Questa attività del pensare, nel senso filosofico del termine, è propria del bambino. Il bambino nella sua integrità è un filosofo in erba. Già da piccolo il bambino si pone tutte le questioni filosofiche che sono dotate di senso: intorno alla vita, alla morte, all'amore, al tempo, al pensiero … "Mamma io vorrei essere una bambola così non morirò mai". O ancora: "Quando sarò grande potrò pensare come voglio? … dove si va dopo la morte?". Questo genere di frasi che è possibile sentire dai bambini se si presta loro attenzione non sono altro che le grandi questioni esistenziali della filosofia, «poiché la filosofia non è altro che la questione, riproposta senza fine, del senso e dell'Essere» (Jaspers). I bambini interrogano il mondo molto precocemente, ed è qui il punto di partenza della pratica filosofica. Il metodo della filosofia con i bambini prende le mosse da questo interrogare per iniziare con loro questo percorso. Si tratta, quindi, di non scansare queste domande. La filosofia è intesa qui come questione, e non come sapere, che accompagna la meraviglia e lo stupore di fronte al mondo. Un corso di filosofia con i bambini non sarà un luogo nel quale si espone la teoria platonica ma un luogo dove li si impegna a porre le loro domande, a svilupparle ed a riferirle al mondo.
Noi adulti spesso blocchiamo questo tipo di domande e impediamo al bambino lo sforzo verso la via della filosofia, quindi del senso. A volte trascuriamo la domanda, altre la evadiamo dicendogli: "Tu sei troppo piccolo, saprai questo più tardi", o ancora edulcoriamo la realtà per paura. In quanto noi siamo turbati da queste questioni oppure non osiamo dire che non sappiamo e che stiamo ancora cercando. Non osiamo mostrare i nostri limiti, le nostre debolezze. Come se il dubbio e la ricerca non fossero profondamente educativi. Il problema dell'amore, così fondamentale per il bambino è spesso destabilizzante, in quanto ci mette faccia a faccia con noi stessi e con la nostra vita. La questione della morte riattiva la nostra angoscia. Affermare, per esempio, che noi pensiamo che non ci sia nulla dopo la morte, dire il vuoto risveglia in noi l'assurdo che noi temiamo di trasmettergli. Noi non rispondiamo ai problemi che egli ci pone e tergiversiamo attraverso un percorso scolastico che fornisce risposte a domande che egli non si è mai posto ( la capitale del Guatemala, l'area del triangolo). Queste risposte egli le deve memorizzare anche se lo interessano poco. Ma le domande fondamentali restano senza risposte, senza sviluppi. Noi blocchiamo questi interrogativi, e a poco a poco il bambino finisce di porli e di ripeterli dentro la propria testa. Egli non pensa più e si chiude in un non interesse per il mondo dal momento che questo non lo comprende. Non lo si è aiutato a dare un senso alla propria esperienza quotidiana, in particolare all'esperienza scolastica, e un senso alla propria vita.
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