Solleviamoci, è ora
Noi siamo quelli
che se ne vanno
pieni di vento
e di sole
in deserti
affollati
di illusioni
e non tornano più
abbagliati
da spaccati di vita.
Siamo riflessi
di affetti
profondi.
Pensieri
di fresca rugiada
posata sulla notte
che non conosce
nuvole.
Siamo i sospesi
tra sogno e realtà,
quelli sul sottile confine
tracciato
dai meandri
dei desideri.
Siamo splendide bugie
di una terra
che fatica
ad alzarsi
sui marciapiedi
della vita.
Siamo polvere
di un tempo
inesorabile
che ci riporta
tra le caverne opache
dei ricordi.
Siamo l’urlo
di amici perduti
non ancora tornati,
che raccoglie
sogni lanciati
su nuvole rosa
gonfie di cuore
nel cielo sospeso
della gioventù.
Siamo parole
mai dette
intrappolate
tra i rami
scheggiati
di un inverno
che fatica
nel risveglio.
Siamo vita
che scoppia
nei focolai spenti
accesi dal giorno che nasce
a dispetto di tutto.
Preghiere
Strappate ai silenzi
concessi da un Dio
che non ama
piangersi addosso.
Siamo
l’andata e il ritorno
di noi stessi.
Solleviamoci.
E’ ora.
PAESE MIO
Paese mio
cinto a primavera
di riccioluti gorgheggi
affaccendati
come comari
nel via vai del giorno
ti vai combinando
tra nuvole ariose
all’orizzonte
e sogni fermi
dietro vetri antichi.
Tu non conosci gli anni.
Il tuo grembo
avrà sempre un vecchio
davanti ai tuoi tramonti
aggrappato
ai sapori di campagna
mentre torna stanco
con le zolle in mano
cantando
la fatica della terra.
E non conosci spazi.
Sei tutto lì
che vivi di germogli
seminati
nei cuori della gente
che s’adatta
all’ombra
dell’inverno
mentre fuori
è estate.
Per questo
non ti mancano
i sorrisi
strappati ai vicoli
intrecciati e bui
come strette di mano
nel bisogno
tra calde mura
di camini accesi.
Tra gli alberi d’ulivo
bagnati di sole
che lasciano un’impronta
tra le rughe
dei ricordi
che strada voltando
riporta
inesorabilmente
a te.
LA RANA NEL POZZO (Carlos G. Valles)
“ Un’intera colonia di rane viveva in un pozzo grande e profondo. Le rane conducevano la propria vita, mantenevano le proprie usanze, cercavano cibo e gracidavano a più non posso, riempiendo di movimento e di suoni le ombrose profondità di quel pozzo ospitale. Il loro isolamento dal mondo esterno le proteggeva ed esse vivevano in pace, attente solo ad evitare il secchio che di tanto in tanto qualcuno calava dall’alto per attingere acqua dal pozzo. Non appena sentivano la carrucola cigolare lanciavano l’allarme, si tuffavano sott’acqua o si aggrappavano alla parete e aspettavano lì trattenendo il respiro finché il secchio pieno d’acqua non veniva tirato su di nuovo e il pericolo passava. Una giovane rana, dopo essersi messa al riparo in una di queste occasioni, cominciò a pensare che il secchio, anziché un pericolo, poteva rappresentare un’opportunità. Lassù in cima riusciva a scorgere un’apertura luminosa come un grande lucernario, il cui aspetto mutava con il giorno e la notte e sulla quale passavano ombre e profili, forme e colori che suggerivano che c’era qualcosa che valeva la pena di conoscere da quella parte del pozzo. E, soprattutto, c’era il bel visetto della ragazza dalle trecce d’oro che per un istante ogni giorno si chinava sul parapetto del pozzo per gettare il secchio e tirarlo su in quell’apparizione temuta e attesa. Tutto ciò andava esplorato. La giovane rana parlò e tutte le altre la redarguirono aspramente. “Non è mai stato fatto. Sarebbe la rovina della nostra razza. Il cielo ci punirebbe. Saresti persa per sempre. Siamo state fatte per vivere qui e qui possiamo stare bene ed essere felici. Fuori del pozzo c’è solo desolazione e distruzione. Non ti azzardare a disobbedire alle leggi dei nostri antenati. Come può una giovane rana pretendere di saperne più di loro!” La rana attese che il secchio fosse calato di nuovo. Saltò nel secchio e salì con esso tra la meraviglia e l’orrore della comunità di anfibi. Il consiglio degli anziani sconumicò la rana fuggitiva e proibì a tutti di parlarne. I mesi passarono finchè un bel giorno si udì un gracidio familiare, tutte le rane incuriosite si radunarono là sotto e videro il noto profilo della rana intraprendente poi apparve un’altra rana e sette ranocchietti.” Qui c’è un mondo meraviglioso che vi aspetta……” In fondo al pozzo le autorità minacciarono la rana di giustiziarla per tradimento se fosse tornata giù ma lei non ne aveva alcuna intenzione, fece gli auguri a tutte e se ne andò. Nel pozzo si scatenò un gran tumulto e alcune rane di larghe vedute discussero la proposta e la mattina dopo, malgrado le minacce delle autorità, quando la ragazza dalle trecce d’oro tirò su il secchio dal pozzo, rimase sbalordita nel vedere che era pieno di rane.”
Kup-manduk (la rana nel pozzo) è considerato, nel sanscrito, un termine dispregiativo per indicare una persona dalla mentalità ristretta che è contenta di sentire ciò che ha sempre sentito e di fare ciò che ha sempre fatto e che va fatto per vivere tranquilli. Il mondo però è pieno di pozzi e i pozzi sono pieni di rane. Ma è anche pieno di esempi forti e coraggiosi che hanno messo a repentaglio la loro vita per salvare gli altri, ognuno nel proprio vissuto, che hanno scelto anche la solitudine pur di non venir meno ai propri ideali. E le ragazze dalle trecce bionde di tanto in tanto si stupiscono ancora quando al mattino vanno ad attingere l’acqua. C’è povertà e povertà ma la più irreparabile, che può avere diverse motivazioni, è quella in cui l’isolamento è così profondo da non riuscire nemmeno ad immaginare un’alternativa, da non poter nemmeno sognare una vita diversa. Qui le persone non vanno oltre il confine del loro campo, una povertà che distrugge ogni possibilità di immaginare una fuga, una via d’uscita, un cambiamento che tiene legato, inchiodato al proprio stato, alla propria miseria e ignoranza. Povertà che inibisce che spegne la fantasia, che indebolisce ogni motivazione, con cui non si ha la possibilità di vedere le cose che si desiderano, di sognarle, di battersi per ottenerle, per conquistarle. Ciascuno di noi è impastato di sogni passioni e desideri, l’anima è ciò che unisce tutte queste forze, le armonizza, dà loro un senso e una meta. Ma la nostra anima la possiamo scoprire agendo , mettendoci alla prova, rivelandoci agli altri attraverso il nostro pensiero e le nostre opere per divenire noi stessi, sempre più noi stessi senza paura del contraddittorio, ingabbiati così come siamo, nel conformismo. E’ sempre difficile capire quando dobbiamo passare da un atteggiamento di vita ad un altro più ricco e consapevole, che ci vesta l’anima con l’habitus ad essa più consono, senza farci afferrare dal dubbio del cambiamento perché è arrivato il momento di rinunciare, di adattarci a nuovi modelli di vita più fertili, di uscire da un sistema sterile che è un lasciarsi morire lentamente. Sappiamo che ciò può costare l’esclusione, la denigrazione da un determinato gruppo ma si salva la propria felicità, se di felicità si può sempre parlare, solo chi è pronto nel suo cuore ad accettare una sorte diversa, un modo di essere anziché di avere. Il cambiamento, la sana ribellione richiede altrettanta forza d’animo, speranza, fede, adeguamento alla diversità. La paura del nuovo ci inchioda ad un sistema ma la repressione, il ricatto morale, il proibizionismo sfociano prima o poi in lotta verso una libertà interiore che non ha limiti, solo quegli stessi della stessa libertà che può decidere quando, come e perché tornare. E per la libertà sono state fatte migliaia di battaglie contro gli arroganti che tuttora imperano in ogni campo sociale cercando di attirare i più “deboli” con il carisma della avidità.
La rana coraggiosa però torna indietro per portare luce alle consorelle perché sente la responsabilità civile di tirarle fuori dal buio. Chi sa deve aiutare gli altri ad uscire dall’ignoranza o non ha senso il nostro vivere quotidiano, sarebbe come ritornare nel pozzo ma questa volta all’aperto. Uscire, infatti, da un sistema per farsi catturare da un altro che sembra ci abbia liberato ma che poi si rivela un’altra ulteriore condanna, è il rischio a cui si può incorrere, rischio dovuto proprio all’inadeguatezza e all’impreparazione spirituale che ci ha visti per tanto tempo nel pozzo. La ragazza dai capelli d’oro è l’emblema, dunque, che ci salva, anche da questo imprevisto, perché il suo secchio è magico e si svuota al momento giusto.Articolo pubblicato
da Sina Mazzei su "Settimana di Calabria"
Un'insegnante spiegando alla classe che in spagnolo, contrariamente all'inglese, i nomi possono essere sia maschili che femminili. "Uno studente chiese: "Di che genere è la parola computer?" Anziché rispondere, l'insegnante divide la classe in due gruppi, maschi e femmine, e gli chiese di decidere tra loro se computer dovesse essere maschile o femminile.A ciascun gruppo chiese inoltre di motivare la scelta con 4 ragioni.Il gruppo degli uomini decise che "computer" dovesse essere decisamente femminile"la computadora"perchè:1.Nessuno tranne il loro creatore capisce la loro logicainterna.2.Il linguaggio che usano per comunicare tra computer èincomprensibile.3.Anche il più piccolo errore viene archiviato nella memoria a lungotermine per possibili recuperi futuri.4.Non appena decidi di comprarne uno, ti ritrovi a spendere metà del tuo salario in accessori.Il gruppo delle donne,invece, concluse che i computer dovessero essere maschili (el computador)perchè:1.Per farci qualunque cosa, bisogna accenderli.2.Hanno un sacco di dati ma non riescono a pensare da soli.3.Si suppone che ti debbano aiutare a risolvere i problemi, ma perla metà delle volte,il problema sono LORO;4.Non appena ne compri uno, ti rendi conto che se avessi aspettatoqualche tempo,avresti potuto avere un modello migliore.Le donne vinsero.
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