Solleviamoci, è ora
Noi siamo quelli
che se ne vanno
pieni di vento
e di sole
in deserti
affollati
di illusioni
e non tornano più
abbagliati
da spaccati di vita.
Siamo riflessi
di affetti
profondi.
Pensieri
di fresca rugiada
posata sulla notte
che non conosce
nuvole.
Siamo i sospesi
tra sogno e realtà,
quelli sul sottile confine
tracciato
dai meandri
dei desideri.
Siamo splendide bugie
di una terra
che fatica
ad alzarsi
sui marciapiedi
della vita.
Siamo polvere
di un tempo
inesorabile
che ci riporta
tra le caverne opache
dei ricordi.
Siamo l’urlo
di amici perduti
non ancora tornati,
che raccoglie
sogni lanciati
su nuvole rosa
gonfie di cuore
nel cielo sospeso
della gioventù.
Siamo parole
mai dette
intrappolate
tra i rami
scheggiati
di un inverno
che fatica
nel risveglio.
Siamo vita
che scoppia
nei focolai spenti
accesi dal giorno che nasce
a dispetto di tutto.
Preghiere
Strappate ai silenzi
concessi da un Dio
che non ama
piangersi addosso.
Siamo
l’andata e il ritorno
di noi stessi.
Solleviamoci.
E’ ora.
PAESE MIO
Paese mio
cinto a primavera
di riccioluti gorgheggi
affaccendati
come comari
nel via vai del giorno
ti vai combinando
tra nuvole ariose
all’orizzonte
e sogni fermi
dietro vetri antichi.
Tu non conosci gli anni.
Il tuo grembo
avrà sempre un vecchio
davanti ai tuoi tramonti
aggrappato
ai sapori di campagna
mentre torna stanco
con le zolle in mano
cantando
la fatica della terra.
E non conosci spazi.
Sei tutto lì
che vivi di germogli
seminati
nei cuori della gente
che s’adatta
all’ombra
dell’inverno
mentre fuori
è estate.
Per questo
non ti mancano
i sorrisi
strappati ai vicoli
intrecciati e bui
come strette di mano
nel bisogno
tra calde mura
di camini accesi.
Tra gli alberi d’ulivo
bagnati di sole
che lasciano un’impronta
tra le rughe
dei ricordi
che strada voltando
riporta
inesorabilmente
a te.
La morte raccontata ai bambini
Wolf Erlbruch, uno dei più grandi illustratori europei, dopo il capolavoro "La grande domanda" torna a sorprenderci con un libro per bambini (ma i confini sono piuttosto labili) sul tema della morte, dal titolo enigmatico e per questo ancor più intrigante: L’anatra, la morte e il tulipano. Ho affrontato questo tema più volte negli incontri di “filosofia con i bambini”, per loro sollecitazione, ed è davvero una fortuna che su un argomento così difficile da affrontare (per tutti, non solo per i bambini) sia stato pubblicato, in mezzo a tanto grigiore, un tale gioiello.
L’albo è sobrio, così come le illustrazioni, pulite ed essenziali, ma i significati che riesce ad esprimere sono di altissimo livello concettuale.Queste le impressioni che ne ho ricavato ad una prima lettura:
a) alla domanda sul perché si deve morire, l’unica risposta logica possibile è legata alla dinamica stessa della vita: “All’incidente ci pensa la vita, come anche al raffreddore, e a tutte le altre cose che possono capitare a voi anatre”, risponde la morte alle perplessità dell’anatra. Siccome si vive si muore, la morte è parte stessa della vita. Di una inaudita semplicità, e proprio per questo inaccettabile per gli umani;
b) vivere con il costante pensiero della morte. La morte qui rappresentata all’inizio terrorizza l’anatra, ma poi questa, dopo averne scoperto alcuni suoi lati dolci e gentili, decide di passarci del tempo, di dormire addirittura con lei. Un grande esercizio filosofico è quello di pensare ogni giorno alla morte, di con-vivere paradossalmente con il suo pensiero;
c) si passa quindi alle domande su cosa succede dopo la morte: che cosa succede a chi muore e al mondo? “La verita è che non lo sa nessuno” - risponde una morte molto prudente di fronte alle ipotesi dell’anatra sull’al di là. Altra considerazione di grande livello filosofico: “Ecco come sarà quando morirò. Lo stagno: tutto solo. Senza di me”. E la morte - da fine idealista qual è - commenta che sì, dopo la morte il mondo si dissolve, quel mondo che è la mia rappresentazione, come sostenevano il vescovo Berkeley e Schopenhauer, se ne va con me;
d) ma non è ancora finita. Ad un certo punto qualcosa accade. Arriva la neve. L’anatra non respira più e giace immobile. Si compie l’ultimo straordinario capitolo del ragionamento di Erlbruch: interviene la pietas, e ad essere pietosa è proprio la morte che prende tra le braccia l’animale e lo adagia nel grande fiume, con un tulipano sul petto.
Di fronte a quest’ultima scena è impossibile trattenere la commozione. E un libro che suscita tali sentimenti in sole trenta pagine, anche a prescindere dalle argomentazioni filosofiche che ho citato, è inequivocabilmente un grande libro.
Un'insegnante spiegando alla classe che in spagnolo, contrariamente all'inglese, i nomi possono essere sia maschili che femminili. "Uno studente chiese: "Di che genere è la parola computer?" Anziché rispondere, l'insegnante divide la classe in due gruppi, maschi e femmine, e gli chiese di decidere tra loro se computer dovesse essere maschile o femminile.A ciascun gruppo chiese inoltre di motivare la scelta con 4 ragioni.Il gruppo degli uomini decise che "computer" dovesse essere decisamente femminile"la computadora"perchè:1.Nessuno tranne il loro creatore capisce la loro logicainterna.2.Il linguaggio che usano per comunicare tra computer èincomprensibile.3.Anche il più piccolo errore viene archiviato nella memoria a lungotermine per possibili recuperi futuri.4.Non appena decidi di comprarne uno, ti ritrovi a spendere metà del tuo salario in accessori.Il gruppo delle donne,invece, concluse che i computer dovessero essere maschili (el computador)perchè:1.Per farci qualunque cosa, bisogna accenderli.2.Hanno un sacco di dati ma non riescono a pensare da soli.3.Si suppone che ti debbano aiutare a risolvere i problemi, ma perla metà delle volte,il problema sono LORO;4.Non appena ne compri uno, ti rendi conto che se avessi aspettatoqualche tempo,avresti potuto avere un modello migliore.Le donne vinsero.
Nessun commento:
Posta un commento