Solleviamoci, è ora
Noi siamo quelli
che se ne vanno
pieni di vento
e di sole
in deserti
affollati
di illusioni
e non tornano più
abbagliati
da spaccati di vita.
Siamo riflessi
di affetti
profondi.
Pensieri
di fresca rugiada
posata sulla notte
che non conosce
nuvole.
Siamo i sospesi
tra sogno e realtà,
quelli sul sottile confine
tracciato
dai meandri
dei desideri.
Siamo splendide bugie
di una terra
che fatica
ad alzarsi
sui marciapiedi
della vita.
Siamo polvere
di un tempo
inesorabile
che ci riporta
tra le caverne opache
dei ricordi.
Siamo l’urlo
di amici perduti
non ancora tornati,
che raccoglie
sogni lanciati
su nuvole rosa
gonfie di cuore
nel cielo sospeso
della gioventù.
Siamo parole
mai dette
intrappolate
tra i rami
scheggiati
di un inverno
che fatica
nel risveglio.
Siamo vita
che scoppia
nei focolai spenti
accesi dal giorno che nasce
a dispetto di tutto.
Preghiere
Strappate ai silenzi
concessi da un Dio
che non ama
piangersi addosso.
Siamo
l’andata e il ritorno
di noi stessi.
Solleviamoci.
E’ ora.
PAESE MIO
Paese mio
cinto a primavera
di riccioluti gorgheggi
affaccendati
come comari
nel via vai del giorno
ti vai combinando
tra nuvole ariose
all’orizzonte
e sogni fermi
dietro vetri antichi.
Tu non conosci gli anni.
Il tuo grembo
avrà sempre un vecchio
davanti ai tuoi tramonti
aggrappato
ai sapori di campagna
mentre torna stanco
con le zolle in mano
cantando
la fatica della terra.
E non conosci spazi.
Sei tutto lì
che vivi di germogli
seminati
nei cuori della gente
che s’adatta
all’ombra
dell’inverno
mentre fuori
è estate.
Per questo
non ti mancano
i sorrisi
strappati ai vicoli
intrecciati e bui
come strette di mano
nel bisogno
tra calde mura
di camini accesi.
Tra gli alberi d’ulivo
bagnati di sole
che lasciano un’impronta
tra le rughe
dei ricordi
che strada voltando
riporta
inesorabilmente
a te.
mostra di poesie
venerdì 21 settembre 2007
John Donne "Nessun uomo è un'isola"
completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una zolla
venisse lavata via dal mare,
l'Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo
mi sminuisce,
perché io sono parte dell'umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
Essa suona per te. (J.Donne)
Celeberrimi sono questi versi di Nessun uomo è un'isola contenuti in Meditation XVII e citati da Ernest Hemingway in Per chi suona la campana e da Nick Hornby in Un ragazzo (About a Boy). Nella poesia è forte il senso di appartenenza all’umanità, forgiato dai vari tragici distacchi avvenuti nella sua esistenza. A volte però il distacco più fertile è proprio l’esilio su quell’isola, dove l’Io assorbe linfa vitale per la consapevolezza di tutte le debolezze dell’animo umano, che partono da una psicologia del “profondo” e, nell’affanno del loro solitario e silenzioso orizzonte di presenza, s’innalzano verso la volontà “dell’altezza” ricca di significati a vantaggio dell’amore universale. Infatti poi tutti abbiamo bisogno dell’affetto degli altri e gli altri del nostro affetto e del nostro sostegno. “Anche se non ce ne accorgiamo, gli altri cercano di avvicinarsi a noi come le radici di sequoia si allungano verso quelle degli altri alberi della foresta. Dobbiamo a nostra volta tendere verso gli altri e sostenerli nel loro progresso, poiché noi siamo veramente loro fratelli e sorelle. Forse che tutti non andiamo meglio quando siamo appoggiati, sostenuti e amati dai nostri familiari e amici? Anche gli alberi crescono meglio quando crescono insieme nei boschi. Crescono più alti, più diritti, più forti e producono legname migliore. Quando un albero cresce isolato, sviluppa troppi rami. Questi rami contengono nodi che possono indebolire l'albero e sminuire il valore del legname. L'intreccio degli altri ci sostiene per tutta la vita.”
Sempre in oscillazione tra natura raziocinante e appassionata poetica visionaria, in bilico tra nuova scienza, Rinascimento e Riforma, tra cattolicesimo e protestantesimo, amore umano e amore divino, l’arte di Donne è tesa a risolvere dialetticamente, con la forza dei suoi versi, il proprio e altrui conflitto intellettuale e morale nonché a creare immagini assimilate attraverso la scienza, la filosofia e la teologia filtrate attraverso l’osservazione della realtà quotidiana. In questo senso, particolarmente alta risulta la sua capacità di concentrare con un linguaggio talvolta aspro ed attraverso brevi, laconici procedimenti analogici citazioni letterarie e bibliche, immagini assimilate attraverso la scienza, la filosofia e la teologia filtrate attraverso l'osservazione della realtà quotidiana. La sua poesia metafisica si nutre di una vasta e smisurata visione del mondo e di una riflessione che incrocia le coordinate della fantasia e dei sentimenti nella ricerca di valori estetici fatti di simboli riferibili alla realtà profonda dell’essere, oltre il visibile e il sensibile, per toccare la sostanza trascendente ed immutabile delle cose ( natura, storia, società, uomini). Donne rende la poetica filosofia e filosofica la poesia tale da portarla ad una altezza superiore che la rende nobile anche in un mondo di volgarità qual è quello attuale, con la conseguente svalutazione delle esperienze che può offrire. La sonorità della parola crea una sensazione di infinito e di eterno, oltre le impressioni sensibili, per penetrare nella profondità del reale con uno sforzo di cultura, sensibilità e sintesi concettuale e simbolica. Le sue meditazioni sono concatenate sulla decadenza e disgregazione dell’universo e sul destino dell’anima in questo mondo e nell’aldilà. Manca in Donne l'omogeneità metrica fra un componimento e l'altro: ciascuna poesia raggiunge autonomamente una propria specifica, irripetibile saldatura di forma e contenuto, in perfetta simmetria con la pluralità (di soggetti ed oggetti, e di relazioni tra essi) È lo stesso Donne, in una lettera del 1619, a distanziare drasticamente il sé attuale, l'influente predicatore Dr. Donne, dal brillante e libertino Jack Donne, autore di poesie profane ed di un'immorale difesa del suicidio (Biathanatos). La scrittura del secondo Donne si fonda su premesse che, smentendo il primato dell'apparire sull'essere, caratteristico della tradizione aristocratica, fanno dell'interiorità un valore assoluto. In realtà la ricerca poetica di Donne nel suo insieme implica una progressione ragionevolmente lineare e graduale: dall'atteggiamento libertino alla celebrazione dell'amore, poi alla sua assolutizzazione e privatizzazione con conseguente svalutazione del mondo e delle altre esperienze che esso può offrire, sino a reincludervi l'amore stesso arrivando dove lo scetticismo sconfina del misticismo. Tutti gli elementi che s'indicano come tipicamente metafisici sono presenti anche nella poesia sacra, dove l'io spesso interpella Dio esattamente nei medesimi modi e con gli stessi toni diretti e bruschi che caratterizzano il rivolgersi dell'amante all'amata E se i Songs and Sonnets più tardi – ad esempio The Canonization – fanno dell'amore una religione, gli Holy Sonnets (Sonetti Sacri) pongono Dio come l'Altro di un vero e proprio rapporto d'amore.
John Donne, pron. Dùn (Londra, 1572 - 31 marzo 1631) è stato uno dei maggiori autori inglesi di poesia metafisica. Fu anche un prete e scrisse sermoni e poemi di carattere religioso, traduzioni latine, epigrammi, elegie, canzoni e sonetti. Cresciuto in una famiglia che professava il cattolicesimo, Donne studiò dal 1584 a Oxford e, successivamente, a Cambridge; viaggiò per l'Europa. Ritornato in patria, divenne segretario del barone Ellesmere Egerton, di cui sposò clandestinamente nel 1601 la nipote Anne More. Le nozze clandestine con Anne More non giovarono alla sua reputazione, cosa questa che influenzerà notevolmente la sua successiva produzione letteraria. Contestualmente, si avvicinò all'anglicanesimo affrontando da un punto di vista differente dubbi e tematiche politico-sociali, ma anche scientifiche e filosofiche, del suo tempo. Tra mille difficoltà finanziarie, sull'orlo della disperazione (e forse anche del suicidio), sebbene fosse ormai diventato un predicatore affermato (molti suoi lavori saranno raccolti nel 1624 nelle sue Devotions) e per due volte (1601 e 1614) membro del parlamento, prese i voti e fu ordinato decano della chiesa anglicana dal re Giacomo I d'Inghilterra. Dal 1617, anno in cui morì la moglie, la sua poesia si farà sempre più cupa, privilegiando temi funerei e pessimistiche considerazioni esistenziali.
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