Blog informativo sulla P4C

( philosophy for children)

di Lipman

Quando la filosofia dipinge il suo grigio su grigio, allora una figura della vita è invecchiata, e con grigio su grigio essa non si lascia ringiovanire, ma soltanto conoscere; la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo.


La parola "filosofia" ha come nella sua radice il significato "far crescere". Infatti, c'è solo una cosa che sa stupire e conquistare il nostro cuore: la parola di chi non si limita a inanellare frasi sensate e ben tornite, ma di chi ci porta più in alto o più in profondità.

Che cos'è la filosofia?

“La filosofia è la palingenesi obliterante dell'io subcosciente che si infutura nell'archetipo dell'antropomorfismo universale. “(Ignoto)

Perché la filosofia spiegata ai ragazzi?

I bambini imparano a conoscere e a gestire i propri ed altrui processi emozionali, affettivi e volitivi: imparano a conoscere se stessi e a relazionarsi con gli altri. Una scuola che intende fornire esperienze concrete e apprendimenti significativi, dove si vive in un clima carico di curiosità, affettività, giocosità e comunicazione, non può prescindere dal garantire una relazione umana significativa fra e con gli adulti di riferimento. Questa Scuola ad alto contenuto educativo, non può cadere nel terribile errore di preconizzare gli apprendimenti formali, errore spesso commesso dagli insegnanti che sono più attenti a formare un “bambino-campione”, piuttosto che un bambino sicuro e forte nell'affrontare la vita, o ancora un bambino che abbia acquisito la stima di sé, la fiducia nelle proprie capacità e la motivazione al passaggio dalla curiosità, caratterizzante la Scuola dell'Infanzia, alla ricerca. L'insegnante deve poter provare un “sentimento” per l'infanzia inteso come “sentire”, percepire e prendere consapevolezza dei bisogni reali, affettivi ed educativi propri del bambino che sono altro rispetto ai bisogni degli adulti. Il ruolo dei genitori, degli insegnanti è infatti quello di educare tutti e ciascuno alla consapevolezza di ciò che il bambino “sente” emotivamente e affettivamente, perché è proprio il passaggio dal sentire all'agire che consentirà al futuro uomo di compiere scelte autonome. Un compito importante dell'insegnante è quello di mediare i modi e i tempi di un dialogo strutturato su un piano paritario, in modo tale da consentire ad ogni interlocutore di far emergere il proprio pensiero e di metterlo in relazione con quello degli altri. E' una sfida, da parte dell'insegnate, a livello culturale, sociologica e civica ma che deve coinvolgere anche i più piccoli per dotarli di una propria capacità critica, che permetta loro di ragionare, di riflettere sulla realtà e di compiere in futuro scelte consapevoli Se la filosofia è "presa sul serio", se è misurata con i problemi reali, è davvero uno strumento di formazione della persona e di indirizzo della vita. La filosofia come felicità presente nell'attività del pensiero.

Incontrarsi è una grande avventura

“Non possiamo stare
e vivere da soli,
se così è,
la vita diventa
solitudine monotona.
Abbiamo bisogno dell’altro
per condividere sguardi
di albe e tramonti,
momenti di gioia e dolore.
Abbiamo bisogno dell’altro
che ci aiuta a vedere
e scoprire le cose che da soli
mai raggiungeremo.

Beati quelli che sono capaci
di correre il rischio dell’incontro,
permeandolo di affetto e passioni
che ci fanno sentire più persone
poiché così vivendo
anche gli scontri
saranno mezzi
di un vero incontro.”
(Testo di sr. Soeli Diogo).




Questo romanzo è rivolto, con la più grande speranza e fiducia, a tutte le persone di questa società e soprattutto a quei giovani che si muovono oggi, coi loro passi, senza esserne pienamente consapevoli, verso la scoperta della grande stanza di questo mondo poliedrico e complesso, dalle mille pareti ammaliatrici. Passi che, a dosi esagerate della conquista di una felicità che riempia la stanza del loro cuore, complementare a quella del mondo, lasciano dietro sé molte tracce superficiali che si spazzano via anche con il più debole vento della loro esistenza per poi trascinarli nel giogo del “vuoto”. Che questo romanzo “Un vuoto da decidere” sia loro di aiuto per guardare in faccia, riconoscere, combattere e vincere, con le sole armi dell’amore vero per se stessi e per il mondo, questa strana “malattia” dell’anima che colpisce chi non ha difese e che porta alla conquista di una libertà infedele e subdola.

Se la metto in pratica mi fa vivere tutta un'altra vita, straordinariamente più ricca di quella che avrei ideato fidandomi solo di me.

Solleviamoci, è ora

Noi siamo quelli
che se ne vanno
pieni di vento
e di sole
in deserti
affollati
di illusioni
e non tornano più
abbagliati
da spaccati di vita.

Siamo riflessi
di affetti
profondi.
Pensieri
di fresca rugiada
posata sulla notte
che non conosce
nuvole.

Siamo i sospesi
tra sogno e realtà,
quelli sul sottile confine
tracciato
dai meandri
dei desideri.

Siamo splendide bugie
di una terra
che fatica
ad alzarsi
sui marciapiedi
della vita.

Siamo polvere
di un tempo
inesorabile
che ci riporta
tra le caverne opache
dei ricordi.

Siamo l’urlo
di amici perduti
non ancora tornati,
che raccoglie
sogni lanciati
su nuvole rosa
gonfie di cuore
nel cielo sospeso
della gioventù.

Siamo parole
mai dette
intrappolate
tra i rami
scheggiati
di un inverno
che fatica
nel risveglio.

Siamo vita
che scoppia
nei focolai spenti
accesi dal giorno che nasce
a dispetto di tutto.

Preghiere
Strappate ai silenzi
concessi da un Dio
che non ama
piangersi addosso.

Siamo
l’andata e il ritorno
di noi stessi.

Solleviamoci.
E’ ora.

PAESE MIO

Paese mio
cinto a primavera
di riccioluti gorgheggi
affaccendati
come comari
nel via vai del giorno
ti vai combinando
tra nuvole ariose
all’orizzonte
e sogni fermi
dietro vetri antichi.

Tu non conosci gli anni.

Il tuo grembo
avrà sempre un vecchio
davanti ai tuoi tramonti
aggrappato
ai sapori di campagna
mentre torna stanco
con le zolle in mano
cantando
la fatica della terra.

E non conosci spazi.

Sei tutto lì
che vivi di germogli
seminati
nei cuori della gente
che s’adatta
all’ombra
dell’inverno
mentre fuori
è estate.

Per questo
non ti mancano
i sorrisi
strappati ai vicoli
intrecciati e bui
come strette di mano
nel bisogno
tra calde mura
di camini accesi.


Tra gli alberi d’ulivo
bagnati di sole
che lasciano un’impronta
tra le rughe
dei ricordi

che strada voltando
riporta
inesorabilmente
a te.



mostra di poesie

mostra di poesie
Solleviamoci, è ora


mercoledì 18 luglio 2007

DI QUANTA FILOSOFIA HA BISOGNO LA TECNOLOGIA

L’originale incipit della conferenza di K. Popper, al Convegno di Filosofia Politica a Torino 1983, mette in evidenza l’innegabile creatività della mente umana che non potrà mai essere superata da una macchina.
E’ propria dell’uomo e della sua vita anche e soprattutto la tensione verso la ricerca, la problematizzazione di sé, del reale.
La diffusione delle moderne tecnologie, che vengono sempre più estesamente applicate al mondo della formazione (scolastica, universitaria e professionale), porta con sé il rischio di privilegiare, enfatizzandoli, gli aspetti tecnologici a scapito degli aspetti pedagogici e della qualità didattica.
Mi interessa qui definire il tipo di approccio che l’alunno ha rispetto alle tecnologie informatiche, ricordando un punto importante da non trascurare mai, e cioè che è l’uomo a dotare di senso e significato ciò che vive, le relazioni che stabilisce, il ruolo che egli ha in questa parte di mondo.
La ricerca di senso accompagna l’uomo durante tutto il corso della sua vita. L’esperienza filosofica si configura come esperienza di vita presente nel bambino già nei primi anni di vita. Per i bambini tutto è nuovo, dentro e fuori di sé, tutto sorprende e meraviglia.
Vittorio Hosle ricordava, a questo proposito, che per il bambino il mondo non è ancora ovvio, esso è, anzi, la fonte di ogni curiosità.
[1][1]
Per l’adulto non è più così: una sorta di assuefazione nei confronti di persone, sentimenti, eventi, lo avvolge, gradatamente nel tempo. La vita e i suoi accadimenti continuano ad essere sorprendenti, i suoi mutamenti sono temuti o previsti ma, essendo in qualche modo attesi, non suscitano più stupore. E così, alla vastità di esperienze e conoscenze fa spesso riscontro una capacità di non meravigliarsi più di nulla.
Dovremmo chiederci, a questo punto, perché le domande ingenue dell’infanzia diventano fragili anziché rafforzarsi nell’età adulta.
Che cosa le soffoca e le disperde?
Che cosa indebolisce il coraggio dell’interrogazione esistenziale?
Pigrizia e conformismo, da sempre ostacoli all’esercizio del pensiero critico, sono rafforzati oggi dalla sovrabbondanza di soluzioni facili e garantite che, non essendo frutto di confronto critico, né di efficace esercizio del dubbio, restano circoscritte alla superficie delle cose.
E così, ciò che è proprio dell’uomo e della sua vita (il pensiero che problematizza, ricerca, confronta, ipotizza), affinché continui a vivere, necessita di educazione e cura.
“Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?”… Sono questi gli interrogativi con cui di solito si riassume, in modo sbrigativo, il compito del domandare filosofico. A volte si ripetono le celeberrime “tre domande” kantiane:
· Che cosa posso conoscere?
· Che cosa devo fare?
· Che cosa mi è lecito sperare?
Ma pensiamo a quelle “domande nascoste” che si celano dietro o dentro tali interrogativi.
Ossia quelle domande che potremmo definire “domande metanoetiche”.
Quelle “domande”, che spesso restano nascoste dietro gli interrogativi filosofici tradizionali:
· Come siamo giunti a pensare in questo modo?
· Cosa ci permette di pensare in questo modo e di porre queste stesse domande?
· In base a quali pratiche di espressione del pensiero ci chiediamo “chi siamo?”
· Quali strade abbiamo battuto, quali pratiche ci hanno orientato ad assumere questo paradigma di pensiero piuttosto che un altro?
· Quali sono i paradigmi di pensiero che strutturano il nostro pensato?
· Che relazione c’è tra il pensiero e le pratiche espressive e di elaborazione dell’informazione o di comunicazione che abbiamo adottato?
Le nuove tecnologie, lungi dall’essere semplici “sussidi”, si rivelano sempre più luoghi in cui si affermano nuovi modi di conoscere, apprendere, dialogare: esse rappresentano i nuovi “anfiteatri della conoscenza”.
Come si ridefiniscono quindi gli assetti e i paradigmi epistemologici della conoscenza all’interno di questo nuovo “universo”?
Si afferma il paradigma della- complessità e della multidimensionalità dei saperi, con la relativa tendenza all’a-centrismo e/o al pluricentrismo Si manifesta una crisi delle- gerarchie dei saperi (scienza e arte, saperi colti e mondani ecc.), affiancata da una apertura alla contaminazione transdisciplinare ed alla trasversalità.
Complessità e multidimensionalità della conoscenza conoscenza come attraversamento pluriprospettico, per dirla con Wittgenstein.
E lo specifico del pensare filosofico è solo la prospettiva critica, tesa a costruire riflessioni, è la “fatica del concetto”, l’attenzione al significare aperto, a porre domande e dubbi, a offrire prospettive e risposte su cui continuare a dialogare, discutere e ri-discutere. Lo specifico del pensare filosofico è l’interrogare radicale.
Come non basta “leggere” o “imparare” un libro di filosofia per filosofare, così non è sufficiente un ipermedia di contenuto filosofico o la navigazione tra siti di filosofia per filosofare: ciò che è cruciale non è ovviamente il contenuto, né il media in uso, quanto lo stile e la prospettiva della pratica.
La pratica filosofica è racchiusa integralmente nel “domandare tutto e tutto domandare”. Nell’interrogare radicale, che mette in discussione, senza fermarsi, i presupposti stessi del suo operare, le sue stesse pratiche e le sue modalità di espressione, formazione del pensiero e comunicazione.
Far filosofia è incontrare la situazione “critica” così come accenna Kant nel celebre passo della Fondazione della metafisica dei costumi in cui egli, per definire in che cosa consista la “posizione critica” e la “genuinità” della filosofia, sostiene che essa consista proprio nel non poter “agganciare” la sua posizione «a nulla nel cielo, o ad appoggiarla a nulla sulla terra» : l’esperienza del filosofare fa perno sull’autonomia della sua stessa “posizione critica”, il fatto che essa stia «salda, senza poter tuttavia trovare né appoggio, né appiglio in qualcosa che stia in cielo o in terra».
Come il filosofo è qualcuno che “sa tutto, senza aver imparato niente” (il gentiluomo-filosofo, come dice Molière, Les femmes savantes): il filosofo ricerca, ma la sua verità non poggia da nessuna parte. Proprio per questo non rifugge da alcuna tecnica espressiva, e le pratica, a sua convenienza, tutte, senza identificarsi in nessuna.
Platone è uno dei protagonisti proprio della conquista della consapevolezza profonda del legame fra tecnologia della scrittura e pensiero. Nella Lettera settima, e in altri luoghi dei dialoghi, Platone ci testimonia che la Filosofia è fatta di un lungo, rigoroso, duro esercizio dialettico, faticosissimo, ma che essa non si identifica con questo “controllo del discorso”, con questa “tecnica” della dialettica, del dialogare; la Filosofia è qualcosa di più. Ci dice che la Filosofia «non è una scienza come le altre», «non si può in alcun modo comunicare», è come «una fiamma che si accende da un fuoco che balza, nasce d’improvviso nell’anima».

Ipertesti per pensare e ragionare
Ragionando sugli usi correnti degli ipertesti osserviamo che la tendenza ad accentuare l’aspetto automatico dell’interazione favorisce un uso sbrigativo e poco motivante, mentre può essere desiderabile valorizzare le potenzialità in possesso del soggetto, attivando un protagonismo, un movimento del pensiero ed una motivazione che rischiano alcune volte di rimanere inespressi.
In questo quadro si inserisce la proposta degli ipertesti educativi, e si osservano non poche differenze quanto a capacità di saper generare curiosità, pensieri e ragionamenti, cioè capacità di rendere possibile l'educazione al movimento autonomo e attivo del pensiero. Gli ipertesti che permettono tutto ciò sono formati da blocchi che si connettono in un sistema di relazioni e permettono la molteplicità di sensi; sono quindi costituiti da una struttura reticolare che rappresenta le molteplici connessioni tra eterogenei contenuti di conoscenza.
Un ipertesto costituito da un testo che viene direttamente costruito su supporto elettronico in forma reticolare, strutturato in un insieme di blocchi legati in un sistema di relazioni, che sappia produrre sempre nuovi significati e generare il piacere della navigazione, può essere utile ad allenare il pensiero ad un movimento flessibile e continuo tra ciò che di volta in volta si porta in figura e ciò che rimane temporaneamente sullo sfondo, abituando il fruitore ad una osservazione e ad una analisi attenta che lo aiuti a vedere una parte come parte di un tutto e a creare delle relazioni fra le varie parti a disposizione, abituandosi così a dare un senso a queste ultime.
Un simile allenamento permette lo sviluppo di quella parte della nostra intelligenza che Gardner definisce filosofica, predisponendo il soggetto ad un atteggiamento filosofico verso il sapere, ovvero di creare quella tensione intellettuale che attiva la ricerca filosofica autentica, quella per dirla con J. Gardner che non si inchina mai alle risposte ma solo alle domande, perché “una risposta è il tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle. Solo una domanda può puntare oltre.”
Walter Ong
[2][2] sostiene che «L’esistenza stessa della filosofia e di tutte le scienze e le “arti” (…) dipende dalla scrittura» e che ciò significa che essa è prodotta «non dalla mente umana senza aiuti, ma dalla mente che usa una tecnologia profondamente interiorizzata, incorporata nei processi mentali stessi».
L’ethos del filosofare, in conclusione, può avere un suo “statuto”, ma esso, come tale, perviene al vivere più che al sapere.
Non c’è, credo, altra possibilità per chi pratica il filosofare se non quella di rischiare di “immergersi” nelle nuove tecnologie, nel farne pratiche di comunicazione, senza dismettere il proprio habitus, che è quello di praticare la “soglia” delle tecnologie della comunicazione.
Il vero ipertesto è quello che, oltre alla lettura multisequenziale, offre la possibilità di intervento sul testo con la creazione di nuovi link.
L'ipertesto è come qualsiasi forma di testualità - parole, immagini, suoni - che si presenti in blocchi o unità di lettura collegati da link. Si tratta, essenzialmente, di una forma di testo che permette al lettore di abbracciare o di percorrere una grande quantità di informazione in modi scelti dal lettore stesso, e, nel contempo, in modi previsti dall'autore.
Il grande valore educativo dell'ipertesto sta nell'offrire a chi impara ciò che desidera imparare quando vuole impararlo; esso è rivolto a chi impara. L'ipertesto didattico e le cose migliori dei nuovi media didattici sono ambienti di apprendimento, non di insegnamento.
10 maggio 2005

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by mondoglitter.it

Che pesce sei?

Un'insegnante spiegando alla classe che in spagnolo, contrariamente all'inglese, i nomi possono essere sia maschili che femminili. "Uno studente chiese: "Di che genere è la parola computer?" Anziché rispondere, l'insegnante divide la classe in due gruppi, maschi e femmine, e gli chiese di decidere tra loro se computer dovesse essere maschile o femminile.A ciascun gruppo chiese inoltre di motivare la scelta con 4 ragioni.Il gruppo degli uomini decise che "computer" dovesse essere decisamente femminile"la computadora"perchè:1.Nessuno tranne il loro creatore capisce la loro logicainterna.2.Il linguaggio che usano per comunicare tra computer èincomprensibile.3.Anche il più piccolo errore viene archiviato nella memoria a lungotermine per possibili recuperi futuri.4.Non appena decidi di comprarne uno, ti ritrovi a spendere metà del tuo salario in accessori.Il gruppo delle donne,invece, concluse che i computer dovessero essere maschili (el computador)perchè:1.Per farci qualunque cosa, bisogna accenderli.2.Hanno un sacco di dati ma non riescono a pensare da soli.3.Si suppone che ti debbano aiutare a risolvere i problemi, ma perla metà delle volte,il problema sono LORO;4.Non appena ne compri uno, ti rendi conto che se avessi aspettatoqualche tempo,avresti potuto avere un modello migliore.Le donne vinsero.