Blog informativo sulla P4C

( philosophy for children)

di Lipman

Quando la filosofia dipinge il suo grigio su grigio, allora una figura della vita è invecchiata, e con grigio su grigio essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto conoscere; la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo.


La parola "filosofia" ha come nella sua radice il significato "far crescere". Infatti, c'è solo una cosa che sa stupire e conquistare il nostro cuore: la parola di chi non si limita a inanellare frasi sensate e ben tornite, ma di chi ci porta più in alto o più in profondità.

Che cos'è la filosofia?

“La filosofia è la palingenesi obliterante dell'io subcosciente che si infutura nell'archetipo dell'antropomorfismo universale. “(Ignoto)

Perché la filosofia spiegata ai ragazzi?

I bambini imparano a conoscere e a gestire i propri ed altrui processi emozionali, affettivi e volitivi: imparano a conoscere se stessi e a relazionarsi con gli altri. Una scuola che intende fornire esperienze concrete e apprendimenti significativi, dove si vive in un clima carico di curiosità, affettività, giocosità e comunicazione, non può prescindere dal garantire una relazione umana significativa fra e con gli adulti di riferimento. Questa Scuola ad alto contenuto educativo, non può cadere nel terribile errore di preconizzare gli apprendimenti formali, errore spesso commesso dagli insegnanti che sono più attenti a formare un “bambino-campione”, piuttosto che un bambino sicuro e forte nell'affrontare la vita, o ancora un bambino che abbia acquisito la stima di sé, la fiducia nelle proprie capacità e la motivazione al passaggio dalla curiosità, caratterizzante la Scuola dell'Infanzia, alla ricerca. L'insegnante deve poter provare un “sentimento” per l'infanzia inteso come “sentire”, percepire e prendere consapevolezza dei bisogni reali, affettivi ed educativi propri del bambino che sono altro rispetto ai bisogni degli adulti. Il ruolo dei genitori, degli insegnanti è infatti quello di educare tutti e ciascuno alla consapevolezza di ciò che il bambino “sente” emotivamente e affettivamente, perché è proprio il passaggio dal sentire all'agire che consentirà al futuro uomo di compiere scelte autonome. Un compito importante dell'insegnante è quello di mediare i modi e i tempi di un dialogo strutturato su un piano paritario, in modo tale da consentire ad ogni interlocutore di far emergere il proprio pensiero e di metterlo in relazione con quello degli altri. E' una sfida, da parte dell'insegnate, a livello culturale, sociologica e civica ma che deve coinvolgere anche i più piccoli per dotarli di una propria capacità critica, che permetta loro di ragionare, di riflettere sulla realtà e di compiere in futuro scelte consapevoli Se la filosofia è "presa sul serio", se è misurata con i problemi reali, è davvero uno strumento di formazione della persona e di indirizzo della vita. La filosofia come felicità presente nell'attività del pensiero.

Incontrarsi è una grande avventura

“Non possiamo stare
e vivere da soli,
se così è,
la vita diventa
solitudine monotona.
Abbiamo bisogno dell’altro
per condividere sguardi
di albe e tramonti,
momenti di gioia e dolore.
Abbiamo bisogno dell’altro
che ci aiuta a vedere
e scoprire le cose che da soli
mai raggiungeremo.

Beati quelli che sono capaci
di correre il rischio dell’incontro,
permeandolo di affetto e passioni
che ci fanno sentire più persone
poiché così vivendo
anche gli scontri
saranno mezzi
di un vero incontro.”
(Testo di sr. Soeli Diogo).




Questo romanzo è rivolto, con la più grande speranza e fiducia, a tutte le persone di questa società e soprattutto a quei giovani che si muovono oggi, coi loro passi, senza esserne pienamente consapevoli, verso la scoperta della grande stanza di questo mondo poliedrico e complesso, dalle mille pareti ammaliatrici. Passi che, a dosi esagerate della conquista di una felicità che riempia la stanza del loro cuore, complementare a quella del mondo, lasciano dietro sé molte tracce superficiali che si spazzano via anche con il più debole vento della loro esistenza per poi trascinarli nel giogo del “vuoto”. Che questo romanzo “Un vuoto da decidere” sia loro di aiuto per guardare in faccia, riconoscere, combattere e vincere, con le sole armi dell’amore vero per se stessi e per il mondo, questa strana “malattia” dell’anima che colpisce chi non ha difese e che porta alla conquista di una libertà infedele e subdola.

Se la metto in pratica mi fa vivere tutta un'altra vita, straordinariamente più ricca di quella che avrei ideato fidandomi solo di me.

Solleviamoci, è ora

Noi siamo quelli
che se ne vanno
pieni di vento
e di sole
in deserti
affollati
di illusioni
e non tornano più
abbagliati
da spaccati di vita.

Siamo riflessi
di affetti
profondi.
Pensieri
di fresca rugiada
posata sulla notte
che non conosce
nuvole.

Siamo i sospesi
tra sogno e realtà,
quelli sul sottile confine
tracciato
dai meandri
dei desideri.

Siamo splendide bugie
di una terra
che fatica
ad alzarsi
sui marciapiedi
della vita.

Siamo polvere
di un tempo
inesorabile
che ci riporta
tra le caverne opache
dei ricordi.

Siamo l’urlo
di amici perduti
non ancora tornati,
che raccoglie
sogni lanciati
su nuvole rosa
gonfie di cuore
nel cielo sospeso
della gioventù.

Siamo parole
mai dette
intrappolate
tra i rami
scheggiati
di un inverno
che fatica
nel risveglio.

Siamo vita
che scoppia
nei focolai spenti
accesi dal giorno che nasce
a dispetto di tutto.

Preghiere
Strappate ai silenzi
concessi da un Dio
che non ama
piangersi addosso.

Siamo
l’andata e il ritorno
di noi stessi.

Solleviamoci.
E’ ora.

PAESE MIO

Paese mio
cinto a primavera
di riccioluti gorgheggi
affaccendati
come comari
nel via vai del giorno
ti vai combinando
tra nuvole ariose
all’orizzonte
e sogni fermi
dietro vetri antichi.

Tu non conosci gli anni.

Il tuo grembo
avrà sempre un vecchio
davanti ai tuoi tramonti
aggrappato
ai sapori di campagna
mentre torna stanco
con le zolle in mano
cantando
la fatica della terra.

E non conosci spazi.

Sei tutto lì
che vivi di germogli
seminati
nei cuori della gente
che s’adatta
all’ombra
dell’inverno
mentre fuori
è estate.

Per questo
non ti mancano
i sorrisi
strappati ai vicoli
intrecciati e bui
come strette di mano
nel bisogno
tra calde mura
di camini accesi.


Tra gli alberi d’ulivo
bagnati di sole
che lasciano un’impronta
tra le rughe
dei ricordi

che strada voltando
riporta
inesorabilmente
a te.



mostra di poesie

mostra di poesie
Solleviamoci, è ora


mercoledì 4 luglio 2007

Favole filosofiche per la scuola media

PERCHÉ LA FILOSOFIA PER BAMBINI?
Le favole filosofiche sono un vasto repertorio narrativo che include miti, parabole, fiabe, leggende, ogni genere di racconto che si proponga di esemplificare le domande crociali per ogni comunità: Chi siamo? Perché viviamo? Come dovremmo vivere? Cos'è bello? Cos'è giusto? Cos'è amore? Le risposte variano nel tempo e anche per appartenenza a culture e civiltà diverse. Ma le domande no, sono universali e nascono imparando a parlare.
CHE COSA È LA FILOSOFIA PER BAMBINI?
Potremmo dire che è l'esercizio quotidiano di ogni genitore, insegnante, adulto impegnato a raccontare la vita e il mondo a un bambino. Ma è anche un movimento culturale (P4C -Philosophy for Children), nato negli Stati Uniti con il metodo Lipman e diffuso ormai in Europa e in Italia per favorire metodologicamente un approccio con il pensare filosofico proprio dei bambini già della fascia prescolare. Un invito al dialogo e ancor di più all'ascolto reciproco fra il mondo degli adulti e il mondo dei bambini. Il riconoscimento in fondo che è un piacere non esclusivamente adulto quello di "pensare i nostri pensieri", ma è un piacere che va coltivato nell' ascolto come nella lettura.
"Già da piccolo il bambino si pone tutte le questioni filosofiche che sono dotate di un senso: intorno alla vita, alla morte, all' amore, al tempo, al pensiero... I bambini interrogano il mondo molto precocemente ed è qui il punto di partenza della pratica filosofica. La filosofia è intesa qui come questione e non come sapere che accompagna la meraviglia e lo stupore di fronte al mondo. "
Helene Schidlowsky docente di filosofia alla Haute Ecole F. Ferrer, Bruxelles







1. Scheda didattica per la scuola media
CAMBIAMENTI E DINTORNI
da ‘Vocabolario della Lingua italiana - Zingarelli:
CAMBIARE
= mettere una persona, una cosa e sim. al posto di un’altra (dello stesso tipo);
= comportarsi diversamente;
= cercare un clima diverso, trasferirsi;
= alterare discorsi o atteggiamenti precedenti;
= mutare in viso per un’improvvisa emozione;
= passare da uno stile di vita all’altro;
= scambiare, permutare, barattare;
= convertire;
= ricambiare, contraccambiare;
= trasformare;
= variare, passare da uno stato ad un altro;
= diventare diverso;
TRASFORMARE
= mutare di forma, di aspetto;
= cambiare il carattere, i sentimenti, le idee di qualcuno;
= diventare diverso nella forma, l’aspetto o il modo di pensare, l’indole;
CRESCERE
= accrescere, aumentare;
= allevare, educare, coltivare;
= aumentare di massa, volume, livello, forza, intensità, prezzo, luminosità…;
= salire di grado, nella condizione sociale, nell’abilità, nel successo professionale…;
= migliorare, progredire, prosperare;
= essere in più, sovrabbondare;
= stonare per tono tropo acuto (una nota che cresce);
RISTRUTTURARE
= dare una nuova struttura;
= eseguire opere di restauro e ripristino a scopo di recupero, mantenimento e rivalutazione;
CONSERVARE
= serbare (spec.un alimento) nello stato originario, evitando ogni alterazione o deterioramento;
= custodire;
= possedere ancora dopo un lungo periodo di tempo;
= preservare proteggendo;
= rimanere nello stato originario, senza alterazioni o deterioramenti;
= mantenersi, rimanere anche dopo un lungo tempo in un determinato stato;
PERMANERE
= continuare a essere, durare, perdurare;
= continuare a stare;
STABILE
= che è ben saldo, fisso, inamovibile;
= durevole, costante;
= fisso;
= permanente, duraturo, non provvisorio;
= non variabile (tempo);
= che non sbiadisce (colore);
= detto di composto chimico che non subisce alterazioni o variazioni nel tempo;
= equilibrio, in un sistema meccanico = posizione di equilibrio tale che il sistema una volta allontanato anche di pochissimo da essa, tende a ritornarvi;
= immobile;
Il problema del cambiamento in FilosofiaIl tema del cambiamento è uno dei primi problemi che la filosofia affronta fin dalle sue origini e percorre tutta la storia della Filosofia. Possiamo a riassumere il tema in alcune questioni ricorrenti. Tutte le cose sono soggette a cambiamenti. C’è una logica dei cambiamenti che possa aiutarci ad avere conoscenza o almeno coscienza dei cambiamenti? Noi possiamo determinare dei cambiamenti utili? C’è qualcosa che permane immutato? Cosa? Come? Perché?
Eraclito di Efeso (520 – 460 circa a.C.) dice che il senso e la ragione delle cose è il loro movimento proprio perché tutto è in moto e si trasforma. In alcuni celebri frammenti così si esprime: “Tutto scorre”, “Nei medesimi fiumi entriamo e non entriamo, siamo e non siamo”. La stessa mutevolezza delle cose e degli eventi Eraclito dice che si avverte nel linguaggio che è spesso duplice e contraddittorio come nell’ Esempio della Strada o Via: la parola strada è la stessa sia per l’uomo che sale che per l’uomo che scende, così che entrambi avranno ragione incontrandosi per quella via nel dire, l’uno che la strada è in salita, e l’altro che la strada è in discesa.
Zenone di Elea, contemporaneo di Eraclito, vuole invece dimostrare che l’esperienza sensibile non porta certezze all’indagine filosofica. Così, nessuno può negare che i corpi si muovano e di vedere questo movimento, tuttavia non si può fare scienza del movimento perché la ragione potrà sempre confutare l’evidenza sensibile con un rigoroso metodo di analisi logica. Zenone diventa così maestro dei paradossi logici. Il più famoso è quello di Achille, il piè veloce, che non riesce a vincere la gara di corsa con una Tartaruga. Ma anche il paradosso del molteplice o del mucchio, poi noto come Paradosso del Mendicante che dice che con una moneta alla volta un mendicante non diventerà mai la ricco, perché la ricchezza è una quantità indeterminata, come tutti i mucchi, e sommando una moneta per volta si otterrà sempre e solo un numero determinato di monete.
Socrate, non si sofferma tanto sulla natura del molteplice quanto sulla nostra capacità di critica che raramente egli dice parte dalla consapevolezza della nostra ignoranza. Conosci te stesso, cioè la conoscenza dei propri limiti, è il solo punto di partenza di una corretta analisi critica del mondo esterno. Avere un’opinione intorno al giusto o al bello non è un male. Male è scambiare la propria opinione per quella universalmente valida, infatti la consapevolezza delle motivazioni introduce concetti di competenza e di responsabilità che portano il giudizio critico a divenire virtù morale, azione politica.
Platone dice che mutabile è la forma e immutabile e la sostanza. Ma la sostanza o idea, è un principio non facile da indagare perché profondo e celato dietro l’apparenza delle cose. Una realtà parallela quella delle idee-sostanza che solo la contemplazione e la ricerca continua consentono all’uomo di riconoscere vera e immutabile. Noi stessi proveniamo dal mondo delle idee perché siamo forme imperfette di uomini di una idea perfetta di uomo alla quale la filosofia ci avvicina come in un viaggio della memoria. Applicando poi la sua ricerca filosofica alla politica e alla pedagogia Platone descriverà uno Stato Ideale, la Repubblica, dove la dittatura dei filosofi si preoccuperà di vietare ai bambini di poter fare giochi diversi da quelli fatti dalle generazioni precedenti, consapevole che ogni bambino esprime nel gioco non solo la sua intelligenza ma anche la sua potenzialità eversiva. Questo lo renderebbe imprevedibile e incontrollabile non solo come bambino, ma soprattutto, un domani, come adulto.
Aristotele arriva invece a determinare delle regole certe, condivisibili e corrette perché la logica possa non solo confutare ma anche indagare e dimostrare le regole che determinano i mutamenti, fino a renderli prevedibili e, o non, desiderabili. La scienza è teoria del perché, ma è anche una conoscenza che applicata diventa etica, politica, ingegneria, arte. Perché è proprio dell’uomo, animale poietico cioè attivo e fattivo, determinare cambiamenti nella società, nell’ambiente, nella storia. Ma è la Meraviglia, la capacità dell’uomo di meravigliarsi di fronte al mistero della vita e alla mutevolezza delle cose che muoverà sempre la sua ricerca e la sua intelligenza scientifica, pratica e artistica. E’ la meraviglia il motore della filosofia, il mito la sua prima formulazione.Questi sono alcuni fra i primi e più importanti filosofi ad occuparsi del cambiamento come questione centrale della nostra conoscenza. Ma la storia della filosofia non ha mai smesso di occuparsene, anche solo negando di potersene occupare o di poterne fare, come i Sofisti altra scienza che Retorica
La scuola degli Stoici e quella degli Scettici, per esempio, negavano valore morale al cambiamento come ad ogni evento perché ineluttabile e quindi né buono né cattivo, predicando gli uni il superamento delle passioni, gli altri l’indifferenza e la sospensione del giudizio.
Gli Epicurei invece elaborano una dottrina della conoscenza fondata sulla certezza della sensazione e una morale che assegna massimo valore alla felicità e al piacere duraturo e stabile predicando la necessità di astenersi da ogni tipo di turbamento, di dolore, o di aspirazione smodata e inaccessibile.
Secoli dopo non mancarono Filosofi che, come T. Moro o Campanella, immaginarono mondi perfetti dove poter realizzare una vita ideale in armonia con la natura e con il prossimo, perché solo in un mondo ideale era possibile realizzare insieme tutti i cambiamenti di cui la società, la storia, la scienza avevano a loro avviso necessità, mentre Galilei, Bacone, Hobbes confidano nella attuazione pratica delle loro idee scientifiche economiche, politiche.
E’ però tra il seicento e il settecento che filosofi come Cartesio, Pascal, Kant, Leibniz, Rousseau, continuando a indagare il principio primo e immutabile di ogni conoscenza lo riconoscono nell’ unione dei concetti di essere e pensare.“Cogito ergo sum” (Cartesio) “Io-Penso”(Kant) “La monade” (Leibniz). E un concetto forte di identità e responsabilità dell’uomo che porta un nuovo impulso ad indagare le cause e determinare sempre nuovi cambiamenti per la Società, la Natura e la Storia. E’ l’età dell’Illuminismo ma è anche l’inizio dell’era che oggi chiamiamo moderna. Dal questa nuova fiducia nelle potenzialità dell’ individuo di comprendere e intervenire in tutti gli aspetti della vita umana nei due secoli a venire prenderanno forma nuove discipline scientifiche: l’Economia, la Pedagogia, la Sociologia, la Psicologia, l’ Antropologia, la Semiotica e molte altre ancora, ciascuna a suo modo dottrina delle variabili di competenza.
Scaletta tematico/drammaturgica del laboratorioE’ vero che tutto cambia?IL MONDO (necessità ed evidenza)
COSE che cambiano – Cosa, Come, Perché;IO che cambio - Cosa, Come, Perché;GLI ALTRI che cambiano - Cosa, Come, Perché;
Intro: Tutto cambia, tutti cambiamo. Ingresso del cieco: La legge del Mucchio, Paradosso del Sorite o del Mendicante (scuola di Megara IV sec. A.C.), Il punto di vista del ricco e il punto di vista del povero.
Intro: Chissà se davvero si accontentava di vivere alla giornata. La generosità porta buon umore. E poi tutto si può scambiare, barattare con vantaggio reciproco.Ingresso dello Storpio: Paradosso della velocità e Il Baratto. Il paradosso di Achille e della Tartaruga (Zenone di Elea, V sec. A. C.). Il punto di vista dell’allegria.
Intro:.Si possono avere e scambiare mucchi di ogni cosa. Il mucchio può cambiare la vita, dipende cosa ne fai. Dipende dai punti di vista. Racconto: La Cicala e la Formica 1 (Gorgia 1);Racconto: la Cicala e la Formica 2(Gorgia 2);Racconto: La Cicala e la Formica 3 (Socrate: la conoscenza dei propri limiti è virtù etica).
Io posso fare dei cambiamenti?
L’INDIVIDUO (potenzialità, possibilità)
Posso cambiare delle COSE - Cosa, Come, Perché;Posso cambiare ME STESSO - Cosa, Come, Perché;Posso cambiare GLI ALTRI - Cosa, Come, Perché;
Intro: L’incontro del cieco e dello Storpio cambia la loro vita. Consapevolezza della Comunità nella Diversità. Conoscere i propri limiti aiuta a cambiare, progettando il superamento dei limiti. Il cieco e lo Storpio decidono di aiutarsi a vicenda per raggiungere un Pozzo.Intro: Il pozzo è un luogo misterioso. Ci sono tanti tipi di pozzo. Ciò che ignoriamo ci fa paura e ci attrae. Ogni pozzo è un opportunità.Racconto: Il Pozzo e la lepre;Racconto: il Pozzo e il leone;Racconto: La Reginotta.
Luoghi familiari abitati dalla fantasia con curiosità e con paura. Visto che posso, cosa vorrei cambiare?
LA COMUNITA’ (Volontà e utilità)
Vorrei cambiare INTORNO A ME - Cosa, Come, Perché;Non vorrei cambiare - Cosa, Come, Perché;Vorrei cambiare DI ME STESSO - Cosa, Come, Perché;Non vorrei cambiare - Cosa, Come, Perché;Vorrei cambiare degli ALTRI - Cosa, Come, Perché;Non vorrei cambiare - Cosa, Come, Perché;
Intro: Il pozzo dei mendicanti è un pozzo che può guarire. Cambia chi vuole cambiare. Il cieco e lo Storpio non trovano il pozzo (Giochi di parole – Il linguaggio ambiguo e mutevole). Il Cieco e lo Storpio decidono di non voler cambiare e scappano.Intro: I mutamenti,paura e coraggio, incoscienza e responsabilità.Racconti: Donna Leopardo e Issumbosci.Finale: Il Cieco e lo Storpio: Punti di vista della guarigione.
PROGETTO: Cosa vorrei cambiare INSIEME agli altri? Come? Perché?Domanda: Cosa non cambierà mai?
(IL MONDO)(L’INDIVIDUO)(LA COMUNITA’)
NECESSITA’Cosa Tutto CambiaCosa, come, perché Io cambioCosa, come, perché Gli altri cambianoCosa, come, perchéPOTENZIALITA’Come / Io posso cambiareCosa, come, perché Gli altri possono cambiare Cosa, come, perchéVOLONTA’Cosa Come e Perché / Io vorrei cambiare (e non vorrei cambiare)Cosa, come, perché Gli altri vorrebbero cambiareCosa, come, perchéNOI VOGLIAMO CAMBIARE INSIEMECosa, come, perché
COSA NON PUO’ CAMBIARE?Temi in forma di domanda:CRESCERE VUOL DIRE CAMBIARE? E VICEVERSA?Cosa vorremmo conservare, custodire, difendere dai cambiamenti, dal tempo, nei viaggi?Ricordi di essere stato diverso da come ti vedi oggi?Quando ti vedi allo specchio ti vedi come ti pensi?E quando guardi gli altri ti capita di riconoscerti?Cosa ti rende diverso dagli altri e cosa ti rende uguale agli altri?PERCHE’ voler cambiare, o perché no, qualcosa o qualcuno?C’è differenza tra vizio e abitudine?La mancanza di volontà impedisce che le cose cambino in me o attorno a me?E la forza di volontà come influisce sui cambiamenti che sono in corso?COSA VORREI CAMBIARE INTORNO A MECosa voler cambiare per mio interesse?Cosa voler cambiare per l’interesse di tutti?Cosa vorresti cambiare che non puoi cambiare?Gli altri come ti aiutano a cambiare?Come mi accorgo che gli altri stanno cambiando?LA MALATTIA PUO’ ESSERE UN CAMBIAMENTO CHE NON SAPPIAMO ACCETTARE?
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2. Alcuni Filosofi Antichi sul problema dei Cambiamenti
Tutte le cose sono soggette a cambiamenti? Siamo in grado di spiegare razionalmente i cambiamenti? Il nostro linguaggio è in grado di descrivere o rappresentare i cambiamenti? Possiamo noi prevedere o determinare dei cambiamenti? Il tema dei cambiamenti, ovvero del molteplice e del mutevole, è uno dei primi problemi che la Filosofia affronta fin dalle sue origini e ne percorre tutta la storia. Qui citiamo solo alcuni fra i più importanti filosofi antichi cui certamente è possibile fare riferimento nel percorso da noi scelto per stimolare pensieri, opinioni, giochi sul tema così vasto del Cambiamento.
Eraclito di Efeso (520–460circa a.C.) Il divenire costituisce il principio sul quale poggia il mondo, è l'arché. Tutto il cosmo è in continuo mutamento, niente permane nella stessa forma. Lo stesso vivere è un continuo mutare da una condizione all'altra. “Pànta Rei ”, “Tutto scorre” incessantemente, ed è questo continuo mutare che costituisce il senso stesso del cosmo, il suo principio fondamentale, il suo significato ultimo. Per dirla come Eraclito "non ci si bagna mai nello stesso fiume e non si può toccare due volte una sostanza sensibile nello stesso stato". Ciò che vi è di identico e non muta, nel mutare di tutte le cose, è lo stesso mutamento. Anche la nostra esperienza quindi è non solo mutevole ma anche contraddittoria, e lo è il nostro linguaggio che ne riflette il carattere duplice e ambiguo, come nell’ esempio della Strada: la parola “Strada” è la stessa sia per l’uomo che sale che per l’uomo che scende, così che entrambi avranno ragione incontrandosi per quella via nel dire, l’uno che la strada è in salita, e l’altro che la strada è in discesa. Eraclito divide gli uomini in svegli e dormienti: i primi sono i sapienti, i filosofi, i secondi la gente comune che ignora la conoscenza. Per Eraclito non è sapiente colui che sa un gran numero di cose, bensì colui che sa cogliere meglio di altri la natura delle relazioni che si instaurano tra le cose.
Parmenide (515-450 circa a.C) fu il primo a sostenere la superiorità dell’ interpretazione razionale della realtà a scapito dell'interpretazione soggettiva dei sensi, i quali falsano l'oggettivita del giudizio. In particolare, entrò in polemica con il pensiero di Eraclito e il concetto di divenire. Sostenendo il continuo mutare delle cose da un stato all'altro, da uno stato di essere qualcosa a uno stato di non-essere più un qualcosa, Eraclito entrava in una contraddizione logica, in quanto se l'essere è, il non-essere non è. Il divenire eracliteo comportava il passaggio da uno stato di essere qualcosa a uno stato di non-essere-più-qualcosa: ciò è impossibile, in quanto il non essere non esiste. Parmenide afferma che il molteplice non esiste, il molteplice non è la verità. Il mondo sensibile, nel quale l'uomo si muove e percepisce il divenire come reale, non può coincidere con l’Essere perché l’ Essere non muta mai. Il mondo sensibile è allora doxa cioè opinione. Gli uomini giudicano tutto secondo i sensi, ma con essi si arriva soltanto all'opinione, non alla verità.
Zenone di Elea (IV-Vsec. a.C.) vuole invece dimostrare che l’esperienza sensibile non porta certezze all’indagine filosofica. Così, nessuno può negare che i corpi si muovano e di vedere questo movimento, tuttavia non si può fare Scienza del movimento perché la ragione potrà sempre confutare l’evidenza sensibile con un rigoroso metodo di analisi logica. Zenone diventa così maestro dei paradossi logici. Celebre è il paradosso di Achille e della tartaruga, dove Zenone dimostrò come non fosse possibile per Achille raggiungere la tartaruga partita prima di lui. Per Zenone il moto si spiega come il passaggio da un punto di partenza a un punto di arrivo. Ma per arrivare al punto di arrivo occorre arrivare prima alla metà di questo percorso, e per arrivare alla metà di questo percorso, occorre arrivare alla metà del percorso che va dall'inizio al punto intermedio, e così via: in sostanza, un uomo, per raggiungere una posizione nello spazio, deve sempre prima percorrere i segmenti intermedi, e questi segmenti, essendo lo spazio divisibile all'infinito, sono infiniti... ora, come può Achille raggiungere la tartaruga se è alle prese con la divisione infinita degli spazi che la separano da essa? Il paradosso del chicco di grano. Un chicco di grano, cadendo, non produce alcun rumore. Un sacco di grano invece sì. Come può una somma di silenzi dare origine a un rumore?Euclide di Megara (IV-Vsec. a.C.) è convinto che Virtù, Verità, Bellezza non abbiano una natura molteplice ma ideale e perfetta, e pertanto non comprensibile per l’esperienza né comunicabile per il linguaggio, che al contrario è limitato e mutevole. Paradossalmente però è proprio il carattere arbitrario del linguaggio che secondo i Megaritici conferisce valore al discorso dello stolto come del saggio, perché entrambi sono, nei loro limiti, un riflesso della verità che li comprende tutti. A questa scuola viene attribuita la formulazione del Paradosso del mucchio o sorite, poi noto come Paradosso del Mendicante che dice che con una moneta alla volta un mendicante non diventerà mai ricco, perché la ricchezza è una quantità indeterminata, ideale come tutti i mucchi, e sommando una moneta per volta non si potrà mai ottenere un mucchio di monete ma sempre e solo un numero finito di esse.
Sofisti (V° e il IV° secolo a.C ) furono chiamati quei filosofi che negavano la possibilità di raggiungere una verità definitiva, per cui tutto poteva essere messo in discussione, tutto era relativo, ogni argomento poteva essere confutato. Si diffuse persino l'uso di fare della confutazione degli argomenti uno spettacolo popolare, cosa che ebbe il merito far conoscere la filosofia al grande pubblico, ma che attirò sul movimento un certo disprezzo. Infatti, "sofista" divenne termine spregiativo per indicare, oltre gli argomenti cavillosi e speciosi, anche l'atteggiamento mercenario del filosofo, il quale era spesso pagato da committenti per dimostrare razionalmente certe tesi, in spregio a qualsiasi idea di verità. Il 'sofista' è appunto colui nel quale la Sophìa è la capacità tecnica di persuadere conformemente a uno scopo."
Socrate (470-399 a.C.) Il suo compito non era tanto insegnare la verità, che del resto egli "sapeva di non sapere", quanto piuttosto quello di aiutare l'interlocutore a partorire la verità da sé. Socrate cominciava a porre all'interlocutore una domanda, e ad ogni risposta traeva spunto per porne una nuova, finché entrambi si attestavano su una verità condivisa. Il motivo primo che impedisce all'uomo di sapere con certezza è l'incapacità di stabilire in modo definitivo il significato di ciò che si vuole sapere. Per definire in modo certo cosa sia il bene e cosa sia la giustizia, ad esempio, occorre sempre prima domandarsi che cosa sia il bene e cosa sia la giustizia: il procedimento per raggiungere la verità dei concetti passa per la loro corretta definizione. Socrate e il suo interlocutore arrivano così a sbarazzarsi di opinioni incerte, pregiudizi, e hanno acquisito maggiore consapevolezza dei propri mezzi conoscitivi e discorsivi. La verità che si voleva conquistare non è poi altro che questo, e Socrate a ragione può sostenere di esercitare l’arte dell’ostetricia o maieutica, professata da sua madre, in quanto lungi dall’insegnare cose nuove a chi parla con lui, lo aiuta a partorire da sé ciò che già conosce, vale a dire la verità e il valore dei propri limiti. Gnothi seautòn: “Conosci te stesso”. Coscienza critica e Virtù per Socrate coincidono, e come il sapiente è possessore della sapienza così il virtuoso è conoscitore della virtù. La virtù è parte essenziale dell’identità dell’uomo virtuoso, non può essergli sottratta: va praticata e come tale non può essere insegnata né appresa. Un comportamento non virtuoso è segno di una errata conoscenza del bene, e quindi è ancora una volta un problema di vera conoscenza alla quale però ogni uomo può attingere liberandosi dalle false opinioni e confidando nella sua innata affinità con tutto ciò che è razionale e perciò virtuoso. Ecco perché pensa che chi sceglie il male, lo faccia perché del tutto inconsapevole del vero bene.
Platone (428-347 a.C.) dice che mutabile è la forma e immutabile la Virtù, la Verità, l’Idea. Ma l’Idea, è un principio non facile da indagare perché celato dietro l’apparenza e mutevolezza dell’esperienza sensibile. Quella delle Idee-Verità-Virtù è una realtà parallela e generativa che solo la contemplazione e la ricerca continua consentono all’uomo di poter riconoscere e di potervisi ispirare come in un trasporto della memoria. Il metodo è quello dialettico socratico ma potenziato da una più chiara volontà di superare l’aspetto critico per aderire nella sintesi a quelle verità che il linguaggio del Mito è sempre stato in grado di rivelare e di cui Platone fa ampio utilizzo. L' Idea secondo Platone non è un semplice "oggetto mentale" o concetto che si forma nella mente che è solo il modo in cui l'idea viene percepita. L'idea è un' entità dotata di esistenza autonoma, una sorta di "oggetto" eterno che vive al di fuori della coscienza degli uomini. Una curiosità: la ricerca filosofica di Platone applicata alla politica e alla pedagogia descrive una teoria di leggi e principi educativi dove i filosofi, che nella Repubblica da lui immaginata governano in quanto detentori della vera sapienza, si dovranno preoccupare di vietare ai bambini giochi diversi da quelli fatti dalle generazioni precedenti, perché forieri di troppe variazioni a un sistema di regole che si presume già ideale.Aristotele (384-324 a.C.) arriva invece a determinare delle regole certe, condivisibili e corrette perché la logica possa non solo confutare ma anche indagare e dimostrare le leggi che determinano i mutamenti, fino a renderli prevedibili e, o non, desiderabili. La scienza è teoria del perché, ma è anche una dottrina che applicata diventa Fisica, Metafisica, Etica, Poetica. Perché è proprio dell’uomo, animale creativo, determinare cambiamenti nella società, nell’ambiente, nella storia. E a muovere la sua creatività è da sempre la Meraviglia, la capacità di meravigliarsi di fronte al molteplice e alla mutevolezza delle cose. E’ la meraviglia il motore della filosofia, ma è il rigore analitico a renderla non solo possibile ma necessaria. Infatti secondo Aristotele non c’è separazione tra verità e razionalità ma solo tra forma e sostanza, e questo consente di ricomporre conoscenza empirica e conoscenza astratta. La verità non può essere ideale ma sostanziale, come la natura non è solo formale ma è insieme materiale. Il problema del filosofo è quello di verificare sempre la natura razionale di ogni oggetto della sua indagine, quindi la causa, l’effetto, il fine e anche quello di determinare tutti gli aspetti predicabili o Categorie di questo oggetto che sono: la qualità, la quantità, la relazione, lo stato, l’agire, il patire. La capacità del sapiente di spiegare la realtà nel suo divenire così come nella sua sostanzialità, si estende anche alla capacità di determinarne il possibile e il necessario applicando lo stesso rigore logico che gli consente di distinguere un discorso corretto da uno sbagliato.
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3. Filosofie Orientali e il tema dei Cambiamenti
Nel pensiero Orientale, Religione e Narrativa non cessano mai di accompagnare la Filosofia, al punto che è spesso difficile trattare l’una senza le altre. Questo è poi lo stimolo più forte a condurre il nostro progetto di “favole filosofiche”. Come però abbiamo fatto per gli antichi Filosofi Greci, proveremo a tracciare uno schema agile di verifica nelle varie prospettive culturali del problema dei Cambiamenti. Non certo per concentrare sulla Storia della Filosofia l’anima del nostro Progetto, quanto per disegnare l’ampiezza di relazioni che le scelte narrative possono liberamente percorrere per favorire un contatto e uno scambio sia umano che letterario. E troveremo curiosamente tracce anche dei nostri due personaggi: il Cieco e lo Storpio.
Il pensiero cinese - Il pensiero cinese non ha neppure conosciuto il dualismo spirito-materia e l'opposizione fra anima e corpo - caratteristici della tradizione occidentale - e la conseguente distinzione fra il sensibile ed il razionale. Il termine “xin” indica la mente ma anche il cuore, vale a dire la sede del pensiero e allo stesso tempo delle emozioni e delle reazioni sensoriali. La funzione razionale non è intesa in Cina come la più alta nell'uomo, contrapposta alle passioni e agli istinti. La ragione non è neppure prerogativa dell'anima che, secondo la dottrina ad es. cristiana, avrebbe la capacità di discernere fra il bene e il male, e di compiere liberamente il bene o il male. In Cina si racconta un universo in continua trasformazione, la cui dinamicità (nascite e morti, contrazione ed espansione) è dovuta alla polarità di energie opposte ma complementari. In Cina è assente una concezione assoluta ed esclusiva degli opposti, intesi piuttosto come bipolarità complementari, come interazione e alternanza.
Il taoismo - Tao. La parola significa propriamente via e quindi anche modo di condursi, sistema. Il Tao si manifesta nell'universo, nella natura, dato che ciò che le cose individuali possiedono del Tao è il Te. La parola Te, tradotta il genere con virtù, non ha un significato strettamente morale bensì quello di vigore, potenza, facoltà, efficacia. È in pratica la manifestazione del Tao, come già accennato. Il Tao, in quanto origine, fonte, sorgente, dà l'esistenza alle cose, mentre il Te dà loro diversità.. L'uomo, se vuole vivere felice, deve seguire il Tao senza ostacolarlo. In questo senso, egli non deve agire, nel senso che non deve modificare l'armonia dell'universo. Se lo fa, allora non è più in accordo col Tao. Il principio della inazione (wu wei) non indica quindi il rimanere ozioso, senza far nulla, ma è piuttosto basato sul riconoscimento che l'uomo non è la misura e la sorgente di tutte le cose, ma lo è soltanto il Tao. La vita è vissuta bene solo quando l'uomo è in completa armonia con tutto l'universo e la sua azione è l'azione dell'universo che fluisce attraverso di lui. Il bene non viene compiuto dall'azione spinta dai desideri, ma dalla inazione (wu wei) che è ispirata alla semplicità del Tao. L'uomo deve conoscere le leggi che regolano i mutamenti delle cose per conformarsi ad esse; conoscendo tali leggi, l'uomo si renderà conto che è vano perseguire un fine diverso, poiché ogni cosa segue il proprio sviluppo, la propria intima legge. L'uomo deve liberarsi da ogni pensiero, passione, interesse, desiderio particolare per ritornare alla semplicità di quando era bambino; egli deve fare solo ciò che è necessario e naturale. L'idea che nel mondo tutto è relativo, che nessuno è completamente bianco né completamente nero, che il bene non è tutto bene né il male veramente male non vuol dire per il saggio taoista seguire "la giusta misura", avere un comportamento ragionevole come indica Confucio. All'uomo della giusta misura il saggio taoista contrappone l'uomo naturale. Quello che conta è il movimento, la trasformazione infinita della vita. Il bene e il male, la fortuna e la sfortuna, la sorte e la malasorte non sono definitivi ma parte del movimento della vita.
Il confucianesimo - Nel Grande Studio è detto: "Dal Figlio del Cielo all'ultimo del popolo, per tutti la cosa principale è perfezionare la propria persona" (par. 6). Nel commento si fa rilevare che il perfezionamento si ottiene quando si riescono a dominare le passioni, non ci si crea delle illusioni e si riesce ad essere sinceri con se stessi; ciò permette al saggio di vedere com'è veramente il mondo e gli dà la possibilità di poterlo giudicare obiettivamente. Ciò che conferisce all'uomo i sentimenti di umanità, giustizia, altruismo, viene chiamato da Confucio col termine jen: si tratta di una virtù unica e completa in se stessa, che riassume tutta la legge morale oggettiva. In più vi è il li (ordine, etichetta), che si riferiva ai riti e alle cerimonie, ma esprimeva anche le norme che dovevano regolare i rapporti umani ed era quindi un codice di comportamento morale e sociale in una società organizzata gerarchicamente. Questi due concetti costituiscono la base del confucianesimo.
Il buddhismo e lo zen - Lo Zen è una forma particolare di Buddhismo. La parola zen è un termine giapponese derivato dal cinese ch'an o shan, a sua volta trascrizione del sanscrito dhyana, ossia “meditazione”. È infatti una corrente del buddhismo che ebbe origine in Cina e dalla Cina si diffuse in Giappone con il monaco Eisai verso il 1190. Lo Zen non conosce dèi, non ricerca l'immortalità e non ammette concetti come peccato o anima. Non è né una religione né una filosofia in senso occidentale; è semmai un sistema di vita. Che cosa fa una persona che segue lo Zen? Essa si educa gradualmente a cogliere la realtà senza mediazioni intellettuali ma vivendola nella pienezza del momento. È la qualità dell'esperienza qui e ora, e non la precisione della ragione, che assume la massima importanza per il seguace dello Zen. La pratica fondamentale dello Zen è lo zazen, che viene intrapresa al fine di ottenere le condizioni ottimali per vedere direttamente in se stessi e scoprire nella purezza della propria esistenza la vera natura dell'essere. Lo Zen crede che la persona comune sia presa in un groviglio di idee, teorie, riflessioni, pregiudizi, sentimenti ed emozioni tali che non le permettono di cogliere la verità e la realtà ma solo frammenti di essa. Lo scopo dello zazen è dunque quello di liberare l'individuo e di consentirgli di entrare in modo pieno e diretto nella realtà. Vi sono tre mete che lo zazen si propone. La prima consiste nell'aumentare i poteri di concentrazione eliminando tutti i fattori di distrazione e tutti i dualismi (soggetto e oggetto, realtà e apparenza, bene e male ecc.). La seconda mira al conseguimento del satori, ossia di una sorta di illuminazione. La terza infine consiste nel vivere l'illuminazione nella vita di tutti i giorni. In questo modo qualsiasi azione e qualsiasi momento sono vissuti nella pienezza e nella profondità della verità.
Il Cambiamento nel pensiero Indiano - La parola che indica la filosofia, è il termine darshana, che in realtà significa visione, nel senso di ciò che si riesce a vedere dopo che si è indagata la realtà suprema. Naturalmente è possibile che una visione contenga degli errori e le cose possono non essere viste come sono in effetti. Di conseguenza, il filosofo deve giustificare la sua visione fornendo le prove della sua veridicità. Ebbene, i filosofi indiani hanno sempre insistito che la pratica è la vera prova della verità. Le visioni filosofiche devono essere messe in pratica e la vita deve essere vissuta in conformità con gli ideali di quella particolare concezione. La qualità della vita che è vissuta in conformità con questi ideali costituisce la prova finale di qualsiasi concezione. Migliore diventa la vita, più prossima alla verità totale è la visione. La visione che rende possibile una vita liberata dalla sofferenza, è giustamente chiamata una vera filosofia. Per vincere la sofferenza il filosofo deve guardare dentro se stesso, nella propria vita, e valutare ciò che vi andava accadendo. Era necessario osservarne i cambiamenti e darne una valutazione affinché l'individuo potesse proseguire nella propria auto-analisi. In filosofia la verità dipende dal soggetto umano, e l'esperienza di un altro può essere conosciuta soltanto come un oggetto. Di conseguenza non si può rifiutare l'esperienza altrui come insoddisfacente o inadeguata. Il riconoscimento di ciò ha portato ad un atteggiamento tollerante e sintetico che viene comunemente espresso dicendo che, sebbene non ci possa essere una visione, in se stessa, assolutamente vera e completa, nondimeno ogni visione contiene almeno dei barlumi di verità, e tenendo conto dei punti di vista e dell'esperienza delle varie visioni, si arriva ad ottenere la verità assoluta ed una visione totale.
L'induismo - Nell'Induismo l'intuizione fondamentale è che la realtà è Una. Il mondo, l'uomo, gli dèi, le cose che sono state, sono e saranno. Tutto questo è l'unica e medesima Realtà: "Tutto è Brahman". E quando la persona ha attinto una conoscenza illuminata, anche lei può dire: "Io sono Brahman".Il Brahman è l'"Uno, senza secondo". L'io profondo dell'uomo, l'Atman, è anch'esso identico al Brahman. Tutto ciò che appare è lo stesso Brahman, che si manifesta attraverso ogni cosa. Egli è la Realtà vera di ogni manifestazione. Solo se si considera un fenomeno a sé stante, si può parlare di inizio e di fine, di nascita e di morte. Allora l'uomo non muore con la sua morte fisica? Non solo l'uomo non muore, ma in realtà egli non è mai nato. La risposta che Krsna dà ad Arjuna nella Bhagavad Gita è la seguente: "Non ci fu mai un tempo in cui non ero, io, tu, e questi prìncipi tutti, né ci sarà mai un tempo in cui non saremo, noi tutti, dopo questa esistenza. A quel modo che in questo corpo il sé incorporato passa attraverso l'infanzia, la giovinezza e la vecchiaia, così, alla morte, egli assume un altro corpo. Il forte non è su ciò mai perplesso" (2,13-14). Come sia possibile per l'uomo conservare la propria identità attraverso tutto questo, è una risposta che richiede una conoscenza che non necessariamente coincide con quella che l'uomo ha ora. E qui l'Induismo da interrogato diventa interrogante e chiede: "tu che non ti ricordi neppure che cos'eri durante la tua infanzia, che non sai nulla di quello che eri nel seno di tua madre, che cosa puoi sapere di quello che eri prima di essere concepito, e di quello che sei in seno a Dio?". L'uomo è normalmente spinto all'azione dal desiderio (kama) dei suoi frutti, dei suoi esiti. Ora, il desiderio dell'uomo nasce dal contatto con la realtà fenomenica e rimane chiuso entro i suoi confini. Per cui l'azione umana piuttosto che essere un fattore di liberazione, è la causa che vincola l'uomo al ciclo delle nascite e rinascite.
Nyaua e vaiseseka - Il Nyaya è, almeno alle origini, prevalentemente un sistema di logica che aiuta a motivare le proprie opinioni; solo in seguito diventerà un sistema metafisico. Il Vaisesika si occupa di classificare i dati dell'esperienza e di ridurli ad alcune categorie fondamentali, e quindi propone una teoria atomica che indaga la natura degli atomi, della loro combinazione e degli elementi che ne derivano. Secondo il Vaisesika, tutto ciò che si percepisce è reale. Le cose esistono indipendentemente dal fatto che noi le percepiamo. Il mondo è eterno ed è il risultato di una combinazione di atomi in continuo movimento. Lo scopo del Nyaya è la conoscenza della realtà conoscibile attraverso quattro mezzi appropriati: percezione, inferenza, analogia o comparazione, testimonianza autorevole. Per cui conoscenza vera è quella che non sarà mai soggetta a contraddizione o dubbio, che riproduce l'oggetto come realmente è, e ci presenta insomma in maniera fedele un oggetto qualunque. Questa soltanto è conoscenza, ed è da distinguere dal ricordo, dal dubbio, dal ragionamento puramente ipotetico.
Buddismo - Alla sua comunità, Buddha aveva lasciato solo la dottrina (Dhamma o Dharma), che è conosciuta come le Quattro Nobili Verità. Esse sono: 1) C'è il dolore; 2) Il dolore ha una causa; 3) Il dolore può essere superato; 4) Il modo per eliminare il dolore è praticare l'Ottuplice Sentiero. Questo Ottuplice Sentiero porta a prendere coscienza di sé, del proprio intimo, porta alla sapienza e fuga l'ignoranza; il suo frutto consiste nella serenità, nella conoscenza e nella illuminazione, che è il Nirvana, lo stato di pace perfetta e di perfetta felicità. Per chiarire meglio in che cosa consiste il Nirvana, dobbiamo ricordare che il Buddhismo ha ereditato dall'Induismo il concetto del karma. Il karma è la nostra azione o, meglio, in senso morale, è il frutto della nostra azione, il nostro merito o demerito. Fintanto che vi sarà karma, un essere nascerà e rinascerà. Questa però non vuole essere una dottrina deterministica poiché si è sempre liberi di agire per il meglio o per il peggio. È la volontà e non tanto la sola azione che riveste importanza nel produrre nuovo karma. Questa situazione è forse destinata a continuare per sempre? No, per il Buddhismo non sarà sempre così. C'è infatti la possibilità di arrivare al Nirvana per porre fine alle sofferenze, per essere liberati dalla ruota delle nascite e delle rinascite. Si tratta di uno stato di beatitudine suprema, di pace e di tranquillità interiore, accompagnato dalla certezza di aver ottenuto la liberazione. I precetti morali non hanno di mira l'individuo singolo, isolato, che ha di mira la propria salvezza; piuttosto considerano l'uomo come vivente in mezzo agli altri: non basta non fare del male, non basta non uccidere o non offendere, bisogna altresì partecipare amorosi alla vita altrui, avere simpatia per i propri simili, rallegrarsi delle loro gioie e commiserare e alleviare i loro dolori. In altre parole, simpatia e pietà introducono un elemento positivo nella morale; la quale non è più l'eliminazione o cessazione del male ma diventa un comandamento positivo: qualche cosa che bisogna fare, e a fare non per sé ma per gli altri. La morale buddhistica immette cioè nella morale indiana il senso del collettivo. L'uomo è sì artefice del proprio destino, deve evitare il male e superare le passioni e l'egoismo, ma questa purificazione non è un rigido ed austero estraniarsi dal mondo; essa trova il proprio esercizio e il terreno fecondo nella vita consociata.
Nagarijana - Nagarjuna dimostra che le cose, essendo reciprocamente condizionate, non hanno realtà in sé. Non c'è un soggetto e un oggetto. Nessuna cosa è esistente in sé: esiste in quanto in relazione con le altre. La sua individualità e singolarità è una supposizione erronea. Del mondo dell'esperienza non si può, in verità, predicare nulla: esso è contraddittorio e nessun concetto è valido per spiegarlo. Nagarjuna cerca di ridurre all'assurdo ogni possibile teoria. È un criticismo estremo che afferma la relatività di ogni pensiero e di ogni essere: come ogni cosa non ha un'esistenza reale e il suo essere è puramente apparente, così nessun concetto è indipendente. Pensare è supporre sempre una relazione; quando il processo dialettico ha dimostrato l'insostenibilità logica di tutto il pensato, quella cessazione o arresto è il vuoto, la vacuità, l'inesprimibile, al di là di ogni designazione. La vacuità (sunyata) è il fondamento di tutto. Essa non è il puro nulla ma la negazione, come già accennato, di ogni categoria mentale, anche la più generale e astratta, per cui della realtà in sé non si può dire né che esiste né che non esiste perché trascende il nostro pensiero. Anche il Buddha, il nirvana e le altre categorie buddhistiche sono in sé inesistenti, hanno soltanto un valore strumentale e servono come ideali a cui deve tendere la nostra azione. Chi crede nella realtà dei fenomeni si irretisce nel ciclo delle nascite e rinascite, chi invece si convince della loro illusorietà e crede nella vacuità, non si attacca al mondo e ottiene la liberazione.
Il sankhya e lo yoga - Sia il Sankhya che lo Yoga ammettono due sostanze opposte ma ugualmente eterne: da un lato le anime (Purusha), che sono infinite e semplici, e dall'altro la Prakriti,che sarebbe un po' la nostra natura o materia, unica, dinamica, complessa. Il processo cosmico o, come diremmo noi, l'evoluzione della natura o della materia è ciclico (teoria accettata da tutte o quasi le scuole dell'India) e può avvenire ovviamente in due sensi: o dall'alto verso il basso, dalla natura evoluta alle sue forme più semplici, o dal basso verso l'alto, prendendo in considerazione le forme più semplici fino ad arrivare a quelle più evolute. Le anime devono conquistarsi la liberazione definitiva attraverso l'esperienza della vita: occorre che avvenga il contatto con la materia, e quindi la conquista della consapevolezza attraverso la sofferenza vissuta, perché sia per sempre rotto l'incanto e la materia non possa più avere presa sull'anima. Fino a quanto ciò non avviene, l'anima è incatenata al fascino del materiale. Il ciclo samsarico avrà fine quando nascerà nella psiche, attraverso la conoscenza data dal Sankhya e dallo Yoga, la consapevolezza della distinzione tra l'anima (purusha) e la psiche stessa (buddhi). Essendo così eliminata l'ignoranza, la psiche (buddhi) ritorna allo stato di purezza originaria. Lo Yoga, a differenza del Sankhya, ammette l'esistenza di un Dio come supremo regolatore del moto della natura. Deve compiersi un progressivo svuotamento dell'individuo: astensione dall'offesa ad ogni creatura vivente, rispetto della verità, desistenza dal furto sia pensato che eseguito, rifiuto di possedere ogni cosa che non serva al puro sostentamento, purezza di spirito e di corpo, indifferenza a tutto ciò che può succedere, ascetismo, studio dei testi sacri e devozione verso Dio. Si prescrive quindi l'uso di posture convenienti alla meditazione, il controllo del respiro (pranayama),che è premessa essenziale per il controllo del pensiero e la sottrazione dei sensi da ogni influsso dei propri oggetti, in modo che la loro funzione sia ridotta a semplice percezione senza partecipazione dell'io (pratyahara).

Il Sankhya, il Cieco e lo Storpio – “Il congiungersi di Purusha e Prakriti è paragonabile a quello di uno storpio con un cieco. Da tale unione è poi prodotta la creazione.”- Samkhyakarika, 21Uno storpio e un cieco erano in viaggio insieme quando, in una foresta, la carovana fu assalita violentemente dai briganti. Abbandonati dai compagni di viaggio, essi presero a vagare a caso da un luogo all'altro. E così, vagando ciascuno per proprio conto, finirono con l'incontrarsi. Poiché nutrivano fiducia l'uno nell'altro, stabilirono di unirsi, acciocché, così riuniti, potessero camminare e vedere. Il cieco sollevò lo zoppo sulle spalle e, secondo la strada che questi gli andava indicando, egli procedeva. Ora lo spirito (purusha), al pari dello storpio, destituito della potenza di azione, ha bensì la potenza della vista, mentre la natura (prakriti), al contrario, essendo in grado di agire, ma non potendo vedere, rassomiglia al cieco. Accade poi che, a quel modo che si verifica la separazione di questi due uomini allorché essi abbiano raggiunto il luogo desiderato, conseguendo così il proprio scopo, lo stesso interviene per la natura, la quale, indotta la liberazione nello spirito, cessa dall'agire. Lo spirito, a sua volta, consegue lo stato di isolamento: vale a dire che, compiuto il loro scopo, entrambi si separano. Come dal congiungersi dell'uomo e della donna nasce un figlio, così, dall'unione di natura e spirito nasce il creato.
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4. Il Cambiamento nel pensiero Arabo
Islam - La "FALSAFAH", come in arabo si chiama la "filosofia", è stata sostanzialmente un corpo estraneo al vero Islàm, quello tutto teso all'obbedienza al Corano e all'imitazione del pensiero e del comportamento di Maometto: il carattere religioso del pensiero islamico ne è l'aspetto distintivo, che le conferisce una assoluta coerenza. Ora, è proprio il tentativo di dare spiegazione coerente all'assoluto monoteismo divino il primo fattore che indusse i musulmani all'esercizio della ragione in riferimento alla divinità. Se vogliamo trovare una differenza di fondo tra la tradizione islamica e quella occidentale la possiamo vedere nel concetto di necessità: la necessità domina il mondo divino ed umano; tale è la convinzione dei grandi filosofi arabi. L'assoluta onnipotenza di Dio assume presso gli ortodossi la forma di un reciso volontarismo; il creato si innova momento per momento grazie all'incessante volontà divina. E' così negato ogni tipo di causalità secondaria: quella che noi riteniamo essere la causalità è semplicemente la constatazione del modo abitudinario con cui Dio fa essere le cose del mondo. Ma anche se certi fenomeni sono sempre andati in una certa maniera, nulla può assicurarci che in seguito Dio non cambi i propri decreti relativamente ad essi. Essendo Dio onnipotente, da Lui viene tutto, compresi gli atti dell'uomo; ma Dio crea, oltre agli atti, la capacità nell'uomo di compierli, grazie alla quale egli acquisisce questi atti, rendendosene responsabile. Dio non crea il male morale, compie solo il bene; il male viene dall'uomo, anzi, il bene e il male "stanno nelle cose": è per questo che Dio ne comanda alcune e ne vieta altre. C'è dunque una legge morale "naturale" conoscibile attraverso la ragione, e alla quale è sottoposto lo stesso Dio: Egli fa sempre il meglio per le sue creature. Sorsero così i Giabariti, campioni ad oltranza della onnipotenza divina, a scapito della libertà umana. Però, a mano a mano che l'Islàm assorbiva il pensiero greco, si fece maggiormente sentire la reazione dei Qadariti: per essi è l'uomo che dispone liberamente delle sue sorti. Dai Qadariti sorsero ben presto i primi pensatori indipendenti, che erano spiriti aperti al progresso, i quali avevano come scopo di rendere ragione della loro fede e, nello stesso tempo, di liberarla dagli eccessi del letteralismo, che la rendeva sempre più vulnerabile. Codesti erano i Mutaziliti (o indipendenti, perché si erano appartati, separati, durante una discussione svoltasi nell'anno 35 dell'egira tra gli ortodossi e la setta dei careziti; ad essi rimase per eccellenza il nome di Mutakallimun), che furono i creatori della prima teologia speculativa.
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5. Il Cambiamento nel pensiero Ebraico
La relazione tra Dio e il mondo è una relazione di creazione. Il mondo fisico, con tutto quello che contiene, esiste obiettivamente. È proprio reale. Non è un sogno, né un'apparenza, né un'illusione. L'idea della creazione del mondo e degli esseri ha senso solamente se il mondo esiste realmente, esso e tutti gli esseri che racchiude. Se non sono che un'apparenza o un'illusione, la questione sparisce con loro. L'antico problema dei rapporti tra anima e corpo per l'ebraismo non ha propriamente senso perché il corpo, il corpo vivo (non ne esiste altro, perché il cadavere non è un corpo) è l'anima che informa una materia. Un corpo vivo è un'anima che posso toccare. Il corpo è una funzione dell'anima, non è un essere diverso dall'anima. L'esistenza corporea e fisica, nella tradizione ebraica, non è mai sentita come colpevole né vergognosa né impura. L'ebraismo non ha alcuna idea di un dualismo sostanziale tra anima e corpo. In ebraico non vi è neppure una parola per designare il corpo nel senso di Platone e Cartesio, come sostanza distinta dall'anima. C'è invece la parola per designare il cadavere, che non è un corpo. Questa mancanza d'un termine è significativa. Per l'ebraismo un corpo senz'anima non solo non esiste, ma non ha alcun senso. È soltanto il frutto di un errore di analisi. Quando non c'è più anima non c'è neppure corpo. Essenzialmente ottimista, l’ebraismo non vede nel mondo il male e non crede che la vita sia gravata da una maledizione. Questa vita è anzi bellissima e Dio vuole che l’uomo gioisca di tutte le cose belle di cui la terra è piena Una massima del Talmud dice: “L’uomo deve rendere conto nell’aldilà di tutti i piaceri leciti dai quali si sarà astenuto”(Talmud, trattato Kiddushin, 4,12). In questo contesto che si direbbe pacificato tra uomo e mondo creato, è l’obbedienza alla Legge Biblica e Rabbinica la nuova dimensione problematica dove verificare il rapporto tra razionalità e virtù. Pertanto, i Maestri si preoccupano di preservare e di attualizzare la Torah orale, ricevuta da Mosè sul Monte Sinai insieme alla Torah scritta, e questa preoccupazione inizia a trovare una sua prima concreta applicazione già nella stesura della Mishna e del Talmud. Sempre in questo periodo si assiste alla stesura dei primi midrashim che, come la Mishna ma sopratutto come il Talmud, contengono parti di Halakhah e parti di Haggadah ossia di tradizione esegetica ed omiletica. L’omiletica è l’ arte del comporre e del pronunciare discorsi d’argomento sacro e si esprime nell’Haggadah per mezzo di racconti, basati a volte in maniera molto libera sul testo biblico, e aventi il compito di illuminarne i significati più reconditi.L'Ebraismo ha prodotto anche una filosofia vera e propria, la quale passa attraverso l'influenza stoica, neoplatonica ed aristotelica, quest'ultima mediata dai pensatori arabi (Avicenna e Averroè in particolare). Per quanto riguarda l'apporto filosofico, si ricordano, nel Medioevo ebraico, le figure di Yehudah HaLevi e di Mosè Maimonide. L'Ebraismo sefardita si distingue per i suoi studi di natura filosofico-teologica, mentre l'Ebraismo ashkenazita si caratterizza per una maggiore concentrazione sugli studi talmudici e sulla mistica, la quale sfocerà nel movimento chassidico dell'Europa orientale.

Il Talmud, il Cieco e lo Storpio - Idea unitaria corpo-anima pensata nell’ebraismo e la parabola di Rabbi Jehuda ha-Nasi:"Un guardiano storpio e un guardiano cieco dovevano custodire un frutteto. Disse quindi lo storpio al cieco: Il guardiano storpio salì quindi sulle spalle del cieco, raccolsero la frutta e la mangiarono, ma quando giunse il padrone del frutteto capì cosa avevano fatto i due guardiani; fece sedere lo storpio sulle spalle del cieco e li giudicò come una sola persona. In tal guisa anche il Santo riconduce l’anima nel corpo e li giudica come una sola cosa." (Talmud, Sanhedrin 91 a - b)
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INDICE DELLA PAGINA
Scheda Didattica
Alcuni Filosofi Antichi sul problema dei Cambiamenti
Filosofie Orientali e il tema dei Cambiamenti
Il Cambiamento nel pensiero Arabo
Il Cambiamento nel pensiero Ebraico

MATERIALI NARRATIVI A CONFRONTOIL CIECO E LO STORPIO
“Il miracolo di San Martino.”(da la Legenda Aurea di Iacopo da Varazze);ITALIA, RACCONTO AGIOGRAFICO
“Un guardiano storpio e un guardiano cieco.”parabola di Rabbi Jehuda ha-Nasi (Sanhedrin 91 a - b);
PARABOLA EBRAICA
“Samkhya, ovvero lo storpio ed il cieco.”Il congiungersi di Purusha e Prakriti (Samkhyakarika, 21);
PARABOLA BUDDISTA INDIANA
“Moralité de l’ aveugle et du boiteux.”Moralità medievale (Andrieu de la Vigne);FRANCIA, TEATRO
“The Cat and the moon.”Dramma simbolista (Four Plays for Dancers di W. B. Yeats);IRLANDA, TEATRO
“Kikazu Zatò– Kyògen del cieco e dello storpio.”da Alcuni nobili drammi del Giappone (di E. Fenollosa e E. Pound );GIAPPONE, TEATRO
“Il cieco e lo storpio.”(da Mistero Buffo di Dario Fo);ITALIA, TEATRO
“Due orfanelli.”episodio su un mendicante cieco e uno storpio ne “I Mostri” di Dino Risi (film 1958) ITALIA, CINEMA
“Guardando una stampa.”( da Novelle per un anno di Luigi Pirandello);ITALIA, RACCONTO BREVE
pagina aggiornata al 12 dicembre 2006
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Che pesce sei?

Un'insegnante spiegando alla classe che in spagnolo, contrariamente all'inglese, i nomi possono essere sia maschili che femminili. "Uno studente chiese: "Di che genere è la parola computer?" Anziché rispondere, l'insegnante divide la classe in due gruppi, maschi e femmine, e gli chiese di decidere tra loro se computer dovesse essere maschile o femminile.A ciascun gruppo chiese inoltre di motivare la scelta con 4 ragioni.Il gruppo degli uomini decise che "computer" dovesse essere decisamente femminile"la computadora"perchè:1.Nessuno tranne il loro creatore capisce la loro logicainterna.2.Il linguaggio che usano per comunicare tra computer èincomprensibile.3.Anche il più piccolo errore viene archiviato nella memoria a lungotermine per possibili recuperi futuri.4.Non appena decidi di comprarne uno, ti ritrovi a spendere metà del tuo salario in accessori.Il gruppo delle donne,invece, concluse che i computer dovessero essere maschili (el computador)perchè:1.Per farci qualunque cosa, bisogna accenderli.2.Hanno un sacco di dati ma non riescono a pensare da soli.3.Si suppone che ti debbano aiutare a risolvere i problemi, ma perla metà delle volte,il problema sono LORO;4.Non appena ne compri uno, ti rendi conto che se avessi aspettatoqualche tempo,avresti potuto avere un modello migliore.Le donne vinsero.