
racconto metaforico di Carlo Valles
Un ruscello, scorrendo
dalla sua sorgente
in mezzo a montagne lontane,
passando per ogni tipo
e conformazione di terreno,
giunse alla fine
alle sabbie del deserto.
Come aveva attraversato
ogni altra barriera
così il ruscello cercò
di attraversare anche questa
ma scoprì che,
non appena scorreva sulla sabbia,
le sue acque scomparivano.
Era però convinto
che il suo destino fosse
attraversare il deserto,
ma non c’era modo.
Poi una voce misteriosa,
proveniente dal deserto stesso,
sussurrò:
“Il vento attraversa il deserto
e così può fare il ruscello”.
Il ruscello obiettò che lui andava
a sbattere contro la sabbia
E veniva assorbito;
il vento invece sapeva volare:
ecco perché poteva
attraversare il deserto.
“Precipitandoti come fai di solito
Non lo puoi attraversare.
o scomparirai
o diventerai una palude.
Devi permettere al vento
di trasportarti a destinazione”.
“Ma com’è possibile?”
“Permettendo al vento
di assorbirti”.
L’idea appariva
inaccettabile al ruscello.
Dopo tutto,
non era mai stato assorbito prima.
Non voleva perdere
la propria individualità.
E, una volta che l’avesse perduta,
come poteva sapere
se l’avrebbe mai recuperata?
“Il vento”disse la sabbia
“svolge la sua funzione.
Solleva l’acqua,
la trasporta otre il deserto
e la fa cadere di nuovo.
Cadendo sotto forma di pioggia,
l’acqua torna a essere un fiume”.
“Come posso sapere
Che quello che dici è vero?”
“E’ così e, se non ci credi,
non potrai diventare altro
che un pantano
e persino così
ti ci potrebbero volere molti,
molti anni;
e di certo non è la stessa cosa
di un ruscello”.
“ Ma non posso rimanere
lo stesso ruscello
Che sono oggi?”
“ Non puoi in nessun caso”
disse il sussurro.
“La tua parte essenziale
è portata via
e forma di nuovo un corso d’acqua.
Ti chiami così anche oggi
perché non sai
quale parte di te è quella essenziale”.
Nell’udire queste parole,
echi lontani iniziarono a risvegliarsi
nei pensieri del ruscello.
Vagamente ricordò uno stato
in cui -o una parte di lui-
era tenuto in braccio dal vento.
Ricordò anche – o no?-
che questa era la vera cosa da fare,
anche se non necessariamente
la più ovvia.
E il ruscello sollevò
Il proprio vapore
Fino alle braccia accoglienti del vento,
che dolcemente e agevolmente
lo trasportò in alto e lontano
facendolo ricadere delicatamente
non appena raggiunse
la vetta di una montagna
distante molti, molti chilometri.
E poiché aveva avuto i suoi dubbi,
il ruscello fu in grado di ricordare
e registrare meglio nella sua mente
i particolari di quell’esperienza.
Rifletté :” Sì. Ora ho appreso
la mia vera identità”.
Il ruscello stava imparando.
Ma le sabbie sussurrarono:
“Noi lo sappiamo,
perché noi, le sabbie,
ci estendiamo dalla riva del fiume
fino alla montagna”.
Ecco perché si dice
che il modo in cui il corso della vita
continuerà il suo viaggio
è scritto nella sabbia.
Quando ci dicono che dobbiamo negare noi stessi, morire a noi stessi, rinunciare a tutto ciò che abbiamo e a tutto ciò che siamo, rinnegare il nostro Io come sacrificio ultimo e definitivo, è bene che ci parlino dolcemente e affettuosamente, perché non siamo preparati a questi discorsi e ci fanno male. Ci fa male negare noi stessi, abbandonare noi stessi, sminuirci, arrenderci. Ci fa male come fa male al fiume. Che sarà di me se mi libero del mio stesso Io? Che cosa sarà il fiume senza il suo letto, senza acqua, senza sponde? Chi mi assicura che rinascerò? Che cosa attende oltre il deserto? Ragionamenti e argomentazioni non riusciranno a convincermi: O potranno convincere la mia testa, ma non il mio cuore, i miei e la mia titubanza. Ma se, con tono gentile, una voce amica recita per me una poesia, mi propone una fiaba, mi racconta una parabola, ciò può aiutarmi con il tocco rassicurante di una profezia lungimirante. Il racconto della sabbia mi tocca con il fascino incisivo della semplicità. So ch’è vero. So che la sabbia ha ragione. E’ testimone della trasformazione delle acque, le ha viste sollevarsi e dissolversi in alto e poi ridiscendere in una pioggia gioiosa a formare un corso vivo che si getta nel mare. Ma il fiume non sa tutto. Vede solo le proprie acque calare di livello e ha paura. Tutto ciò che sa di se stesso è che la sua fine è vicina e il suo istinto di conservazione lo spinge a opporsi a quell’apparente distruzione. La sabbia capisce la sua paura perciò non si mette a discutere, non ha fretta, non s’inquieta. Parla lentamente affettuosamente, per infondere coraggio e fiducia e addolcisce la prova. E il fiume alla fine capisce, è pronto, si arrende. Diviene una nuvola e comincia a volare. So che per attraversare il deserto devo smettere di essere un fiume.. ma dimmelo molto dolcemente perché ho paura di volare.
Commento di Carlo Valles.
***
Cresciamo sotto l’influenza dei fattori esterni che condizionano il nostro agire, il nostro modo di sentire la vita ed arriviamo ad assorbire parte di ognuno con cui ci relazioniamo per integrarci nel gruppo nel bene e nel male, per farci così accettare ed amare ma con la paura di essere esclusi, a volte finiamo per farci condizionare anche negativamente, finchè non incontriamo qualcuno che ci apre gli occhi e ci fa conoscere mondi diversi, nuovi orizzonti di vita, qualcuno che ci spinge a cambiare, a rinnovarci, a vedere le cose con occhi diversi per aiutarci a disimparare tutte le negatività e i condizionamenti che ci bloccano nel raggiungimento della nostra libertà interiore. All’inizio sentiamo che non possiamo farcela a cambiare perché noi siamo noi e non gli altri e troviamo scuse per restare nelle nostre convinzioni che ci danno sicurezza, in una sorta di pigrizia esistenziale che ci àncora nel guscio che ci siamo costruiti. Se non impariamo a riflettere a fondo diventeremo di certo palude stagnante delle nostre abitudini ma se apriamo le porte del cuore al nuovo e impariamo a leggere e ad ascoltare tutto ciò che ci viene proposto dall’esterno potremo veramente convincerci per un cambiamento positivo, disimparando pian piano le vecchie abitudini. Il cambiamento ci fa paura perché sembra che perdiamo la nostra individualità, le nostra unicità, brancoliamo come un bimbo ai suoi primi passi con il rischio di perdere le nostre vecchie sicurezze e non poterle più recuperare, anche se non ci facevano crescere dentro, verso una socialità più aperta e matura. Il vento che nella fiaba rappresenta la saggezza, ci trasporta oltre il deserto, oltre l’aridità, oltre il ghetto delle indecisioni e ci trasforma in luce verso l’alto. Divenuti luce, riusciamo a vedere cose che prima nell’ombra non ci erano chiare, e non vogliamo più tornare indietro se non per aiutare gli altri a cambiare, ad uscire dalla grettezza e a spalancare il cuore al bene della comunità. Il segreto sta nella fiducia che si instaura nel tempo con pazienza, perché il potere della conoscenza e dell’intelligenza fa sì che la trasformazione avvenga con dolcezza in quanto capisce che la paura ci chiude in noi stessi, e ci fa capire l’essenziale di noi ch’è meglio conservare e ciò ch’ è meglio cambiare : cioè il discernimento tra il bene e il male che sta alla base del nostro vivere comune. Nella riflessione profonda arriva l’illuminazione di noi e apprendiamo la nostra vera identità grazie alla “sabbia” dunque. Chi sta già oltre la siepe perché ha già avuto la sua illuminazione può guidare chi non l’ha oltrepassata. La superficialità della vita è la ragion d’essere degli stolti.
Commento di Sina Mazzei