Solleviamoci, è ora
Noi siamo quelli
che se ne vanno
pieni di vento
e di sole
in deserti
affollati
di illusioni
e non tornano più
abbagliati
da spaccati di vita.
Siamo riflessi
di affetti
profondi.
Pensieri
di fresca rugiada
posata sulla notte
che non conosce
nuvole.
Siamo i sospesi
tra sogno e realtà,
quelli sul sottile confine
tracciato
dai meandri
dei desideri.
Siamo splendide bugie
di una terra
che fatica
ad alzarsi
sui marciapiedi
della vita.
Siamo polvere
di un tempo
inesorabile
che ci riporta
tra le caverne opache
dei ricordi.
Siamo l’urlo
di amici perduti
non ancora tornati,
che raccoglie
sogni lanciati
su nuvole rosa
gonfie di cuore
nel cielo sospeso
della gioventù.
Siamo parole
mai dette
intrappolate
tra i rami
scheggiati
di un inverno
che fatica
nel risveglio.
Siamo vita
che scoppia
nei focolai spenti
accesi dal giorno che nasce
a dispetto di tutto.
Preghiere
Strappate ai silenzi
concessi da un Dio
che non ama
piangersi addosso.
Siamo
l’andata e il ritorno
di noi stessi.
Solleviamoci.
E’ ora.
PAESE MIO
Paese mio
cinto a primavera
di riccioluti gorgheggi
affaccendati
come comari
nel via vai del giorno
ti vai combinando
tra nuvole ariose
all’orizzonte
e sogni fermi
dietro vetri antichi.
Tu non conosci gli anni.
Il tuo grembo
avrà sempre un vecchio
davanti ai tuoi tramonti
aggrappato
ai sapori di campagna
mentre torna stanco
con le zolle in mano
cantando
la fatica della terra.
E non conosci spazi.
Sei tutto lì
che vivi di germogli
seminati
nei cuori della gente
che s’adatta
all’ombra
dell’inverno
mentre fuori
è estate.
Per questo
non ti mancano
i sorrisi
strappati ai vicoli
intrecciati e bui
come strette di mano
nel bisogno
tra calde mura
di camini accesi.
Tra gli alberi d’ulivo
bagnati di sole
che lasciano un’impronta
tra le rughe
dei ricordi
che strada voltando
riporta
inesorabilmente
a te.
mostra di poesie
venerdì 6 luglio 2007
Check-list della funzione regolativa del facilitatore
Fa rispettare opinioni differenti
Fa attenzione al coinvolgimento di ciascuno
Garantisce la possibilità di intervento di ciascuno
Fa attenzione agli atteggiamenti discriminatori, positivi e/o negativi
Ha cura dell’atmosfera del gruppo
I bambini si rivelano dei grandi osservatori, attenti a tutte quelle variabili che possono ostacolare una buona relazione nel gruppo. Facilmente individuano gli “errori” commessi dalla maestra, sanno anche suggerire soluzioni alternative. Se il tale compagno vuole sempre intervenire togliendo spazio agli altri, occorre pensare a una discussione sul tema “diritto di esserci nel dialogo, ognuno con le sue parole”.
E sanno rilevare tutti i possibili elementi di disturbo che in vario modo interferiscono in una buona atmosfera di gruppo.
La porta che sbatte se non accompagnata.
Il bidello che improvvisamente entra in aula per dare visione di una circolare.
La radio dei passanti giù in strada.
La tristezza di un bambino per un suo dispiacere.
Che fare?
Tutto passa in second’ordine se si tratta di un problema di un bambino.
«Diamo spazio», dicono, lo dicono a me e a loro stessi.
Il paradigma teorico a cui mi riferisco nel progetto educativo di filosofia con i bambini è:
Dewey con la sua matrice euristica;
Il modello maieutico-socratico;
Il processo conoscitivo come inquiry.
Per Dewey la filosofia deve porsi il compito di analizzare criticamente tutto l’apparato di pregiudizi che stanno alla base della nostra conoscenza, affinché l’esperienza vitale possa emergere nella sua genuinità. «La filosofia è una critica dei pregiudizi. Questi risultati, incorporati nella passata riflessione e fusi con il materiale autentico dell’esperienza di prima mano, possono diventare strumenti di arricchimento una volta che vengano scoperti e fatti oggetto di riflessione. Se non vengono scoperti i loro fondamenti, offuscano e distorcono. Quando vengono scoperti i loro fondamenti e quando vengono rifiutati, ne consegue chiarificazione ed emancipazione; e uno dei principali scopi della filosofia è realizzare questo compito»Ma forse la filosofia, nella sua accezione più vera, è proprio lo spingersi fin dove avremo il «naufragio» del pensiero, lontano da spiagge che sanno di preghiera e di magia.
La filosofia con i bambini è oggi realtà multiforme per le modalità di approccio, i contenuti, gli scenari che si vogliono intravedere.
L’esperienza di questi anni mi porta a ricercare altri scenari perchè della filosofia con i bambini si possa dire ancora, secondo altre prospettive, magari non considerate finora.
I bambini leggono ad alta voce il brano scelto secondo una sorta di “economia della lettura” che vuole che dalla lettura del brano nessuno resti escluso, tutti avranno da leggere qualche rigo. E se qualcuno è stato così “prepotente” da completare da solo la lettura, ignorando il diritto degli altri a leggere, regola vuole che si ritorni a leggere, come una torta da dividere, che basti a tutti perché davvero tutti abbiano a gustare il sapore della lettura. Dopo la lettura, chiedo agli alunni di formulare domande relative ai problemi emersi, registrandole sulla lavagna e indicando accanto a ciascuna il nome del bambino che le ha formulate.
Gli alunni imparano, così, attraverso le modificazioni e le integrazioni suggerite dal confronto con gli altri, ad autocorreggere il proprio pensiero, a definirlo in modo più chiaro e preciso, diventando autocritici e responsabili.
I bambini siedono a semicerchio. Alzare la mano e chiedere la parola significa avere lo sguardo dell’altro, poichè lo sguardo è il binario su cui deve correre il dialogare. Uno sguardo che smette i suoi panni di potere e diventa cura dell’altro.
Secondo la modalità Lipman, non importa approfondire le questioni affrontate in una sessione di ricerca, perché il tutto è visto come un pretesto, un’occasione per un esercizio del pensiero e un vivere il dialogo.
Troppe volte ho vissuto l'insoddisfazione dei bambini a scuola, allorchè alla fine dell’ora di filosofare si vedono "costretti" ad abbandonare un tema a loro caro perchè la successiva sessione di ricerca non consente di riprendere temi già trattati, almeno non secondo la stessa linea di sviluppo.
Non ci stanno a quello che loro dicono “ricominciare daccapo”.
L'esigenza di approfondire alcuni temi di rilievo verso cui la comunità stessa si è orientata, determina una sorta di ribellione e di insoddisfazione.
Il richiamo alla procedura è continuo, un appello che faccio a me stessa per non smarrirmi:
Il momento delle domande raccolte nell'agenda.
L'enucleazione di un tema di discussione.
Il rispetto dei tempi oltre i quali non è possibile andare.
Il dialogo filosofico ingabbiato in questa procedura, costretto a vivere il tempo limitato della durata di una sessione, non può soddisfare l'intima esigenza dell'uomo e/o del bambino di andare a fondo delle questioni.
Che ne facciamo dei temi emersi? Di quanta forza li facciamo vivere? I temi emersi vanno riconsegnati all’alunno nelle successive sessioni, perché ancora se ne possa dibattere. Si tratta di accettare come legittima l’esigenza del bambino di interrogarsi su questioni di ordine ontologico o esistenziale.
E se è vero che, come afferma Gadamer, nel dialogo sempre altro rimane da dire, è anche vero che questioni di un certo rilievo, per le quali i bambini hanno mostrato grande interesse, non possono dirsi chiuse ma devono costituire quella domanda culturale dei bambini che il docente deve accogliere e riconsegnare loro perchè ancora se ne parli.
«Il dialogo è qualcosa in cui si capita, in cui si viene coinvolti, del quale non si sa mai cosa ne salterà fuori e che si interrompe non senza violenza, perchè c’è sempre altro ancora d adire, ogni parola ne desidera una successiva. Anche la cosiddetta ultima parola che in verità non esiste!»Così, il dialogo non può venire interrotto. L’interruzione è una sospensione che non pregiudica l’apertura infinita del dialogo e che prelude già alla ripresa: il dialogo interrotto è anzitutto un “dialogo interiore”.
Le parole dell’altro lasciano una traccia: parlano ancora dentro colui che in silenzio vive la presenza di chi non c’è più.
Nel dialogo interiore, il portare l’altro diventa verbo della nascita, come una madre che porta in grembo il figlio.
Le domande, le risposte dei bambini rinascono nei miei pensieri.
Avrò da riconsegnare ai bambini i temi emersi dal dialogo perché ancora se ne possa discutere, poichè quei temi rappresentano la domanda culturale/filosofica dei bambini.
―Di quanta forza facciamo vivere i perché dei bambini?
―Oppure li lasciamo alle “ortiche”?
―Consentiamo ai bambini di vivere ognuno il proprio limite, fin dove osano spingersi, nello sforzo , sempre, di argomentare chiaramente le proprie ragioni, di tenere una buona relazione nel gruppo.
Di nuovo ri affacciano nella mia mente le domande di prima.
―Che ne facciamo dei temi emersi?
―Di quanta forza li facciamo vivere?
Importa la prospettiva che il bambino ha del mondo, come pensa il mondo. In fondo, la differenza del come pensa il mondo un adulto e un bambino è una differenza di qualità, i bambini hanno da insegnarci un modo nuovo di pensare il mondo.
Sul piano della riqualificazione di un territorio, i bambini dei Consigli Comunali dei Ragazzi presenti in molti comuni d’Italia spesso vengono chiamati in campo in quella che si dice “progettazione partecipata”, ovvero a ripensare la città negli spazi verdi, le isole pedonali e altro ancora.
Ripensare la città....ripensare il mondo
La parola ai bambini
Una scuola che si apre a questo ascolto apre al suo interno una contraddizione perché accogliere il bambino come parametro significa iniziare un cammino in controtendenza.
Una relazione con la verità, così potremmo caratterizzare l’infanzia, più che una questione di anni vissuti.
Spazi propizi per queste infanzie sono quelli in cui non vi è luogo per stigmi, etichette e punti fissi.
Abbiamo saputo tanto sull’infanzia, abbiamo discriminato tanto le sue tappe e le sue possibilità, abbiamo progettato tanto il suo futuro, forse sarebbe meglio smettere di sapere, giustamente, quello che un bambino può o non può fare.
Cosa può fare un corpo? Cosa può fare un pensiero? Cosa fare un bambino?
Non lo sappiamo.
Malgrado tutta la nostra arroganza e petulanza scientifica, non lo sapremo mai.
In questo “non sapere” forse troveremo un punto di partenza per i nostri poteri, per altre forze e potenze dell’infanzia.
“Non sappiamo” e in questo gesto può entrare la potenza della sorpresa, della cosa inaspettata, di ciò che non è anticipato, di ciò che non possiamo sapere ma che anche non vogliamo sapere, perché se lo sapessimo, come lo sappiamo, perché lo sappiamo, avremmo escluso ciò che il nostro sapere ha lasciato fuori proprio per non saperlo.
Non sappiamo di cosa è capace un bambino, di qualsiasi età.
In questo gesto filosofico, forse troveremo l’accesso a una nuova potenza infantile. Una nuova potenza dell’infanzia.
Un nuovo pensiero. Facciamogli spazio.
Il lavoro fin qui esposto ed alcune dichiarazioni costituiscono sicuramente una dissonance che occorre, in un certo modo, dimenticare per continuare a costruire scuole, programmi e pedagogie, ma che occorre anche, di tanto in tanto, réentendre perché l'atto di insegnare non perda la coscienza dei paradossi che gli danno senso.
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