serio", se è misurata con i problemi reali, è davvero uno strumento di formazione della persona e di indirizzo della vita. La filosofia come felicità presente nell'attività del pensiero.

Incontrarsi è una grande avventura

“Non possiamo stare
e vivere da soli,
se così è,
la vita diventa
solitudine monotona.
Abbiamo bisogno dell’altro
per condividere sguardi
di albe e tramonti,
momenti di gioia e dolore.
Abbiamo bisogno dell’altro
che ci aiuta a vedere
e scoprire le cose che da soli
mai raggiungeremo.

Beati quelli che sono capaci
di correre il rischio dell’incontro,
permeandolo di affetto e passioni
che ci fanno sentire più persone
poiché così vivendo
anche gli scontri
saranno mezzi
di un vero incontro.”
(Testo di sr. Soeli Diogo).




Questo romanzo è rivolto, con la più grande speranza e fiducia, a tutte le persone di questa società e soprattutto a quei giovani che si muovono oggi, coi loro passi, senza esserne pienamente consapevoli, verso la scoperta della grande stanza di questo mondo poliedrico e complesso, dalle mille pareti ammaliatrici. Passi che, a dosi esagerate della conquista di una felicità che riempia la stanza del loro cuore, complementare a quella del mondo, lasciano dietro sé molte tracce superficiali che si spazzano via anche con il più debole vento della loro esistenza per poi trascinarli nel giogo del “vuoto”. Che questo romanzo “Un vuoto da decidere” sia loro di aiuto per guardare in faccia, riconoscere, combattere e vincere, con le sole armi dell’amore vero per se stessi e per il mondo, questa strana “malattia” dell’anima che colpisce chi non ha difese e che porta alla conquista di una libertà infedele e subdola.

Se la metto in pratica mi fa vivere tutta un'altra vita, straordinariamente più ricca di quella che avrei ideato fidandomi solo di me.

Solleviamoci, è ora

Noi siamo quelli
che se ne vanno
pieni di vento
e di sole
in deserti
affollati
di illusioni
e non tornano più
abbagliati
da spaccati di vita.

Siamo riflessi
di affetti
profondi.
Pensieri
di fresca rugiada
posata sulla notte
che non conosce
nuvole.

Siamo i sospesi
tra sogno e realtà,
quelli sul sottile confine
tracciato
dai meandri
dei desideri.

Siamo splendide bugie
di una terra
che fatica
ad alzarsi
sui marciapiedi
della vita.

Siamo polvere
di un tempo
inesorabile
che ci riporta
tra le caverne opache
dei ricordi.

Siamo l’urlo
di amici perduti
non ancora tornati,
che raccoglie
sogni lanciati
su nuvole rosa
gonfie di cuore
nel cielo sospeso
della gioventù.

Siamo parole
mai dette
intrappolate
tra i rami
scheggiati
di un inverno
che fatica
nel risveglio.

Siamo vita
che scoppia
nei focolai spenti
accesi dal giorno che nasce
a dispetto di tutto.

Preghiere
Strappate ai silenzi
concessi da un Dio
che non ama
piangersi addosso.

Siamo
l’andata e il ritorno
di noi stessi.

Solleviamoci.
E’ ora.

PAESE MIO

Paese mio
cinto a primavera
di riccioluti gorgheggi
affaccendati
come comari
nel via vai del giorno
ti vai combinando
tra nuvole ariose
all’orizzonte
e sogni fermi
dietro vetri antichi.

Tu non conosci gli anni.

Il tuo grembo
avrà sempre un vecchio
davanti ai tuoi tramonti
aggrappato
ai sapori di campagna
mentre torna stanco
con le zolle in mano
cantando
la fatica della terra.

E non conosci spazi.

Sei tutto lì
che vivi di germogli
seminati
nei cuori della gente
che s’adatta
all’ombra
dell’inverno
mentre fuori
è estate.

Per questo
non ti mancano
i sorrisi
strappati ai vicoli
intrecciati e bui
come strette di mano
nel bisogno
tra calde mura
di camini accesi.


Tra gli alberi d’ulivo
bagnati di sole
che lasciano un’impronta
tra le rughe
dei ricordi

che strada voltando
riporta
inesorabilmente
a te.



mostra di poesie

mostra di poesie
Solleviamoci, è ora


lunedì 25 febbraio 2008

Serendipità ovvero:la fortuna delle menti preparate


I semi di una grande scoperta sono costantemente presenti nell'aria che ci circonda, ma essi cadono e fanno radici soltanto nelle menti preparate a riceverli"
Joseph Henryfisico americano
Serendipità è un
neologismo cioè una parola di recente ideazione..poco usato nella lingua italiana, proveniente dall'assai più diffuso corrispondente anglosassone serendipity. Tale parola inglese fu coniata nel 1754 dal letterato Horace Walpole, ispirato dalla lettura della fiaba persiana "Tre principi di Serendippo" di Cristoforo Armeno. Il termine "serendipità" deriva dall’isola di Serendippo, antico nome di Sri Lanka, e in particolare dalla novella dei tre principi di Serendippo di Cristoforo Armeno, che ha ispirato il racconto Zadig di Voltaire. Nel racconto i tre protagonisti trovano sul loro cammino una serie di indizi, che li salvano in più di un'occasione. La storia descrive le scoperte dei tre principi come intuizioni dovute sì al caso, ma anche allo spirito acuto e alla loro capacità di osservazione. Serendipità è dunque - filosoficamente - lo scoprire una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra. Ma il termine non indica solo fortuna: per cogliere l'indizio che porterà alla scoperta occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore di esperienze che non corrispondono alle originarie aspettative. "Fu anticamente nelle parti orientali, nel paese di Serendippo, un grande e potente re, nominato Giaffer, il quale ritrovandosi tre figliuoli maschi...". Così inizia a narrare Cristoforo Armeno, introducendo subito i personaggi della storia: tre inseparabili principi, figli di Giaffer, re di Serendippo, educati dai più grandi saggi del tempo, coltissimi e pronti a cogliere ogni sfida intellettuale, privi però di un'esperienza altrettanto importante di vita vissuta: tutti teoria, insomma, e niente pratica. Per provare, oltre alla loro saggezza, anche le loro attitudini pratiche, Giaffer, con uno stratagemma, decide di cacciarli dal regno: "Deliberò, per farli compiutamente perfetti, che andassero a vedere del mondo, per apparare da diversi costumi e maniere di molte nationi con l'esperienza quello che colla lettione de' libri, e disciplina de' precettori s'erano di già fatti padroni". Nasce così, per il volere di un genitore esigente, ed è proprio il caso di dire realista, il viaggio verso l'ignoto dei tre principi, che subitono incocciano nella disavventura che li farà passare alla storia. Mentre i tre sono da poco giunti nel Paese di Beramo, "potente imperadore", si imbattono in un cammelliere, disperato per aver perduto il proprio prezioso animale, unica fonte di guadagno. I tre non l'hanno visto, ma per burlarsi del buon uomo e dilettarsi del proprio intelletto, dicono al poveretto che il suo animale l'hanno incontrato "nel cammino, buon pezzo a dietro". Per assicurare il cammelliere sulle loro indicazioni, gli forniscono tre elementi che convincono il cammelliere della loro buona fede: il cammello perduto è cieco da un occhio, "gli manca uno dente in bocca" ed è zoppo. Il buon uomo, rincuorato dalle buone notizie, ripercorre a ritroso la strada fatta dai tre principi, ma nonostante il lungo cammino non riesce a ritrovare l'animale. Il giorno seguente, ritornato sui suoi passi, incontra di nuovo i tre giovani e si lamenta con loro di averlo ingannato. Per dimostrare di aver detto il vero i tre principi aggiungono altri tre elementi. Sono la prova che hanno veramente visto il cammello, ma sono anche la loro condanna. Dicono: il cammello aveva una soma, carica da un lato di miele e dall'altro di burro, portava una donna, e questa era gravida. Di fronte a questi particolari, il cammelliere dà per certo che i tre abbiano visto il suo animale ma, vista la ricerca inutile del giorno precedente, crede di essere stato gabbato e accusa i tre giovani, vestiti tra l'altro con panni modesti e non certo regali, di avergli rubato il cammello. Iniziano così le peripezie dei nobili singalesi, imprigionati nelle segrete dell'imperatore Beramo che, convocata un'udienza e nonostante la sua magnanimità, considerate le apparenze, e le scuse addotte dai tre – l'abbiamo fatto per burlarci del cammelliere ma noi il cammello non l'abbiamo mai visto – è costretto a condannarli a morte perché ladri. E i giovani verrebbero giustiziati se, per puro caso, un altro cammelliere, trovato il cammello e avendolo riconosciuto, non lo riconducesse al legittimo proprietario. Recuperato il mal tolto, e dimostrata in tal modo la propria innocenza, i tre vengono liberati. Prima però devono spiegare come abbiano fatto a descrivere nel dettaglio l'animale, senza averlo mai visto. E' a questo punto che l'abduzione scende in campo, modificando il destino dei tre principi, e viene palesemente svelata all'imperatore Beramo e all'incuriosito lettore. Ciascun particolare del cammello è stato immaginato, ed è poi risultato vero, grazie alla capacità di osservazione e alla sagacia dei tre giovani. Che fosse cieco da un occhio era dimostrato dal fatto che, pur essendo l'erba migliore da un lato della strada, era stata brucata quella del lato opposto, a indicare che il cammello vedeva solo da un occhio, quello che dava sul lato della strada con l'erba mangiata. Che fosse privo di un dente lo dimostrava l'erba mal tagliata che si poteva osservare lungo la via. Che fosse zoppo, poi, lo svelavano senza ombra di dubbio le impronte lasciate dall'animale sulla sabbia. E' sulla spiegazione del carico, però, che l'abduzione diventa più difficile e mira a stupire: il cammello portava da un lato miele e dall'altro burro perché lungo la strada da una parte si accalcavano le formiche (amanti del grasso) e dall'altro le mosche (amanti del miele); aveva sul dorso una donna perché in una sosta il passeggero si era fermato ai lati della strada a urinare, e questa urina aveva attratto l'attenzione di uno dei principi che, chinatosi per osservarla, aveva visto vicino delle orme di piede umano molto piccolo, che poteva essere di donna o di ragazzo. Per sciogliere la sua curiosità aveva posto un dito nell'urina (cosa non strana per i tempi, e che i medici facevano comunemente al letto del malato) e la odorò, venendo "assalito da una concupiscenza carnale" che può venire solo da urine di donna. Infine la donna doveva essere gravida, perché poco innanzi alle orme dei piedi c'erano quelle lasciate, più profondamente dalle mani, usate dalla donna per rialzarsi a fatica visto "il carico del corpo".Le spiegazioni dei tre principi stupiscono i presenti e specie Beramo, che decide di fare dei tre dei tre giovani sconosciuti, che mantengono segreta la propria vera identità, i propri consiglieri. Nel centinaio di pagine della novella, i tre principi in incognito offrono così i loro servigi all'imperatore, salvandogli anche la vita e applicando in ogni occasione il metodo dell'abduzione per risolvere situazioni intricate o addirittura prevedere cosa accadrà nel futuro. Come si vede, le scoperte fatte dai principi nascono dal caso, dall'osservazione e dalla sagacia, secondo le tre regole auree della serendipità. Walpole restò così colpito dal comportamento dei protagonisti della strana storiella da inventare, per l’occasione, una parola nuova: serendipity, ripresa poi da tutte le lingue per indicare la possibilità di fare, per caso, sorprendenti ed inattese scoperte.Da quel momento, l’idea di un andamento che dispone a trovare cose inaspettate mentre si pensa, si sperimenta, o si opera, in tutt’altra direzione e magari con tutt’altri fini si è, man mano, introdotta nelle cognizioni di umanisti, filosofi, economisti, finanche dei pubblicitari, ma soprattutto si è conquistata un posto rilevante nella storia delle scoperte scientifiche: dalla penicillina rivelatasi a Fleming grazie alla casuale insorgenza di muffe in colture da tempo sotto osservazione, alla radiazione cosmica di fondo scoperta da Amo Penzias riparando un antenna, per non parlare poi, più a ritroso nel tempo, in anticipo sulle speculazione di Walpole, della mela di Newton o della vasca d’Archimede. Ma, nell’ultimo scorcio del secolo appena trascorso, il “regno di Serendip” ha, in un certo senso, spalancato le sue porte a tutti, e questo grazie ad una geniale invenzione, dovuta a Tim Berners-Lee: il World Wide Web. Nel nuovo ambiente virtuale costituito da un sempre più vasto ed intricato ipertesto planetario, la pratica della “serentipity”, da esclusivo appannaggio d’intraprendenti principi o di pochi fortunati scienziati, si è trasformata in quell’esperienza naturalmente singolare sperimentata quotidianamente, con più o meno soddisfazione e/o successo, dalla moltitudine dei suoi frequentatori. Oltre ad essere spesso indicata come elemento essenziale nell'avanzamento della ricerca scientifica (spesso scoperte importanti avvengono mentre si stava ricercando altro), la serendipità può essere vista anche come atteggiamento, e - come tale - viene praticata consapevolmente più spesso di quanto non si creda. Ad esempio tutte le volte che si smette di arrovellarsi nel ricordare un nome, nella speranza che l'informazione emerga da sé dalla memoria, in realtà ci si sta affidando alla serendipità. Una famosa frase per descrivere la serendipità è del ricercatore biomedico americano Julius H. Comroe: «la serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino». In filosofia si possono distinguere pensatori serendipici. Come Montaigne e Ralph Waldo . Voltaire, il grande illuminista francese, sulla scorta di una novella di Cristoforo Armeno sui tre principi di Serendippo, probabilmente letta in una versione tradotta, ideò nel 1749 un personaggio che faceva dell'abduzione e della serendipità il proprio strumento di vita. Questo personaggio era Zadig, il cui nome è passato alla storia della letteratura dando il titolo alla lunga novella in cui si narra delle sue avventure (in rete si trova l'intero racconto in francese, anche zippato) Zadig, il saggio ("Saadiq" in arabo significa appunto saggio), si accontentava di usare "lo stile della ragione" per affrontare le vicende della vita. Si ritrovava spesso nei guai, ma grazie alla logica e in particolare all'abduzione, riusciva sempre a cavarsela, tanto che alla fine divenne principe di Babilonia. Tra le numerose avventure di Zadig, ce n'è una che ricalca passo passo quella dei tre princìpi di Serendippo. Al re e alla regina sono sfuggiti una cagna e un cavallo. Zadig non li ha visti ma li descrive dettagliatamente, perciò viene incarcerato e riesce a salvarsi solo quando cagna e cavallo vengono ritrovati. [leggi il racconto]. Molte volte la scoperta fatta per caso viene sminuita: si dà più valore all'evento casuale che all'osservazione attenta e alle capacità del ricercatore. Si dice insomma: "Sì, è stato bravo, ma se non fosse accaduto quel fatto inatteso non avrebbe mai scoperto nulla". Non si capisce che la vera grandezza di uno scienziato si misura spesso con il metro della serendipità. A dimostrarlo è la strada dei premi Nobel, che è lastricata di esempi di serendipità, e che ha visto alternarsi sul palco dell'Accademia delle scienze di Stoccolma i più famosi uomini di scienza del Novecento, che in molti casi hanno sottolineato come la sorte abbia guidato le loro menti. Tra i primi a riconoscere l'importanza nella ricerca scientifica della sagacia, unita a osservazione e caso, fu Louis Pasteur, sul finire del secolo scorso. Il grande microbiologo francese, che con Robert Koch ha impresso una svolta decisiva alla medicina ottocentesca, trasformandola nella medicina moderna, che ancora oggi è praticata, amava ripetere spesso ai suoi allievi una frase che è passata alla storia: "La fortuna favorisce le menti preparate". Nell'affermazione di Pasteur sta l'essenza della ricerca: la sorte viene vista non come un colpo di fortuna, ma come un elemento indispensabile per scoprire qualcosa. Viene inserita in un quadro più ampio, che esula dall'influenza della dea bendata e passa sul piano del ricercatore. Il caso, infatti, passa inosservato e non viene assolutamente colto nella sua novità od originalità se a osservare gli eventi non c'è una mente preparata. Con ciò Pasteur trasforma il colpo di genio in una dote costruita con il passare del tempo, creata in anni di studio prima, e di lavoro poi. Vuole insomma assegnare il giusto rilievo alla cultura e alle conoscenze acquisite, senza le quali ogni evento casuale cadrebbe inosservato, pur essendo visto da molti. La serendipità, dunque, può essere applicata solo da chi ha una mente preparata e non da chiunque. Per tale motivo scoprire qualcosa attraverso il caso deve essere motivo di vanto e non di... casualità. La serendipità non pretende di essere metodo scientifico, che possa sostituire il modo di procedere ortodosso dei ricercatori, ma è un'applicazione particolare di un processo logico, l'abduzione, abitualmente usato dagli scienziati. E', in fondo, un'eccezione, che può parere, a prima vista, un'eresia, ma che deve essere parte costante dell'agire dello scienziato, il quale dovrebbe guardare cosa accade con occhi puliti da ogni preconcetto. Solo infatti una mente elastica potrà ricondurre il dato discordante e inatteso a una possibile novità invece che a una deviazione fastidiosa perché non facente parte del proprio percorso logico.

lunedì 18 febbraio 2008

S O S BULLISMO: la filosofia come valido sostegno




“La filosofia è innanzitutto una forza di interrogazione e di riflessione che verte sui grandi problemi della conoscenza e della condizione umana. “
(Edgar Morin, La tete bien faite)
Secondo le ultime stime ufficiali uno studente su tre, con sempre maggiore frequenza tra i banchi di scuola, è stato vittima almeno una volta di atti di bullismo e non si contano più i filmati violenti o di cattivo gusto registrati in classe attraverso telefonini e riversati sui siti internet ma si manifestano anche episodi che arrivano a coinvolgere i professori. Una recente indagine in Italia sul ''bullismo'' nelle scuole superiori ha evidenziato che un ragazzo su due subisce episodi di violenza verbale, psicologica e fisica e il 33% è una vittima ricorrente di abusi. Dai risultati dell’indagine emerge che le prepotenze di natura verbale e psicologica prevalgano rispetto a quelle di tipo fisico: il 42% dei ragazzi afferma di essere stato preso in giro; il 30% ha subito delle offese e il 23,4% ha segnalato di aver subito calunnie; nelle violenze di tipo psicologico, il 3,4% denuncia l'isolamento di cui è stato oggetto, mentre l’11% dichiara di essere stato minacciato. Il termine bullismo è la traduzione italiana dall'inglese "bullying" ed è utilizzato per designare i comportamenti con i quali un singolo o un gruppo, tenta di umiliare o dominare una persona o un altro gruppo. Il termine "bullying" include sia i comportamenti del "persecutore" sia quelli della "vittima" ponendo al centro dell'attenzione la relazione nel suo insieme. "E' il "cyberbullying" - scrive Fioroni - "la nuova forma di prevaricazione, che non consente a chi la subisce di sfuggire o nascondersi e coinvolge un numero sempre più ampio di vittime, è in costante aumento e non ha ancora un contesto definito. Ciò che appare rilevante è che oggi non è più sufficiente educare a decodificare l'immagine perché i nuovi mezzi hanno dato la possibilità a chiunque non solo di registrare immagini ma anche di divulgarle. Di conseguenza la prevenzione ed il contrasto al bullismo sono azioni "di sistema" da ricondurre nell'ambito del quadro complessivo di interventi e di attività generali. Il fenomeno del bullismo si manifesta non solo con molestie fisiche e sessuali tra compagni, ma con violenze di giovani ultrà che trasformano gli stadi in campi di battaglia. Non bastano le misure repressive quali la sospensione dalle lezioni di soli 15 giorni o le multe da pagare, il bullismo è un fenomeno complesso che affonda le sue radici in un profondo disagio esistenziale tipico dell'
età adolescenziale e pre-adolescenziale e che va affrontato sotto i differenti aspetti psicologici, sociali, scolastici. : qualsiasi azione di contrasto rischia di rimanere incompiuta se non la affiancheremo con una vera e propria offensiva educativa per i nostri giovani": è quanto ha dichiarato il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni presentando al ministero la campagna nazionale contro il bullismo. Le linee di indirizzo del ministro sono contenute in una Direttiva di 13 pagine inviata a tutte le scuole ma che è anche il frutto del lavoro di proposta che le stesse scuole hanno fatto arrivare in questi mesi. "La scuola - scrive Fioroni - è il terminale ultimo su cui convergono tensioni e dinamiche che hanno origine complessa nel nostro sistema sociale, compreso il bullismo, e rappresenta una risorsa fondamentale, l'istituzione preposta a mantenere un contatto non episodico ed eticamente strutturato con i giovani" .L’ atteggiamento del bullo nei confronti del più debole o dei più deboli ha cause che spesso risiedono nell'invidia nei confronti delle vittime, invidia alimentata da un forte complesso adleriano d'inferiorità: il bullo prova piacere nel disturbare, insultare, picchiare o danneggiare nelle cose la "vittima" e continua anche quando è evidente che la vittima sta molto male ed è angosciata. Gli episodi di bullismo si consumano il più delle volte in gruppo di coetanei e diventa il principale punto di riferimento che fornisce ai ragazzi la possibilità di sentire colmato il vuoto lasciato dai legami infantili interni alla famiglia, di condividere conflitti e ansie proprie dell’età, di sperimentare un forte sentimento di appartenenza e di potere. I ragazzi, spesso soli e confusi cercano di difendersi dalla solitudine, dalla frustrazione, dalla “paura” della complessità del mondo che li circonda, rifugiandosi in questa dimensione collettiva in cui trova spazio l’espressione della propria personalità, verso l’indipendenza propria dell’età adulta con legami diversi all’interno della famiglia da quelli dell’infanzia. Tendenze individuali, che si manifestano in una situazione di scarso controllo degli impulsi aggressivi e sessuali messi in atto senza possibilità di elaborazione psichica dove la debolezza, la passività, la fragilità non vengono tollerate perché sono percepite come minaccia alla propria identità personale e per questo “devono” essere combattute con ogni mezzo. Purtroppo sono presenti già nella Scuola Primaria episodi in cui un bambino più forte o più grande o anche un gruppo, minaccia o intimorisce un altro bambino ritenuto più debole o in difficoltà. Ormai siamo abituati a vedere ragazzi e ragazze giovanissimi che sfoggiano comportamenti, abiti, apparecchi elettronici fino a qualche decennio fa riservati ai soli adulti. Il confine tra infanzia e adolescenza si fa sempre più sottile. I cambiamenti sono sempre più repentini e comprensibilmente destano preoccupazioni e timori negli adulti. Giovanissimi sempre più esposti che si troveranno da una parte nell’impossibilità di rivolgersi al mondo infantile ormai precluso, dall’altra di proseguire nel processo di crescita verso un mondo adulto che spaventa per diversi motivi: dalla sessualità alla separazione psicologica dai propri genitori. In quest’impasse l’adolescente può rimanere bloccato in uno stato d’animo di sospensione e di vuoto di pensiero. Quando la crisi si aggrava e non trova soluzione appaiono comportamenti patologici come: l’impossibilità di frequentare la scuola; le fughe; i tentativi di suicidio; i disturbi alimentari le condotte antisociali gli stati di dipendenza (droghe, alcool, abuso di sostanze, dipendenza da videogiochi). Numerosi fattori poi sono legati soprattutto alla sollecitazione da parte degli adulti di una precoce autonomia dei figli o ancora alla notevole influenza che possono avere i mass media in questo periodo che danno sempre più importanza agli aspetti esteriori, all’immagine idealizzata del corpo, all’apparire più che all’essere, al possesso di oggetti concreti anziché all’interiorizzazione di esperienze affettive e culturali. L’esposizione precoce e continuativa a immagini violente ed eccitanti, con la proposta di spettacoli, fiction, cartoni, film, fatti di cronaca, vanno a far leva su rappresentazioni che a questa età sono attive nel segreto del mondo interno dei ragazzi, ma che possono dar loro la sensazione che tutto sia possibile. Vengono sollecitati temi di magia, “poteri”, assenza di limiti, ambiguità sessuali. Tutto questo a scapito di quella regolazione degli affetti e degli impulsi. Talvolta nei genitori emerge la sensazione di “avere un estraneo in casa”: cambi repentini d’umore, diminuzione del proprio rendimento scolastico o chiusura sociale legata alle sole esperienze del gruppo di amici, che si esprimono spesso con il bisogno di imporre il proprio punto di vista e a volte con il rifiuto di tutto ciò che prima sembrava acquisito: valori, religione, abbigliamento. In questo periodo i genitori possono esacerbare le differenze tra il passato e il presente e il rapporto con i figli può essere ostacolato dalle recriminazioni e dalle ansie di controllo o, al contrario, da un atteggiamento eccessivamente permissivo. Non è affatto infrequente infatti, specialmente oggi, che i genitori per non sentirsi esclusi e sorpassati abdichino alle loro funzioni di orientamento e limite. Al contrario i ragazzi, sia pure con modalità ambivalenti, chiedono ai genitori di rimanere un punto di riferimento e di confronto. Nel nostro sistema sociale la scuola rappresenta il luogo non solo dell’apprendimento ma soprattutto l’ambiente in cui ogni bambino (e ragazzo) fa esperienze, amicizie, insomma si forma e cresce. Erroneamente si ha però spesso una sottovalutazione del bullismo: lo si confonde con la normale aggressività del vivere sociale. In realtà quando parliamo di bullismo parliamo di qualcosa di diverso dalla normale conflittualità fra coetanei e diverso anche dagli sporadici episodi di violenza che possono accadere in una comunità. E' vero che le prepotenze ci sono sempre state, ma questo non significa che non abbiano avuto e non abbiano conseguenze negative sulla vita delle persone coinvolte, sia per quanto riguarda le persone prepotenti sia per quanto riguarda chi le subisce. Bisognerebbe rivolgersi all’ équipe psico-medico-pedagogica molto in voga negli anni ’60 ma oggi quasi scomparsa e, anche se ci sono vari disegni di legge, non si è ancora arrivati a definire una legge istitutiva di questo servizio basato su un progetto di intervento teso a fornire consulenza, coordinamento e promozione del benessere per tutti i protagonisti della scuola: alunni al primo posto, ma anche genitori, insegnanti, dirigenti per affrontare tematiche relative alla prevenzione, all’individuazione di specifici bisogni degli alunni o anche per far fronte a situazioni di disagio. Fioroni sottolinea nella Direttiva che "per prevenire e contrastare efficacemente fenomeni di bullismo, di violenza fisica o psicologica che vedono protagonisti una parte dei bambini e degli adolescenti, si deve sostenere e valorizzare il ruolo degli insegnanti, dei dirigenti scolastici e di tutto il personale tecnico ed ausiliario che, quotidianamente e senza "fare notizia", svolgono un'azione meritoria ed impegnativa per la realizzazione della funzione educativa che ciascuna istituzione scolastica autonoma è chiamata ad assolvere nel tessuto sociale in coerenza ai principi ed ai valori comuni della Costituzione italiana. E' alla singola scuola che spetta ricercare la strategia più idonea ed efficace nell'azione di educazione alla cittadinanza e di prevenzione del disagio, che potrà trovare espressione nel Piano dell'Offerta Formativa, documento fondamentale delle scuole autonome. L’istituto comprensivo di Feroleto sta già attuando la Philosophy for Children come strumento insostituibile e centrale per affrontare questi fenomeni è lo studio delle materie curricolari che fornisce agli studenti le capacità per una decodifica approfondita della realtà insieme alla proposta di attività strutturate e coerenti con il percorso di formazione. Il valore educativo dell'esperienza scolastica, infatti, comprende e supera la sola acquisizione di conoscenze e competenze". In tutto questo quadro sociale incerto la filosofia, in particolar modo la P4C di Lipman, intesa come valorizzazione del dialogo in classe, già dai primissimi anni scolastici, a partire dalla scuola dell’Infanzia, può rappresentare un percorso validissimo attivo di prevenzione o addirittura di risoluzione del bullismo perché tiene in considerazione la componente emotivo – affettiva dei bambini/ragazzi i quali discutendo mettono a nudo se stessi, mentre portano nel gruppo paure, idee, emozioni e sentimenti vissuti in prima persona ed imparano a conoscere se stessi e a relazionarsi con gli altri nonché a gestire i propri ed altrui processi emozionali, affettivi e volitivi. Spinoza afferma che solo una seria ricerca filosofica costituisce una vita autentica, intesa come una sfida, da parte dell'insegnate, a livello culturale, sociologica e civica che deve coinvolgere anche i più piccoli per dotarli di una propria capacità critica, che permetta loro di ragionare, di riflettere sulla realtà e di compiere in futuro scelte consapevoli. Se la filosofia è misurata con i problemi reali, è davvero uno strumento di formazione della persona e di indirizzo della vita perché promuove negli alunni la consapevolezza di sé, una crescente autonomia personale, organizzativa, decisionale; il senso della responsabilità personale e collettiva, la capacità di rapportarsi in maniera corretta e collaborativa.

Il simbolo della pace compie 50 anni




Il simbolo della pace vuole essere un segnale forte, anche a livello simbolico, nei confronti dei potenti che si ostinano a percorrere la pericolosa via delle armi ed in particolare delle armi nucleari. Compie cinquant'anni, composto da una linea verticale e due linee inclinate verso il basso, inscritte in un cerchio. Diventato negli anni uno dei loghi più conosciuti, associato all'America degli anni ‘60 e alla cultura hippie, nasce in realtà in Gran Bretagna nel 1958 come simbolo della Cnd (Campaign for nuclear Disarmement), organizzazione pacifista che aveva tra i suoi promotori il filosofo Bertrand Russell (1872-1970). Il primo utilizzo pubblico del simbolo risale infatti alla marcia di Aldermaston, località sede di una base militare e di una fabbrica di armi nucleari, in Inghilterra. Ad inventare il simbolo, che è riuscito a imporsi sul suo più diretto concorrente, la colomba della pace di Picasso, è stato Gerald Holtom. Obiettore di coscienza durante la Seconda guerra mondiale, decisione non scontata per quei tempi, Holtom, al termine del conflitto si avvicinò al Cnd diventandone presto attivista. Ai membri dell’organizzazione propose uno strano logo disegnato, qualche tempo prima, in nome della pace. L’idea nacque dopo aver studiato l'opera di Goya sui popolani madrileni fucilati dalle truppe di Napoleone. In particolare, la sua attenzione cadde su due personaggi: uno morto con le braccia abbassate e un altro vivo con le braccia alzate. Stilizzando tali posizioni e ispirandosi alla gestualità che i marinai utilizzano per comunicare a distanza tramite le bandierine (la lettera ‘N’ di ‘nuclear’, indicata dalla linea verticale, la lettera ‘D’ di ‘disarmament’, corrispondente alle linee inclinate, e il cerchio che rappresenta la parola ‘globale’), realizzò il simbolo della pace che i pacifisti inglesi riprodussero durante le marce da Londra ad Aldermaston. Il frequente errore di assegnarne la paternità a Bertrand Russell deriva probabilmente dal fatto che Russell era il presidente della CND proprio in quel periodo. Circa 10 anni dopo il simbolo comincia ad essere utilizzato come riferimento generale alla Pace dal movimento studentesco contro la guerra, diventando probabilmente il più noto simbolo della cultura giovanile degli anni sessanta. Secondo alcuni il simbolo deriva da due simboli storici cristiani: il cerchio esterno indica la terra (desolata e vuota, Gen 1:2) mentre il disegno interno “piede della strega/zampa di corvo”, indica “DIO discende” (con il dono di salvezza, Giovanni 3:16). Secondo altri le due braccia con bandierine, senza il cerchio, assomigliano ad una figura stilizzata con le braccia aperte “il gesto di un essere umano disperato”; il cerchio rappresenta l’utero o le generazioni non nate, come pure il mondo; il colore nero rappresenta l’eternità. Un’altra spiegazione, presumibilmente “non ufficiale”, è che essa rappresenta la croce del cristo con le braccia abbassate in segno di disperazione. Infatti il simbolo è anche la Runa della Morte nell’alfabeto runico Futhark. Negli anni '80 il simbolo viene utilizzato, per lo meno negli Stati Uniti, per rappresentare l'ambientalismo, in particolare nella forma di imitazione della bandiera statunitense in veste blu e verde con il simbolo della pace al posto delle stelle. Proprio nel 1958 vennero realizzati i primi distintivi in ceramica con il simbolo della pace. Oggetti che furono distribuiti con un foglietto ‘di istruzioni’ nel quale si spiegava che in caso di disastro atomico quello sarebbe stato uno dei pochi manufatti umani a restare integro. Bayard Rustin, affascinato dall'idea, 'esportò' il simbolo negli Stati Uniti dove venne adottato dagli attivisti per i diritti civili. Nella metà degli anni ‘60, comparve nelle dimostrazioni contro la guerra del Vietnam, dipinto sulle bandiere americane, sui vestiti dei contestatori e persino sugli elmetti dei militari impegnati al fronte, oltre che su milioni di spille, magliette, affiancato allo slogan “Fate l'amore non fate la guerra.” Ma il successo popolare continua da mezzo secolo, sui muri di Sarajevo e di Timor Est, nelle manifestazioni, sui diari o gli zainetti dei ragazzi, nonostante il mezzo secolo di vita, quello della pace “non è affatto un simbolo sorpassato e, anzi, è entrato a pieno titolo nella modernità”. Ferrero spiega che "nella società di oggi i 'valori' e i simboli hanno più valore di un tempo. La società ha bisogno di identificazioni simboliche". "Sia come simbolo pacifista che come simbolo antimilitarista” - afferma ancora Ferrero – il simbolo della pace fa parte del vissuto contemporaneo e non è affatto stato ‘soppiantato’ dalla bandiera con i colori dell'iride. La bandiera – spiega - ha una caratterizzazione più nettamente pacifista o, se si vuole buonista. Mentre il simbolo della pace ha anche una carica antimilitarista, è simbolo dell'obiezione di coscienza. Non solo quindi ricerca della pace, ma rifiuto delle armi, dell'impegno personale contro l'uso delle violenza e per il riconoscimento dei diritti”. E' un simbolo universale, riconosciuto in tutto il mondo. E questo – sottolinea - è forse dovuto proprio al fatto che non è stato mai registrato. Non è di nessuno quindi è di tutti''. Attualmente il colore e la grandezza variano molto; più spesso si trova il simbolo bianco in campo nero, ma altre combinazioni sono bianco su blu, verde su bianco e rosa su nero.





domenica 10 febbraio 2008

Padre Paolino Tomaino,








“Dammi tempo, o Signore! Lo so che non finirei mai, ma Signore ti chiedo solo 20 anni perché alcuni non hanno che me, tutto è sulle mie mani. Aspetta! Intanto imparano un mestiere. E il Signore mi ha risposto: “ Chiedi ai tuoi confratelli se sono disposti a restarci altrimenti non ha senso che ti dia tempo. Da solo non potresti farcela.” Nessuno mi ha risposto di no e tutti han dato la loro disponibilità.” Padre Paolino ha settant’anni circa e non ha tempo neanche per stancarsi nella sua terra d’Africa. La sua presenza lì è presenza di Dio. Fa da medico, maestro, sindaco, maresciallo in una terra bistrattata e dimenticata da tutti, in Uganda, più precisamente in una regione a 300 km dall’equatore, 3500 kmq di zona arida, fredda e piena di mosche del sonno, isolata, dove fu mandato dal Vescovo locale perché nessuno voleva rischiare. “ Prova per tre mesi, se non ti trovi bene te ne vai” Nel 2000 l’esplorazione, senza sapere dove dormire, ma con tanta esperienza sulle spalle da altre missioni, poi quasi in fin di vita una capanna, in cui per tutte le notti la lotta tra i topi di città e i topi di campagna diviene unica distrazione spettacolare. Padre Paolino svolge il suo programma come meglio può, celebrando la Santa Messa nella mattinata di domenica. Quando i pomeriggi piove molto sta dentro una stanzetta senza porte e senza finestre dove trascorrerà la notte al freddo e mentre cala l’oscurità zanzare e insetti si raccolgono intorno alla lampada. Qui si ammala di malaria ma, superata la malattia, decide di restare e di lottare per quei bambini da istruire, da sorreggere, da curare, da far diventare grandi, da amare. In totale 150 frazioni, 13000 ragazzi, 450 classi da gestire. In una terra che prima di appartenere ad un posto o ad un pezzo di terreno, senza nessuna assistenza sanitaria se non quella di qualche infermiera per curare le malattie più gravi, si chiede dove sarà ubicata la Chiesa per la messa domenicale. “ Signore, questa gente dove va, senza di noi missionari? Aspetta a portarmi via. Dammi tempo.” Su padre Paolino sono state dette tante cose gratificanti e certamente lodevoli. La sua opera missionaria, lontana da un mondo pieno di confort e perbenismo, dove fare volontariato spesso diventa, alla moda occidentale, un mettersi a posto con la coscienza, è stata pienamente descritta e prospettata già diverse volte; un’opera certamente strutturata alla base dalla visione di umiltà intellettuale del fare per non ricevere nulla in cambio, né lodi personali. La sua figura, centrata su una povertà pagata sulla propria pelle d’anima, si preannuncia senza strepiti, piena di gratitudine per tutti coloro che sostengono, non la sua persona, ma la sua Missione. Un piccolo grande uomo che fin dalla giovane età ha sentito dentro qualcosa che lo spingeva verso una vita diversa da quella che stava vivendo e dalle attività che pensava di svolgere. Gli piaceva fare l’insegnante ma, entrato nel Seminario di Catanzaro si accorse ben presto che cercava qualcos’altro e la via più giusta gli fu indicata da un altro. “Le sue parole penetrarono nel mio cuore” come egli stesso afferma, “come frecce e quando ebbe finito di parlare, avevo finito di cercare. E seguii la mia strada con caparbietà, senza dubbi o ripensamenti”. Lasciato il mio paese mi sentii soffocare perché sapevo che avrei lasciato tutto e tutti col cuore anche se fisicamente sarei tornato. Nel 1958 feci la mia prima promessa che avrei dedicato la mia vita all’Africa, il mio unico amore e per la quale avrei dato tutta la mia vita fino all’ultima goccia di sangue, se necessario. Nel 1960ritornai in Italia per gli studi teologici ed a Giugno dei 1964 il coronamento di tutti i miei sogni: sacerdote e missionario in Africa, in Uganda nella regione del Kigezi dove spesi 25 anni. Fu amore a prima vista. Sentivo di amare quella gente per sempre e così è stato fino ad oggi, e non mi sono ancora stancato, né è venuto meno l’entusiasmo di quel primo giorno, anzi col passare degli anni, tutto è aumentato a dismisura.” Le coordinatrici del volontariato, Elisa Cerchiaro e Donatella Villella da anni si occupano a Pianopoli del recupero delle offerte da inviare alle missioni, con un lodevole e sacrificato impegno condiviso da una grande parte della popolazione e, grazie alla loro ricerca silenziosa e assidua, ottengono ogni anno un numero sempre maggiore di aderenza al sostentamento dei bambini in Africa. Un’intera frazione africana è stata perciò denominata con l’omonimo nome di Pianopoli grazie al contribuito di circa 20.000 euro a partire dal 2001 fino ad oggi. La squadra di calcio degli “Amatori” di Pianopoli, ha promosso la spendida iniziativa con la stesura di un calendario, e la somma raccolta è stata devoluta interamente alla missione. “Con i fondi hanno dato 20 insegnanti alla scuola” sostiene felice Padre Paolino “nonché la possibilità di far studiare una classe intera fino al termine di un ciclo scolastico.” L'origine teologica del termine è la traduzione latina della parola greca apostolo. Un missionario è colui che si impegna a diffondere una religione in aree in cui non è ancora diffusa. Oggi pero' il missionario è anche colui che testimonia la Parola non solo nelle missioni ma anche nel proprio ambito sociale. Non sempre la diffusione della propria religione è il compito principale del missionario, specialmente quando questi operi in zone con elevata eterogeneità culturale. Molti di essi promuovono lo sviluppo economico, l'educazione, la letteratura, la medicina e la cura di orfani e vittime di guerre e conflitti. I missionari hanno inoltre favorito importanti e positivi cambiamenti culturali con l'abbandono di pratiche che sono comunemente considerate barbare o contrarie ai diritti umani, ad esempio forme di tortura, cannibalismo o sacrifici umani.Tuttavia la dottrina cristiana impone alle popolazioni evangelizzate una cultura prettamente 'occidentale', cioè essa non riconosce l'eterogeneità culturale, si impone su una cultura preesistente modificandone gli schemi mentali propri. Per questo atteggiamento etnocida il missionario vive un rapporto conflittuale con l'antropologo. Bisogna altrettanto citare che vi sono esempi di missionari che, talvolta in contrasto con l'apparato ecclesiastico centrale, fondono la cultura esistente nel luogo nel quale sono inviati con il concetto di amore universale proprio della religione (cattolica prevalentemente). Benché nell'accezione comune missionario riguardi prevalentemente il Cristianesimo anche altre religioni con vocazione universale formano missionari.

c.c.p.n°15521883
intestato a : Padre Paolino
presso parrocchia 88040 S. Pietro apostolo


venerdì 1 febbraio 2008

Rabindranath Tagore Gitanjali I

Mi hai fatto senza fine
questa è la tua volontà.
Questo fragile vaso
continuamente tu vuoti
continuamente lo riempi
di vita sempre nuova.
Questo piccolo flauto di canna
hai portato per valli e colline
attraverso esso hai soffiato
melodie eternamente nuove.
Quando mi sfiorano le tue mani immortali
questo piccolo cuore si perde
in una gioia senza confini
e canta melodie ineffabili.
Su queste piccole mani scendono i tuoi doni infiniti.
Passano le età, e tu continui a versare,
e ancora c'è spazio da riempire.
Quando mi comandi di cantare,
il mio cuore sembra scoppiare d'orgoglio
e fisso il tuo volto
e le lacrime mi riempiono gli occhi.
Gitanjali II
by mondoglitter.it

Che pesce sei?

Un'insegnante spiegando alla classe che in spagnolo, contrariamente all'inglese, i nomi possono essere sia maschili che femminili. "Uno studente chiese: "Di che genere è la parola computer?" Anziché rispondere, l'insegnante divide la classe in due gruppi, maschi e femmine, e gli chiese di decidere tra loro se computer dovesse essere maschile o femminile.A ciascun gruppo chiese inoltre di motivare la scelta con 4 ragioni.Il gruppo degli uomini decise che "computer" dovesse essere decisamente femminile"la computadora"perchè:1.Nessuno tranne il loro creatore capisce la loro logicainterna.2.Il linguaggio che usano per comunicare tra computer èincomprensibile.3.Anche il più piccolo errore viene archiviato nella memoria a lungotermine per possibili recuperi futuri.4.Non appena decidi di comprarne uno, ti ritrovi a spendere metà del tuo salario in accessori.Il gruppo delle donne,invece, concluse che i computer dovessero essere maschili (el computador)perchè:1.Per farci qualunque cosa, bisogna accenderli.2.Hanno un sacco di dati ma non riescono a pensare da soli.3.Si suppone che ti debbano aiutare a risolvere i problemi, ma perla metà delle volte,il problema sono LORO;4.Non appena ne compri uno, ti rendi conto che se avessi aspettatoqualche tempo,avresti potuto avere un modello migliore.Le donne vinsero.